Una proiezione speciale alla presenza di 150 tatterini quella di domenica al Festival dei Popoli 2025 per la prima italiana di Tatti, paese di sognatori di Ruedi Gerber.
In un piccolo borgo della Maremma toscana, vecchi e nuovi abitanti hanno iniziato a ripristinare i terreni abbandonati, restituendo un senso di speranza alla piccola comunità. (Fonte: Festival dei popoli)
Nella cornice del festival abbiamo fatto alcune domande a Ruedi Gerber.
Ruedi Gerber e il suo Tatti, paese di sognatori
Com’è nata la storia? Quando hai capito che Tatti poteva diventare una storia anche universale da raccontare?
Ti ringrazio per la storia universale che è diventata chiara in sala di montaggio. Per me, qualche volta, quando le cose sono molto personali possono anche diventare universali. Ho sempre avuto l’idea di questo paese unico, Tatti. Unico perché se ci si guarda in giro ci sono diversi paesi anche carini che, però, sono morti perché le persone non ci tornano. Tatti invece è diversa, lì è rimasto uno spirito particolare che volevo cogliere, ma ero sempre occupato con l’agricoltura e questa cosa mi è sempre sfuggita. Poi c’è stato il Covid, durante il quale tanti hanno ripensato alla propria vita, al proprio sogno nel cassetto e così ho fatto anche io. Una volta riaperto tutto ho cominciato a lavorare a questo documentario.

Avevo letto che era nato durante il covid e questa cosa mi ha fatta sorridere perché è come se Tatti fosse un luogo isolato dal resto che permette di fare quasi una similitudine con la quarantena stessa.
Esatto, in più a ispirarmi è stata l’agricoltura perché ho pensato che Tatti potesse essere un luogo sicuro per sopravvivere a una crisi del genere (è vero che eravamo costretti a stare chiusi in casa però si può comunque lavorare in campagna). Da quel momento sono andato a esplorare il posto e conoscere un po’ di persone. Ho fatto amicizia con molte persone del luogo e quando alla fine ho rivisto il girato ho deciso di inserirmi all’interno del documentario, insieme a Greta che mi ha aiutato a stringere amicizie e instaurare rapporti per vivere lì, ma anche per realizzare il film stesso.
Così è nato questo secondo livello: il messaggio è mostrare quanto sia importante connettersi con le persone.
La storia di Tattie di Ruedi Gerber
A proposito della tua presenza all’interno del film, si può dire che Tatti. Paese di sognatori non è solo la storia di Tatti, ma in parte anche la tua storia?
Esatto. Penso che tu debba usare anche la tua propria vita personale per un progetto del genere e penso che sia molto importante nel film usare ciò che sai e da dove vieni. Per me è stata una sfida e mi ha aiutato ad accettarmi anche perché è molto difficile mettersi in un film. Invece è stato un processo molto bello per me accettare ciò che stava succedendo. Alla fine quello che rappresenta il film è una storia di immigrazione, in un certo senso, con una possibilità di crescita. E poi c’è sempre uno straniero che prova un po’ di vergogna perché non sa se lo accetteranno, se i suoi modi di fare saranno compresi. Per fortuna in Svizzera conosco molti secondi (cioè la seconda generazione di immigrati italiani dai 70/80 anni) e tutti condividono con me questo senso di vergogna. Attraverso il film ho scoperto che anche in me c’era questa sensazione, anche se non ero consapevole. È una sorta di processo di crescita per me personalmente.
All’inizio del film ho anche riflettuto sul fatto che potevo parlare di agricoltura e del villaggio in generale, poi ho deciso di raccontare il paese. E per me è anche simbolico, perché tutti parlano di sostenibilità e qui c’è l’esempio di sostenibilità perché le persone, gli agricoltori vogliono che tutte le prossime generazioni continuino a vivere a Tatti, e questo è alla base dell’idea di sostenibilità.
A proposito degli abitanti di Tatti vorrei chiederti qualcosa su di loro, in modo particolare sui due gemelli che diventano quasi un simbolo di Tatti e, di conseguenza, del film.
Sì, esatto. Questo perché amano la terra e conoscono tutto ed è bellissimo. Un altro elemento che penso sia molto importante, perché tutte queste cose sono universali in un certo modo, è che si rivolgono a tutte le persone, senza favoritismi di nessun tipo. Cercano di andare insieme da tutti e penso che questo loro modo di fare per il mondo di oggi sia importante.
Così come è affascinante la loro passione per il lavoro. Per esempio c’è tutta la storia dietro il ristorante che fu costruito dopo la guerra che prima era un posto per commemorare i soldati. Per realizzarlo hanno contribuito tutti, e questo è lo spirito: ognuno offre ciò che può offrire, e poi insieme si crea qualcosa. E credo che questo sia anche un po’ lo spirito dei toscani.
Poi quando Marco va in crisi e la moglie lo lascia raggiunge una valenza simbolica perché deve reinventarsi, non può restare com’è, deve trasformarsi.
Un simbolo di speranza
Collegandomi a quanto detto, il film in generale dà anche un messaggio di speranza perché all’inizio vediamo Tatti senza nessuno, solo case, mentre alla fine c’è come una festa con tante persone. Quindi diventa simbolo di speranza.
C’è sicuramente un sentimento di speranza. Dopo la proiezione che ho fatto al festival di Zurigo molte persone sono venute da me a dirmi proprio ciò e questo mi dà un senso di amore e di speranza, è molto toccante, perché le persone hanno bisogno di questo oggi. La speranza è un fattore molto importante per la crescita della società perché è qualcosa di vero, in cui abbiamo bisogno di continuare a credere.

La cosa che differenzia Tatti dal resto dei paesi ai quali può essere paragonata è che capisce che il mondo sta cambiando e che anche loro di conseguenza devono adattarsi a questo.
Sì, lo dice anche l’agricoltore sul trattore in un dialogo: “tutto è una catastrofe” “il mondo cambia!”. E anche Marco poi dice che è il destino.
È molto bella anche la riflessione che fai a un certo punto perché all’inizio affermi di voler vivere con la natura e con un gruppo di amici. Alla fine quello che si vede è proprio un gruppo di amici.
Sì, anche se dopo mi sono un po’ autocriticato, dicendo che si deve comunque fare qualcosa, è un potenziale di vita che non si può lasciare abbandonato.
Credo sia anche il messaggio di questo film: ci si deve muovere, si deve anche lottare e questo bel mondo deve difendersi.
Tatterini al Festival dei Popoli
Cosa ti aspetti da questa proiezione al Festival dei Popoli, soprattutto considerando che il festival è in Toscana, quasi vicino a Tatti?
Sono molto soddisfatto, è il posto perfetto per la première italiana di un film come questo, è assolutamente perfetto. Ci tenevo molto ad andare a Firenze per la prima italiana. Poi domenica arrivano da Tatti 150 tatterini con tre bus!
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli
Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli