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Sky Film

‘Mountainhead’: il futuro secondo Jesse Armstrong è un bunker di vetro e paranoia

Candidato agli Emmy, il film è una satira spietata sull'élite tech e il mondo post-verità. In onda su Sky e in streaming su NOW dal 12 settembre

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Scena dal film Mountainhead: i protagonisti riuniti nel resort di montagna, immersi in un’atmosfera sospesa tra lusso e isolamento.

Il potere, oggi, ha ancora un volto umano, o si è già rifugiato dietro vetri blindati e assistenti vocali? Con Mountainhead, candidato ai prossimi Emmy Awards nella categoria Miglior film per la televisione, Jesse Armstrong — mente dietro Succession — torna a indagare la tossicità dei privilegi, stavolta lontano dalle dinastie familiari e dentro un resort hi-tech dove si respira solo ambizione e paranoia. In onda venerdì 12 settembre alle 21:15 su Sky Cinema Uno, disponibile in streaming su NOW e on demand, il film è una dark comedy che vibra di inquietudine contemporanea, sospesa tra l’algido e il grottesco, dove l’élite tecnologica si isola mentre il mondo fuori brucia. E noi, spettatori, restiamo incollati al vetro.

Guarda il Trailer Mountainhead in streaming online | Now

Mountainhead trama e personaggi: quattro miliardari in crisi… e non economica

La storia segue Venis Parish (Cory Michael Smith), genio tecnologico e creatore di Traam, un social network capace di destabilizzare governi. Con lui, la compagnia non è certo rassicurante: Randall (Steve Carell), magnate freddo e carismatico; Hugo “Souper” Van Yalk (Jason Schwartzman), l’ansioso visionario; e Jeff Abredazi (Ramy Youssef), il più umano – e forse il più corretto – del gruppo. Il quartetto si rinchiude in un resort di montagna, tra vetri e neve, mentre il mondo fuori va a pezzi. E non è la prima volta che Carell e Schwartzman si trovano a condividere lo schermo: dopo Bewitched e Asteroid City, la loro alchimia torna più affilata che mai.

Un riflesso oscuro del presente

Venis Parish è un personaggio inquietante perché familiare: un Musk deformato, prigioniero del proprio delirio di onnipotenza. “Tu ci credi… negli altri?”, chiede a un certo punto, prima di affermare con distacco glaciale: “Gli altri non sono come noi.”
Non è solo cinismo: è una visione del mondo in cui l’empatia è un bug del sistema. La tecnologia, qui, è un’estensione dell’ego, non uno strumento collettivo. Armstrong non costruisce caricature, ma sagome vere, solo esasperate, proprio come il nostro presente. E il fatto che ci sembrino credibili è forse la parte più disturbante del film.

Mountainhead vs Succession: stessa mano, due facce del potere

Chi si aspetta un’altra Succession, resterà spiazzato. Se lì il potere era filtrato da dinamiche affettive — padre e figli che si sbranano ma si amano, almeno a modo loro — qui i legami sono freddi, funzionali, quasi meccanici. Non c’è redenzione, né tenerezza. Mountainhead è il lato B di Succession: stesso sguardo affilato, stesso veleno nei dialoghi, ma zero intimità. Il potere non è più una questione privata, è diventato sistema chiuso, autoreferenziale, distaccato dal mondo reale.

Il rifugio di montagna è metafora perfetta: pareti di vetro, fuori solo neve e silenzio. È un ambiente asettico, che non accoglie — isola. E in questa bolla rarefatta, la tecnologia si fa religione, il capitale diventa linguaggio, e ogni relazione umana si dissolve. “Per certi versi, quanti soldi hai è il tuo quoziente intellettivo. Letteralmente: è la tua valuta.”
Una battuta che fotografa il mondo di Mountainhead meglio di qualsiasi monologo.

Un cast che cammina sul filo

Il quartetto protagonista è impeccabile. Cory Michael Smith è un Venis magnetico e perturbante, con quel sorriso tirato che non promette nulla di buono. Carell dosa il gelo con intelligenza, Schwartzman trova nella sua inquietudine una nuova maturità e Youssef — forse il più sottovalutato — incarna la frattura interiore di chi vede il mondo collassare ma non sa più dove stare.

Randall, interpretato con misura da un attore volutamente non “carismatico”, è il corpo dolente della storia: un personaggio rotto, vulnerabile, che ricorda ai suoi interlocutori l’esistenza di un limite biologico che nessuna tecnologia può cancellare. Jeff, invece, è la figura etica, quella che cerca ancora senso in un sistema che ha smesso di chiedersi “perché” e si preoccupa solo del “come”. È lui, in fondo, a portare la domanda morale nel film — e a pagarne il prezzo più alto.

Carell e Schwartzman tornano a recitare insieme dopo Bewitched e Asteroid City, ma qui la loro chimica è messa a servizio di un’atmosfera ben più claustrofobica e asciutta, lontana dalla leggerezza dei lavori precedenti.

La corsa contro il tempo come scelta narrativa

Armstrong ha voluto girare Mountainhead in tempi strettissimi, una scelta deliberata per non lasciare raffreddare il presente. Il film pulsa di 2025, ma racconta già l’oggi: tra AI generativa, disinformazione e culto dei super-ricchi, la sceneggiatura non prevede il futuro — lo registra in diretta. È cinema urgente, pensato per parlare adesso, senza filtri né revisionismi.

E quella fretta si sente: nel montaggio nervoso, nei dialoghi affilati, nella tensione che cresce senza mai esplodere del tutto. Siamo dalle parti della satira, sì, ma con una vena apocalittica sempre più visibile.

Armstrong accompagna questa tensione narrativa con una regia essenziale, che non cerca virtuosismi ma costruisce con rigore un’atmosfera opprimente. I movimenti di macchina sono minimi, la composizione dell’inquadratura gioca con la geometria fredda degli spazi, e la fotografia — tutta virata su toni freddi e desaturati — restituisce l’idea di un mondo sterilizzato dall’eccesso di controllo. L’impressione è quella di un set quasi clinico, dove ogni gesto è sorvegliato e ogni silenzio pesa più di un urlo.

Una fotografia che fa male

Il paesaggio montano, con le sue distese gelide e le linee pulite del resort, non è solo estetica: è ideologia. Tutto è iper-progettato, iper-funzionale, ma disumanizzante. Ogni scena è costruita come un esperimento clinico: cosa succede se metti quattro cervelli iper-competenti in una scatola perfetta, e poi li lasci soli con la loro ambizione? La risposta è: collassano. Ma in modo elegante.

In un momento chiave, Randall si domanda con amarezza: “Con tutte le cose che sappiamo fare, e non riusciamo ad aggiustare questo minuscolo pezzo di cartilagine dentro di me?”
È il cuore del film: la tecnologia non salva, amplifica. E se sei già rotto, ti rompe meglio.

Conclusione: una fotografia glaciale e necessaria del presente

Il film non è facile né confortante, ma è esattamente quello di cui abbiamo bisogno per capire dove stiamo andando. In Mountainhead il potere si rifugia in un bunker di vetro e neve, un luogo tanto trasparente quanto isolato, dove l’arroganza diventa l’unico vero compagno. Jesse Armstrong ci consegna un ritratto impietoso ma lucido, un’immagine di un futuro che è già presente: fatto di distacco, egoismo e controllo, ma anche di fragilità umana nascosta dietro una patina di invulnerabilità. È un invito a non lasciare che quel gelo diventi la nostra realtà quotidiana.

Sky e Now: le novità di settembre 2025 tra film e serie tv

Mountainhead

  • Anno: 2025
  • Durata: 109 min
  • Distribuzione: HBO Films / Sky
  • Genere: Tragicommedia, Commedia drammatica
  • Nazionalita: America
  • Regia: Jesse Armstrong