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Mubi Film

‘La grande peccatrice’, la roulette dei sentimenti di Jacques Demy

Il regista di ‘Lola - Donna di vita’ e ‘Les Parapluies de Cherbourg’ riadatta i codici della sua poetica per un’esistenzialista rapsodia in bianco e nero sul gioco d’azzardo. Con Jeanne Moreau, biondo angelo perduto di magica ossessione

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Dimentichiamo i padri assenti e le struggenti città portuali, i cromatismi tenui e gli slanci fiabeschi, l’incanto del musical e la ronde dei sogni infranti con cui il cinema di Jacques Demy si è radicato nell’immaginario cinefilo, nel segno di un universo creativo classico e moderno al contempo. Su MUBI è infatti disponibile La grande peccatrice (1963), opera tra le più trascurate del maestro francese (Les Parapluies de Cherbourg, Josephine), inscindibile nel suo valore dal contributo iconico della protagonista, Jeanne Moreau, qui epitome come non mai dello charme francese più intellettuale, reduce dai successi di Jules e Jim e La notte.

Con La grande peccatrice e la sua parabola di due incalliti giocatori d’azzardo Demy esplora ancora le illusioni e i desideri che smuovono sempre i personaggi e la loro aggraziata vulnerabilità, ma in una cifra espressiva rivisitata, dove la tristezza sovrasta sulla malinconia, il destino inesorabile scalza i giochi macchinosi del caso, l’esistenzialismo ammanta il dramma di maggior rigore stilistico. Un’incursione in inquietudini più prematuramente crepuscolari, baciate tuttavia dalla consueta armonia compositiva del regista, che nel finale non rinuncia tuttavia al varco di una svolta tempestosa, dolce, melodrammatica e forse impossibile.

Sotto il segno del caso

Jean, un impiegato bancario, subisce il fascino della roulette grazie a un amico, in contrasto con i principi morali del padre vedovo. Al casinò di Nizza incontra Jackie, bella e ineffabile, dipendente dal gioco a tal punto da aver rinunciato a una vita altolocata, al marito e al figlio. Già in ristrettezze finanziarie per il suo sperpero, è pronta a sacrificare qualsiasi barlume di redenzione per il brivido al tavolo verde. Tra Jean e Jackie si instaura un’intesa tra giocatori oltre l’amicizia, tra perdite di denaro e colpi di fortuna, ma tra i due e il coronamento amoroso si insedia l’accecante fede di lei nei numeri in rosso e nero.

La poetica dell’azzardo secondo Demy

C’è la Costa Azzurra, Nizza, una certa erranza propria della Nouvelle Vague (verso cui tuttavia Demy, nonostante le amicizie con Truffaut, Godard, Rohmer e Rivette, restò defilato), una precarietà esistenziale inficiata qui anche dall’impossibilità materiale, una perdizione che non opprime ma delicatamente offusca ogni accenno di riscatto, ogni carezza di felicità, salvezza e amore. In La grande peccatrice (pruriginoso e frivolo titolo italiano per La Baie des Anges, dal nome della baia locale) non risuona tanto l’eco dei giocatori di Dostoevskij, ma si modula una purezza di sguardo, un sostrato di prosaica trascendenza nelle inquadrature che guarda al cinema di Bresson. Eppure a qualsivoglia pretesa di realismo in questo quieto dramma di ludopatia Demy sa anche opporre un impasto onirico di lirismo , con piani ipnotici sulla ruota vorticosa, sul mistero dei numeri, sul girotondo in bilico sull’abisso.

E nella mirabile padronanza dello spazio filmico che contraddistingue il regista, tra le note leggiadre e fatali di Michel Legrand, si muove a passo di cinepresa Jeanne Moreau, autenticamente e coscientemente diva, nelle pose di manierismo e languore battezzate dai costumi dell’amico Pierre Cardin, valorizzata da quel bianco e nero (fotografia di Jean Rabier) che Truffaut definì quasi costitutivo del suo più intenso volto d’interprete. L’attrice, con derelitta eleganza e algido tormento d’essere, arricchisce, aggiornandola, la rassegna femminile di Demy, che, come con la magnetica Anouk Aimée in Lola e la musa Catherine Deneuve, reclude le sue protagoniste libere e sognatrici nelle trappole di un futuro volubile e beffardo: una prigione emotiva a cielo aperto, a Nantes, a Marsiglia, a Nizza o a Cherbourg.

L’amore non è più freddo della morte

Demy non filtra pessimismo né biasimo nel ritratto degli scialacquatori incalliti, anteponendo una contemplazione lucida e partecipe di due fragilità dove, ancora una volta, la donna è un affresco dei contrari, di fame di vivere e pulsione alla distruzione, di emancipazione femminista e giogo delle opportunità, ma sempre nel fascino démodé di una borghese senza boudoir, di una femme fatale non dark, anzi qui in un biondo platino inconsueto per la Moreau. Memorabile la sua frase quasi aforistica: “Non sono attaccata al denaro; se lo amassi davvero non lo spenderei”. Il vero tocco da grand autor d’oltralpe viene però sferzato nel finale, vorticoso, artefatto, spiazzante; un’inversione del mito di Orfeo ed Euridice (come alcuni critici hanno colto), un’iperbole romantica contro ogni nichilismo, l’apoteosi incandescente della catarsi che però, nella scrittura trasognata e nello scarto con il reale, trasuda funerea e commovente amarezza.

La grande peccatrice

  • Anno: 1963
  • Durata: 86'
  • Genere: drammatico, sentimentale
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Jacques Demy