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Focus Italia

L’occhio di vetro. Un documentario sulla memoria intima e collettiva

Il regista con il supporto di vecchie fotografie, diari e testimonianze dei più anziani, riesce a riportare in vita esperienze passate, fortemente legate al suo, al nostro presente.

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L'occhio di vetro

L’occhio di vetro di Duccio Chiarini è uscito nelle sale il 4 giugno. Il film documentario, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, è una produzione di Asmara film, con il supporto del Ministero della Cultura, in collaborazione con La Règle du jeu.

È un’opera sulla memoria, intima e collettiva. Il regista percorre un viaggio a ritroso per scoprire le sue radici, attraverso il vissuto delle generazioni che lo hanno preceduto. Con il supporto di vecchie fotografie, diari e testimonianze dei più anziani, riesce a riportare in vita esperienze passate, fortemente legate al suo, così come al nostro presente.

L'occhio di vetro' di Duccio Chiarini in uscita il 4 giugno

L’occhio di vetro: la trama

26 aprile 1945. Ferruccio Razzini, un ragazzo di quindici anni, figlio di un eroe della Prima Guerra Mondiale, che si ritrova a combattere tra le fila degli ultimi difensori della Repubblica di Salò. Ne scrive giorno per giorno in un diario in cui racconta anche i destini delle due sorelle maggiori, Liliana e Maria Grazia, sposate l’una a un fascista l’altra a un partigiano comunista.

Una generazione scomparsa

Nella celebre tragicommedia Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, il protagonista Gennaro Jovine  tornato dal fronte ha bisogno di raccontare le sue esperienze di guerra ad amici e parenti.

Nessuno, però, ha voglia di ascoltarlo, tutti vogliono dimenticare velocemente. Non ci stiamo redento conto, ma tutti i Gennaro Jovine non esistono più.

Un’intera generazione, infatti, quella che ha vissuto direttamente la tragedia della prima e poi della seconda guerra mondiale, è ormai stata spazzata via dall’immancabile trascorre del tempo.

Fenomeno del tutto naturale, ci mancherebbe! Ma si ha la sensazione di non aver appreso a sufficienza dai racconti e dal vissuto di quelle persone. Si avverte un sorta di rammarico per non aver ascoltato con attenzione i ricordi di chi ha vissuto eventi che noi possiamo solo immaginare.

L'occhio di vetro, il nuovo film del regista fiorentino Duccio Chiarini, tra storia e sentimenti - intoscana

L’occhio di vetro ci racconta la perdita di una memoria

L’occhio di vetro e Napoli milionaria hanno poco o nulla in comune, ma si avverte lo stesso rammarico, per la perdita di una memoria preziosa. Ma Duccio Chiarini non ci sta e fa di tutto per riportare in vita l’esistenza di chi non c’è più.

Liliana, la nonna del regista de L’occhio di vetro, a differenza di Gennaro Jovine, non ha nessuna voglia di raccontare il proprio vissuto durante la guerra e la sua vicinanza al fascismo.

Penso al silenzio di mia nonna e continuo a chiedermi se fu per vergogna, per mancanza d’interesse o forse solo perché la sua vita era andata altrove…”

Con queste parole si chiude L’occhio di vetro. Il rammarico di Duccio Chiarini è più che evidente, per non essere riuscito a sapere ciò che oggi ritiene necessario per ricostruire le sue radici.

Un simbolo generazionale

Il racconto del documentario parte da una memoria familiare. Ma ben presto la storia di Ferruccio e della famiglia Razzini diventa un simbolo generazionale. Ogni spettatore, infatti, può ritrovare elementi riconducibili ai propri cari nella vicenda de L’occhio di vetro.

Duccio Chiarini, senza pregiudizi o idee precostituite, scava nei ricordi della sua famiglia, per trovare delle risposte che la sua nonna non ha mai dato. Nella soffitta di casa trova ogni sorta di oggetto, persino l’occhio di vetro, che dà il titolo al documentario, appartenuto al suo bisnonno.

La nonna e il fascismo

Non ricordo esattamente il giorno in cui venni a sapere che i miei nonni erano stati fascisti. Ma ricordo perfettamente quando mi resi conto di quello che significava.”

È un vero è proprio tormentone che assilla il regista. Sua nonna, con la quale ha trascorso i momenti più sereni della sua vita, era una fervente fascista. Come ha potuto una donna così dolce accettare la politica del regime e le leggi razziali?

L’occhio di vetro cerca di rispondere a questa domanda, con immagini di vita quotidiana, con sbiadite fotografie, vecchie lettere, e filmini girati in famiglia, alternati con filmati d’archivio dell’Istituto Luce.

Lo spettatore vede scorrere la storia di una famiglia, in parte divisa dalle idee politiche, ma anche la vicenda di un popolo intero. Si parte dalla prima guerra mondiale, il biennio rosso, la marcia su Roma, la costituzione del Partito Fascista e poi la tragedia del secondo conflitto mondiale.

Un viaggio intimo

Il documentario ha tanto di storiografico, ma non risulta mai pedante, tutt’altro. L’alternanza tematica, che con equilibrio spazia dal contesto famigliare a quello storico, rende L’occhio di vetro un’opera davvero interessante.

E non mancano momenti poetici, come l’ultima parte, dove il regista, insieme alla sua famiglia, si reca a Maderno, sul Lago di Garda. Qui si mette alla ricerca del passaggio del nonno sul finire della Seconda Guerra Mondiale.

Un viaggio intimo, dove ogni personaggio coinvolto vive i propri ricordi e i propri cari. Ma avvertiamo anche un senso d’impotenza nel non riuscire a ricostruire del tutto un mondo lontano, ma allo stesso modo vicino, perché è grazie al passato che viviamo questo presente.

L’occhio di vetro rende omaggio a questo passato, con gli occhi del presente, e diventa memoria di un mondo ormai senza più testimoni diretti.

Guarda il trailer del film

Leggi l’intervista a Duccio Chiarini

L'occhio di vetro