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70 Festival di Cannes: Jupiter’s Moon di Kornél Mundruczó, il regista ungherese autore di White God (Concorso)

Anche se, nel complesso, Jupiter’s Moon potrebbe facilmente essere liquidato come un film folle e un po’ sconclusionato, e di fatto lo è, isolando alcuni elementi visivi, stilistici e di scrittura emergono delle trovate interessanti

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L’ungherese Kornél Mundruczó, in concorso a Cannes con Jupiter’s Moon, mescola generi in modo bizzarro per una composizione disorientante che ci racconta l’Europa e la sua crisi, inquadrando senza mettere a fuoco il tema caldo dell’immigrazione e dei rifugiati.

Nel 2014 Mundruczó aveva partecipato al festival di Cannes e vinto Un Certain Ragard con il dramma sociale White God. Con un upgrade alla sezione principale, quest’anno ci racconta il Vecchio Continente – il titolo allude appunto all’Europa, nome dato a una delle lune di Giove – attingendo al mondo del poliziesco, action, dei super eroi con incursioni nel paranormale e sci-fi, al dramma sociale-filosofico-esistenziale per stupirci con una regia dalle mille piroette e confonderci con i tanti registri che rendono la narrazione disorientante e disorientata.

Jupiter’s Moon inizia con la fuga del siriano Aryan, rifugiato sparato alla frontiera senza un reale motivo da un poliziotto, e finisce con una elucubrazione pseudo-esistenzialista su bene/male, delitto/castigo/redenzione con affondi nel fantastico. Aryan, invece di morire a seguito dei colpi mortali subiti, inizia a volare. Il dottor Stern, perduto e corrotto, lo incontra e vuole sfruttare la sua qualità, poi invece decide di proteggerlo da chi lo vorrebbe morto (per redimersi?). Il poliziotto, invece, gli da la caccia, se infastidito perché in qualità di angelo proverebbe l’esistenza di Dio o perché lo avrebbe voluto vedere morto già all’inizio non si sa. Nel frattempo continuiamo a non capire bene cosa rappresenti questa figura ‘angelica’, questo ragazzo che scopre di avere dei superpoteri ma non sa come usarli. Sicuramente è una presenza catalizzatrice di eventi, detonatore di quesiti esistenziali e morali che attanagliano poliziotto e dottore, non a caso due figure che dovrebbero proteggere e salvare l’umanità e che invece appaiono come anime corrotte e disincantate. Il superpotere di Aryan, oltre ad essere un’occasione spettacolare per i movimenti di macchina vorticosi, rimane piuttosto inutile.

Anche se, nel complesso, Jupiter’s Moon potrebbe facilmente essere liquidato come un film folle e un po’ sconclusionato, e di fatto lo è, isolando alcuni elementi visivi, stilistici e di scrittura emergono delle trovate interessanti. Ad esempio la scena iniziale nell’acqua è immersiva, l’inseguimento in auto con la soggettiva dell’inseguitore è avvincente e la prospettiva elusiva per (non) parlare dell’immigrazione è coraggiosa. In fondo Aryan potrebbe essere la rappresentazione del diverso-da-noi. L’elemento nuovo e coraggioso di tale rappresentazione è, soprattutto di questi tempi, la ragione della sua diversità: Aryan è diverso e quindi perseguitato non perché rifugiato (con tutti i pregiudizi che la sua condizione si porta dietro) ma per via del suo alquanto inutilizzabile potere che ha, però, il pregio di smascherare la natura umana (delle anime perdute). C’è chi per paura vorrebbe sterminarlo e chi, in cerca di redenzione vede in lui la salvezza.

Francesca Vantaggiato

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