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‘Marnie’: l’ultima bionda di Hitchcock
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Marnie è un thriller psicologico diretto da Alfred Hitchcock, basato sull’omonimo romanzo di Winston Graham, pubblicato nel 1961.
Il film uscì nel 1964 ed è da molti considerato come l’ultimo grande film del Maestro della Suspense.
Marnie
Marnie (Tippi Hedren) è una donna affascinante e misteriosa che ha l’abitudine di cambiare spesso lavoro, nonché aspetto e identità. È in grado di farsi assumere facilmente in vari uffici come segretaria o contabile e, appena ne ha l’opportunità, ruba i fondi della cassaforte dell’azienda, per poi sparire senza lasciare traccia. Quando Mark Rutland (Sean Connery), il suo ultimo datore di lavoro, la riconosce e la sorprende durante un furto, anziché denunciarla la costringe a scegliere tra la prigione e il matrimonio. La donna non ha altra scelta, ma il viaggio di nozze si rivela un disastro perché Marnie è tormentata da profondi traumi interiori che le provocano il terrore del contatto con gli uomini, la paura dei temporali e forti crisi alla sola vista del colore rosso.
Mark cercherà informazioni sul passato della moglie, per capire quali segreti si nascondano dietro i suoi comportamenti.
La ricerca della protagonista
Tippi Hedren era già stata protagonista di un altro film di Hitchcock, Gli uccelli (1963), solo un anno prima, ma non era la prima scelta per il ruolo di Marnie. Hitchcock sperava infatti di poter riavere Grace Kelly per interpretare la protagonista, tanto da aver acquistato i diritti del romanzo di Winston Graham pensando espressamente a lei. L’attrice era in realtà molto tentata all’idea di ritornare sul set dopo vari anni e in particolare di poter lavorare ancora con il regista. Nonostante ciò, dovette rifiutare a causa della sua unione col principe Ranieri III di Monaco. Il matrimonio, avvenuto il 19 aprile 1956, aveva infatti segnato il suo ritiro dalle scene e la principessa dovette tener conto dell’opinione del popolo monegasco, che non approvava un suo ritorno sullo schermo, specialmente in un ruolo considerato particolarmente controverso.
Dal momento che Grace Kelly non poteva interpretare il ruolo di Marnie, vennero prese in considerazione varie attrici tra cui Vera Miles e Eva Marie Saint, che avevano già lavorato col famoso regista, rispettivamente in Psyco (1960) e Intrigo internazionale (1959). Anche Marilyn Monroe mostrò interesse per la parte.
Alla fine, Hitchcock decise di scegliere Tippi Hedren, che aveva già diretto con successo.
Un insolito Sean Connery
Per il protagonista maschile, venne scelto Sean Connery, che aveva già espresso il suo interesse a lavorare col regista britannico. Prima di accettare la parte, l’attore chiese di visionare la sceneggiatura, una cosa che all’epoca venne giudicata piuttosto insolita. Quando l’agente del regista gli disse che Cary Grant non aveva mai chiesto di vedere nemmeno una sceneggiatura del regista, Connery rispose semplicemente: “Non sono Cary Grant.”
In realtà, la sua richiesta derivava dal timore che si potesse trattare di un altro film a tema spionistico, come Intrigo Internazionale o Notorious (1946). In quel periodo, infatti, si stava affermando proprio per il ruolo di James Bond ed era alla ricerca di ruoli differenti, per evitare di essere etichettato come attore legato esclusivamente al ruolo della spia.
I personaggi secondari
Per interpretare la madre di Marnie, venne invece scelta Louise Latham, che nel film venne truccata appositamente per sembrare più vecchia dal momento che aveva solo otto anni in più rispetto all’attrice protagonista. Diane Baker interpreta invece la sospettosa cognata di Mark, sorella della sua defunta moglie. Nel cast è presente anche Bruce Dern, che qui appare solo brevemente, ma che lavorò nuovamente con Hitchcock nel suo ultimo film, Complotto di famiglia (1976).
Una storia controversa
Alfred Hitchcock iniziò a sviluppare l’adattamento cinematografico del romanzo di Winston Graham nel 1961 e la sceneggiatura venne rielaborata più volte. La scrittura dello script venne inizialmente affidata a Joseph Stefano, che aveva già lavorato a Psyco. Quando Grace Kelly rifiutò di parteciparvi, Hitchcock accantonò l’idea per dedicarsi al film successivo.
Quando tornò a occuparsi dell’adattamento di Marnie, lo sceneggiatore Joseph Stefano si vide costretto ad abbandonare il progetto, a causa di altri impegni lavorativi. A quel punto, subentrò Evan Hunter, che aveva già scritto la sceneggiatura de Gli uccelli. Lo sceneggiatore e il regista scrissero assieme varie versioni, ma c’era un punto fondamentale su cui non si trovavano d’accordo. Hunter era particolarmente a disagio con una scena di violenza sessuale presente nel romanzo originale, in cui Mark prende con la forza la moglie, durante il viaggio di nozze. Lo sceneggiatore temeva che il pubblico avrebbe perso ogni simpatia per il protagonista maschile, mentre il regista era invece molto interessato a quella scena e aveva già chiaro in mente come girarla.
Hunter scrisse una versione della sceneggiatura che includeva la scena di stupro, ma preparò anche una sequenza alternativa, chiedendo con insistenza di utilizzare quella al suo posto. A quel punto, lo sceneggiatore venne allontanato dal progetto. Hichcock volle allora assumere una sceneggiatrice, Jay Presson Allen, affinché la storia fosse scritta da un punto di vista femminile.
La fine di lunghi sodalizi
La pellicola segnò anche la fine di diverse collaborazioni molto importanti per il regista; lavorò per l’ultima volta col direttore della fotografia Robert Burks, che morì nel 1968 e anche con il montatore George Tomasini, deceduto poco dopo l’uscita di Marnie. Fu anche l’ultimo suo film in cui le colonne sonore vennero composte da Bernard Herrmann, licenziato durante la realizzazione dell’opera successiva, Il sipario strappato (1966). Il regista e i dirigenti della Universal desideravano per il film una colonna sonora influenzata dal pop e dal jazz, per intercettare i gusti del momento e rendere più commerciabile la pellicola, ma Herrmann si oppose fermamente, convinto che il pop avrebbe indebolito la tensione drammatica. I due artisti ebbero quindi un feroce litigio creativo che mise fine al loro sodalizio artistico.
Il rapporto burrascoso tra Tippi Hedren e Alfred Hitchcock
La formazione della diva perfetta
Prima del film Gli uccelli, Hedren aveva scarsa esperienza da attrice: aveva ottenuto solo un piccolo ruolo come comparsa nel film Ogni anno una ragazza (1950), di Henry Levin, senza nemmeno apparire nei titoli di coda. In quel periodo, lavorava principalmente come modella e fu lo stesso Hitchcock a notarla in uno spot pubblicitario, per la bevanda dietetica Sego.
Rimase particolarmente colpito dalle sue movenze, dall’eleganza del volto e dai capelli biondi. La modella possedeva infatti tutte le caratteristiche della tipica bellezza hitchcockiana, ovvero una bellezza raffinata e discreta, ma allo stesso tempo ambigua, misteriosa e inaspettatamente sensuale.
Secondo le dichiarazioni della moglie e collaboratrice Alma Reville, Hitchcock era convinto di poter trovare, proprio in Hedren, una degna erede di Grace Kelly, la sua attrice-musa per eccellenza.
Nella sua autobiografia, intitolata Tippi: A Memoir (2016), l’attrice racconta di aver ricevuto una telefonata, nella quale le venne semplicemente detto che un “noto regista” voleva incontrarla. Dopo cinque giorni, venne a sapere che si trattava proprio di Alfred Hitchcock. Quest’ultimo, voleva metterla sotto contratto per cinquecento dollari alla settimana e l’attrice, da esordiente a cui capitava un improvviso colpo di fortuna, firmò subito.
Le venne assegnata un’importante costumista, Edith Head, per rifarle tutto il guardaroba. Questa, vincitrice di numerosi premi Oscar, aveva già collaborato più volte col regista, ad esempio curando il look elegante e sofisticato ne La finestra sul cortile (1954), o quello di Kim Novak per La donna che visse due volte (1958). Lo stesso Hitchcock, con l’aiuto della moglie, si incaricò di occuparsi della recitazione della ragazza, diventando il suo insegnante.
L’ossessione per le bionde
Tippi Hedren divenne così la protagonista de Gli uccelli. Quel ruolo la catapultò improvvisamente nell’Olimpo delle star del cinema, ma si rivelò anche un’esperienza particolarmente difficile.
Nel corso delle riprese, si verificarono infatti diversi incidenti. Durante la scena girata all’interno di una cabina telefonica attaccata dagli uccelli, il vetro, che le avevano assicurato essere infrangibile, si ruppe; piccole schegge le finirono direttamente sul viso, ferendola. Poi, in una delle scene più famose, quando la protagonista sale in camera, per poi essere improvvisamente aggredita dai pennuti, uno dei corvi la beccò sull’occhio. Per quella scena, si sarebbero dovuti utilizzare degli animali meccanici, ma all’ultimo si decise di utilizzare dei volatili veri. Corvi, colombe e piccioni vennero scagliati ripetutamente contro l’attrice e le riprese durarono cinque giorni.
Nel frattempo, ancora secondo l’autobiografia di Tippi Hedren, le attenzioni di Hitchcock nei suoi confronti si fecero sempre più insistenti. Il regista iniziò a mostrarsi geloso e possessivo, volendo controllare ogni aspetto della vita dell’attrice, che si vide costretta a rifiutarne più volte le avances.
Il ruolo in Marnie
Quando ricevette l’offerta di interpretare il personaggio di Marnie, Hedren rimase sbalordita dal fatto che Hitchcock le avesse offerto quel ruolo incredibile, considerandola come “un’opportunità unica nella vita“. Allo stesso tempo, il rapporto tra i due peggiorò ulteriormente.
Hedren ha affermato che, durante le riprese di Marnie, il regista “la sottopose a pressioni sessuali in modo ancora più palese, volgare e crudele“. La tensione tra i due arrivò a un punto tale che smisero di parlarsi, comunicando solo tramite intermediari.
Hedren non cedette alle pressioni del regista, che iniziò a minacciare di rovinarle la carriera. Chiese infine di essere liberata dal contratto, ma Hitchcock rifiutò, limitandole anche la possibilità di lavorare con altri registi, tra cui François Truffaut che la voleva per Fahrenheit 451.
Il rapporto complesso tra i due è affrontato nel film The Girl – La diva di Hitchcock (2012), di Julian Jarrold.
Marnie: le prime reazioni e la successiva rivalutazione
Quando Marnie uscì nelle sale, l’accoglienza da parte della critica e del pubblico fu piuttosto tiepida. La pellicola ottenne un moderato successo al box office, ma il risultato fu comunque piuttosto deludente rispetto ai film precedenti di Hitchcock, reduce da grandi successi come Psyco, Intrigo internazionale e La donna che visse due volte.
Le recensioni furono contrastanti. In generale, la sceneggiaturagiudicata complessa e poco chiara e anche gli attori protagonisti vennero considerati come troppo inesperti per dei ruoli così particolari. Ci furono anche critiche rivolte ad alcuni effetti speciali utilizzati nella pellicola, come ad esempio i fondali dipinti, ritenuti troppo teatrali e artificiosi.
Il film si classificò comunque al terzo posto nella lista dei dieci migliori film dell’anno 1964, stilata dai Cahiers du Cinéma.
La reputazione di Marnie migliorò notevolmente nei decenni successivi e oggi è considerato come l’ultimo vero capolavoro del maestro inglese.
“Un grande film malato”
All’interno del volume Il cinema secondo Hitchcock, François Truffaut scrive:
«Marnie fu un insuccesso cocente e nello stesso tempo un’opera appassionante, che rientra nella categoria dei “grandi film malati”.»
Ciò che intende con questa definizione è:
«un capolavoro abortito, un’impresa ambiziosa che ha sofferto per errori di percorso: una sceneggiatura impossibile da girare, un cast inadeguato, delle riprese avvelenate dall’odio o accecate dall’amore, uno scarto molto forte tra intenzione ed esecuzione, un impantanarsi non percepibile o un’esaltazione ingannatrice. Evidentemente la nozione di “grande film malato” si può applicare soltanto a grandissimi registi, a quelli che hanno dimostrato in altre circostanze di poter raggiungere la perfezione.»
Contrasti, parallelismi e ambiguità narrative
I protagonisti di Marnie sono particolarmente complessi e stratificati dal punto di vista psicologico. I personaggi sono profondamente ambigui e lo spettatore si ritrova spesso privo di certezze. È difficile trarre conclusioni nette, sia sulle loro azioni sia sulle loro reali motivazioni. Probabilmente anche per questo il film ricevette un’accoglienza piuttosto fredda alla sua uscita: è un’opera costruita su emozioni contrastanti.
La mente frammentata di Marnie e l’artificialità dello spazio
Marnie appare come un insieme di elementi opposti: da un lato, una donna forte, elegante e apparentemente indipendente, capace di cambiare identità, aspetto e luogo in cui vive con estrema facilità; dall’altro, una persona priva di un’identità stabile, costantemente in fuga da un passato doloroso che non riesce ad affrontare.
Di volta in volta, dopo ogni colpo, la protagonista si trasforma, assumendo l’aspetto, la personalità e gli atteggiamenti di una donna diversa, lasciando dietro di sé tutto ciò che ha conosciuto e anche ogni possibile complicazione o problema.
Gli scenari, palesemente artificiali e teatrali, conferiscono al film un’atmosfera irreale, quasi onirica. Questi elementi sembrano restituire una rappresentazione visiva della mente di Marnie. La protagonista appare infatti come una figura sospesa, incapace di vivere pienamente nella realtà, tormentata da sogni confusi e da immagini frammentate di un passato lontano e indecifrabile.
Furto, ribellione e illusione di libertà
L’atto di rubare, che contrasta fortemente con l’aspetto raffinato e quasi angelico della protagonista, assume il valore di una ribellione alle regole e alle imposizioni sociali. È una forma di trasgressione che le consente di affermare, seppur in modo distruttivo, una parvenza di controllo sulla propria vita.
Gli unici momenti in cui Marnie sembra davvero libera e spensierata sono quelli in cui si muove veloce, attraverso i boschi, in sella al suo cavallo Furio. In queste sequenze la fuga non è più mentale o identitaria, ma fisica, e il movimento restituisce per un attimo l’illusione di una libertà autentica.
Il rapporto materno e il ritorno all’infanzia
Il legame con la madre rappresenta l’unico vero punto fermo nella vita di Marnie, ma è un rapporto profondamente insoddisfacente. La madre, Bernice Edgar, non è in grado di offrirle l’affetto di cui avrebbe bisogno e la sottopone a un giudizio costante, soprattutto riguardo al suo aspetto e alla sua femminilità.
È proprio all’interno di questa relazione che la donna intraprendente e autonoma regredisce a una condizione infantile: Marnie tenta disperatamente di attirare l’attenzione materna, cercando, in un certo senso, di “comprarla” attraverso regali costosi e ricercati. Questo meccanismo alimenta la sua frustrazione, spingendola persino a provare una forte gelosia nei confronti di una bambina del vicinato, verso cui Bernice sembra dimostrare un affetto maggiore.
Il rapporto con la figura materna contribuisce in modo decisivo alla visione distorta di Marnie nei confronti degli uomini e della sessualità, rafforzando la sua incapacità di fidarsi degli altri.
Mark Rutland: tra amore, ossessione e controllo
Mark Rutland resta forse il personaggio più controverso e ambivalente all’interno del film. Il suo interesse per Marnie oscilla tra la volontà di comprenderla e aiutarla e un desiderio di controllo e dominio nei suoi confronti.
Mark è un uomo d’affari facoltoso. È una persona colta, che legge molto, e che ha un particolare interesse per la zoologia e per lo studio del comportamento istintivo degli animali, in particolare dei predatori. Questo suo interesse si riflette e si proietta su Marnie. L’uomo inizia infatti a osservarla con sguardo razionale e scientifico, per capire cosa ci sia realmente all’origine dei suoi istinti, come la necessità di rubare, la paura incontrollabile del colore rosso e dei temporali e l’avversione verso gli uomini e il sesso. Vuole salvarla, ma alle sue condizioni, prendendo più volte delle decisioni contrarie ai desideri della donna.
La scena dello stupro venne girata in modo volutamente ambiguo, inserendo una soggettiva di Marnie, mentre Mark si avvicina lentamente al suo volto; lei tiene lo sguardo fisso verso il soffitto, come paralizzata, incapace di opporre resistenza. L’uso della soggettiva contribuisce a trasmettere il senso di paura della donna, lasciando allo spettatore il compito di cogliere la violenza, senza mostrarla in modo esplicito.
Hitchcock ha più volte dichiarato il suo interesse per la psicologia del crimine e dell’ossessione, privilegiando le fragilità e le contraddizioni interiori dei personaggi rispetto all’azione. In questo modo, il rapporto tra Marnie e Mark diventa il cuore del conflitto narrativo: un intreccio di dipendenza, attrazione e dominazione, che riflette le tensioni psicologiche del film e la costante difficoltà della protagonista a trovare un equilibrio tra autonomia e influenze altrui.
Riflessi metacinematografici
Le dicerie e i racconti legati ai problemi dietro le quinte del film sembrano riflettersi nei rapporti messi in scena. Le dinamiche di potere attribuite al regista nei confronti di un’attrice plasmata per diventare la sua musa trovano un inquietante parallelo nel rapporto tra Mark e Marnie. La presenza costante e apparentemente protettiva di Mark, come quella di Hitchcock sul set, confonde lo spettatore su ciò che è reale cura e attenzione e ciò che è invece dominio e possessività, rendendo le contraddizioni morali e psicologiche ancora più intense.
Un finale dolceamaro
La rivelazione del trauma originario di Marnie non conduce a una vera liberazione e il finale rimane aperto a diverse interpretazioni. Non è infatti chiaro se la protagonista stia davvero andando verso una condizione migliore o se, almeno in parte, resti ancora priva della possibilità di scegliere per se stessa, passando dal giudizio e dalle critiche materne al controllo e all’influenza del marito.
Una domanda resta aperta nella mente dello spettatore: Marnie sta davvero uscendo dal trauma o sta semplicemente passando da una forma di controllo a un’altra?
Un’opera da riscoprire
Marnie resta un film significativo per chi vuole comprendere la cifra stilistica di Hitchcock: un’analisi intensa della psicologia dei personaggi, delle loro ossessioni e dei contrasti interiori, raccontata attraverso una regia elegante e attentamente costruita. Vederlo significa confrontarsi con un’opera di suspense che invita a riflettere sulle complessità dell’animo umano.
Il film è disponibile su Amazon Prime Video, Chili e YouTube.