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Il cinema taiwanese

Una analisi sulla storia e dei film autori più importanti del cinema Taiwanese

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Il cinema taiwanese riflette profondamente la situazione politica e sociale del proprio Paese, Taiwan. Per questo motivo, esso appare estremamente distante da quello cinese, hongkonghese o giapponese.

Libero e sfrontato, per noi occidentali risulta essere il riflesso di un mondo molto diverso dal nostro.

Si tratta di film estremamente originali ma poco conosciuti. Per questo è interessante fare una retrospettiva delle opere più importanti, riflettendo sulla storiografia di questo Paese e riscoprendo un cinema poco trattato.

Taiwan, un Paese in due

Per iniziare la retrospettiva sul cinema taiwanese, è necessario partire da una breve storia di quest’isola.

Situata a circa 150 km dalle coste della Cina continentale, Taiwan ne diventa parte nel 1683, rimanendovi fino alla conquista giapponese del 1895. Con la sua venuta al potere nel 1945, il partito nazionalista cinese comincia a usare il cinema per cancellare cinquant’anni di colonizzazione giapponese e affermare la propria supremazia ideologica.

In questo periodo, i principali film prodotti sono parlati in mandarino e realizzati da fedeli del Partito. I temi trattati sono vicini agli esuli cinesi e ignorano completamente la popolazione locale.

La separazione dalla madrepatria Cina

Alla fine della guerra civile cinese tra nazionalisti e comunisti nel 1949, Taiwan si separa da Pechino. Molti nazionalisti trovano rifugio e instaurano una dittatura anticomunista sull’isola, che chiamano Repubblica di Cina.

Questo provoca una forte tensione mondiale, in particolare tra Pechino e Washington, con quest’ultima che diventa il garante dell’indipendenza di Taiwan.

La Nouvelle Vague del cinema taiwanese

Nella prima metà degli anni ’80, dopo l’instaurazione della democrazia, il cinema taiwanese comincia ad avere un’eco nel panorama mondiale grazie alla sua Nouvelle Vague. La portano avanti giovani autori spinti dalla voglia di distaccarsi dal conservatorismo che il Paese aveva vissuto negli anni precedenti.

In questa nuova corrente si affermano autori come Edward Yang, Tao Dechen, Ko Yi-cheng e Zhang Yi, considerato il principale precursore di tutto il movimento.

Le opere della Nouvelle Vague taiwanese si distanziano dal passato per l’adozione di uno stile più realistico e raccontano ritratti della vita quotidiana taiwanese molto simili al cinema neorealista italiano. I principali aspetti presi in esame sono l’urbanizzazione, la lotta contro la povertà e i conflitti con le autorità.

Una panoramica dei film più importanti

Dagli anni ’90 in poi escono opere che rappresentano il modo perfetto per avvicinarsi al cuore della filmografia taiwanese. Sono film capaci di raccontare i cambiamenti e le paure dell’isola all’arrivo del nuovo millennio e che hanno avuto la fortuna di arrivare anche oltre i propri confini.

La tigre e il dragone (2000)

Uno dei film più importanti della carriera di Ang Lee, ma anche della cinematografia taiwanese. Dopo aver realizzato diverse opere in America, Lee ritorna in patria per dirigere uno wuxiapian di formazione classica.

Uscito nel 2000, riscuote fin da subito un successo strepitoso non solo in patria e in Cina, ma in tutto il mondo. Il merito va al fatto che Lee riesce a realizzare un’opera perfettamente accessibile al pubblico occidentale, grazie al suo romanticismo, all’eleganza delle inquadrature e delle scene d’azione, che riprendono i principali tòpoi del cinema orientale.

È un film che ha fatto scuola, aprendo il cinema orientale al pubblico mondiale e riuscendo a far scoprire, anche nelle opere più mainstream, un modo unico di fare cinema.

Yi Yi – …e uno… e due (2000)

Quest’opera di Edward Yang è il film che sancisce l’inizio del nuovo millennio per lo stato indipendente, riuscendo a ottenere il Premio per la miglior regia al 53° Festival di Cannes.

Il film racconta la storia di una famiglia che assiste ai cambiamenti della capitale, stravolta da tutto ciò che caratterizzerà gli anni 2000: la globalizzazione, la precarietà del lavoro, il capitalismo dilagante.

Quella di Yang è un’opera incisiva del nuovo cinema taiwanese, capace di raccontare il tempo che cambia attraverso l’intimità familiare, con un vecchio mondo di valori e certezze che si dissolve per fare spazio a un mondo nuovo e completamente incerto.

Millennium Mambo (2001)

Uno dei film più memorabili di Hou Hsiao-hsien, che riesce a raccontare perfettamente, alla vigilia del nuovo millennio, i turbamenti vissuti dalla gioventù del Duemila.

I ventenni del film sono gli stessi di oggi, in una Taiwan politicamente in bilico, smarrita e confusa.

Il film di Hsiao-hsien è caratterizzato da una struttura non lineare e dipinge una Taiwan completamente sospesa e frammentaria, come un ricordo sbiadito di un Paese che fu.

Goodbye, Dragon Inn (2003)

Il “Nuovo Cinema Paradiso” di Taiwan, si potrebbe erroneamente pensare, ma non si è troppo distanti dalla realtà.

Sia il capolavoro di Tornatore che quello di Tsai Ming-liang sfruttano una sala cinematografica come specchio di un paese in mutamento, che guarda a un nuovo futuro senza certezze.

A differenza del film del regista italiano, l’opera di Tsai Ming-liang è ambientata interamente all’interno di una sala cinematografica durante la proiezione di Dragon Inn di King Hu. Emerge così un forte senso metacinematografico, che ci fa sentire spettatori dentro l’opera stessa e ci porta a rompere involontariamente la quarta parete.

Siamo vicini alla protagonista perché anche noi, in quella stessa sala buia, incontriamo tutti i personaggi presenti nel cinema, mentre davanti ai nostri occhi accadono storie di ogni tipo. Ciascuna persona accanto a noi ha una propria storia, e il cinema offre loro una forma di condivisione unica.

Cape No. 7 (2008)

Uno dei maggiori successi del cinema di Taiwan, diretto da Wei Te-Sheng, capace di incassare l’equivalente di 84 milioni di nuovi dollari taiwanesi (circa 2,6 milioni di dollari americani) e di diventare un manifesto della nuova generazione di registi taiwanesi.

Uno dei punti di forza dell’opera è la sua capacità di gestire più generi al suo interno, come il melodramma e la commedia, riuscendo a raccontare una generazione che cerca di vivere il post colonialismo giapponese negli anni 2000. Ci regala inoltre un ritratto dell’isola illuminato da una luce affettuosa e da un umorismo autoironico.

The Assassin (2016)

Il film più recente di questa filmografia taiwanese e uno dei più memorabili di Hou Hsiao-hsien, vincitore come miglior regia alla 68ᵃ edizione del Festival di Cannes. Rappresenta inoltre il canto del cigno del regista prima del suo ritiro, annunciato nel 2023.

Uno wuxiapian vecchio stampo ma profondamente intimista, in cui a dominare non sono le lotte di spade, bensì i dubbi, i silenzi e i sentimenti nascosti, non solo dei protagonisti ma anche del sistema politico in cui sono immersi.

Hsiao-hsien sfrutta il genere per donarci un’opera che riflette sui conflitti tra Cina e Taiwan, due paesi molto legati ma costantemente in lotta. È un film che rilegge il genere per eccellenza della cinematografia cinese, per creare un’opera unica e simbolica.

Un futuro incerto

Quello di Taiwan è un futuro incerto, poiché ancora oggi l’isola vive in una condizione di ambiguità politica e diplomatica.

Un Paese non riconosciuto come stato indipendente dalla maggior parte della comunità internazionale, costantemente minacciato dalla Cina, in continua lotta per affermare la propria indipendenza. Un’eterna lotta tra Davide e Golia, centrale per la situazione geopolitica internazionale. Una lotta fondamentale per preservare e raccontare un’identità culturale autonoma, grazie ad autori che trasformano l’incertezza politica in voce artistica.

È stato proprio con la fine della legge marziale nel 1987 che il Paese ha potuto intraprendere un lungo processo di democratizzazione e apertura culturale. Il cinema taiwanese è diventato così un luogo di libertà e riflessione, un atto di resistenza culturale contro una tirannia che per anni ha dominato lo Stato e che oggi, più che mai, è necessario ricordare.

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