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‘1997: Fuga da New York’: l’apocalisse secondo Carpenter
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6 giorni agoon
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Luca Romani1997: Fuga Da New York è una pellicola scritta e diretta da John Carpenter nel 1981, colonna portante della cultura action adventure. L’autore amplia il concetto di isolamento sociale principe in Distretto 13 – Le brigate della morte, rendendolo quantomai esasperato e catastrofico. L’isolamento si spoglia dei suoi panni metaforici, tramutando in materia concreta e palpabile l’abbandono sociale da parte delle autorità non è mai stato così tremendamente reale. L’ecosistema dell’opera prende vita in un contesto credibile a tal punto da essere lui stesso un personaggio. New York possiede uno spirito così incantevolmente truce da risultare irresistibile, viva, spietata.
Una città perduta, un emarginato come ultima speranza
New York è alla deriva. Della Grande Mela, simbolo di progresso e civiltà, oramai non rimane altro che uno sfocato ricordo. In seguito allo spropositato aumento della criminalità negli Stati Uniti d’America, la città viene trasformata in un carcere a cielo aperto. Nessun contatto con il mondo esterno, nessuna possibilità di uscire, morte e disagio permeano in ogni angolo. L’aereo presidenziale con al suo interno il leader d’America, (Donald Pleasence) viene dirottato da un gruppo di reietti decisi a schiantarsi contro un grattacielo Newyorkese. Il presidente riesce miracolosamente a salvarsi dallo schianto grazie alla sua cabina eiettabile, atterrando farraginosamente tra i vicoli di New York, dove sparirà nel nulla. Il governo americano, disperato per l’incidente, tenta il tutto per tutto: far entrare segretamente in città il temutissimo criminale Jena Plissken (Kurt Russell), con la promessa di perdonare ogni suo reato qualora fosse riuscito nell’impresa di salvare la vita del presidente.
Jena Plissken e il mosaico umano di New York
Fuga da New York esprime al massimo la poetica propria dell’autore. L’alienazione dei componenti più bassi della società non ha alcuno scopo rieducativo, mira unicamente all’abbandono di soggetti non ritenuti degni di esser baciati dalla luce della civiltà. L’autore realizza un macrocosmo dove la desolazione è marcata a tal punto da non permettere passi in dietro. Il male dilaga in forma così pura da aver irrimediabilmente estinto ogni traccia di virtù. Carpenter esplicita una voce popolare che all’epoca del film (e tutt’ora) si faceva sentire grandemente: mancanza di fiducia nelle strutture carcerarie, abbandono volontario delle classi meno agiate e timore nei confronti di gang armate.
Per la prima volta compare nella pellicola Kurt Russell, icona machista delle pellicole carpenteriane. Jena Plissken è schivo, inaffidabile, letale e senza scrupoli, così crudelmente scolpito dal mondo che lo ha da sempre circondato. Malgrado le sue evidenti tendenze al crimine, Plissken ci viene mostrato di maggior caratura a livello prettamente umano rispetto agli uomini appartenenti all’alta classe politica. Il personaggio possiede sfumature che, seppur celate, lo rendono estremamente umano. L’implacabile ricerca di umanità da parte di Carpenter si riscontra con ciascuno dei personaggi mostrati. Partendo da Mente (Harry Dean Stanton), passando per il Duca (Isaac Hayes) fino al tassista (Ernest Borgnine). Ognuno si rende tassello di un monumentale puzzle dove ogni cosa è splendidamente al suo posto. La caratterizzazione dei personaggi è perfettamente realizzata. Battute, dialoghi e movimenti corporei restituiscono allo spettatore un perfetto identikit, rendendolo parte attiva dell’universo che sta osservando sullo schermo. Carpenter ancora una volta si schiera dalla parte dei miserabili, rendendoli fulcro della pellicola. I reietti, da sempre ritenuti non meritevoli di attenzione, per una volta diventano tutto ciò che conta. Il governo è costretto ad ascoltare, la violenza generata non è più contenibile, New York ha fame di riscatto.
Apocalisse urbana, il tocco di Carpenter
L’aspetto dell’opera differisce in parte dalle pellicole del regista. Fuga da New York presenta un’estetica simil fumettistica, minuziosamente arricchita con dettagli più realistici a completare il quadro finale. La sublime scenografia lavora in un limbo tra realtà e finzione, realizzando sequenze iconograficamente impattanti, immortali nella cultura pop. Il vero punto di forza della pellicola è proprio la sua New York, mai così pulsante di lugubre vita. Carpenter costruisce un contesto con tale dovizia da esaltare ogni minimo aspetto. Minacciosa e tetra, devastata e apocalittica, la città crea delle ambientazioni uniche nel suo genere, di enorme ispirazione per le pellicole future. Da un punto di vista puramente tecnico, la pellicola può vantare un Carpenter meno acerbo rispetto a The Fog, più consapevole dei suoi mezzi, perfettamente in grado di far risultare ancor più magistralmente i suoi signatures.
La regia predilige inquadrature il più aperte possibili, in modo da mostrare e mettere a nudo la devastazione della città. L’utilizzo di piani sequenza ottimamente realizzati segue alla regola la costruzione della tensione tipica di Carpenter: movimenti di macchina semplici, mai eccessivamente buschi, accompagnano Jena di sequenza in sequenza, ricreando una finta staticità pronta a esplodere da un momento all’altro. Il montaggio è tanto lineare quanto efficace, alternando sequenze di quiete totale e improvvisi momenti estremamente concitati. Colonna sonora, prodotta dallo stesso Carpenter, quantomai calzante con l’intreccio della narrazione. Elettronica, ritmicamente incessante e profondamente disturbante, aspetti chiave della produzione musicale dell’autore. La combinazione di tutti gli elementi dona un irresistibile tocco autoriale all’opera, rendendola a suo modo irripetibilmente replicabile per anima e concetto.
1997: Fuga da New York ha donato alla Settima Arte un’eredità senza tempo, cult assoluto firmato da uno dei cineasti più influenti del panorama horror. John Carpenter riconferma i suoi ideali, schierandosi dalla parte degli ultimi, invisibili, volutamente oscurati da uno stato sordo ai richiami di dolore. Opera action con spirito antistituzionale in pieno stile Carpenter, cinico e politico, sempre attuale.