Diamo per scontato molte cose. E questa frase stessa è anch’essa molto scontata, in effetti. Ma una delle cose che diamo più per scontate riguarda proprio la nostra identità. Dare una risposta alla domanda “Come ti chiami?” sembra la cosa più naturale e banale che possa esistere. Tuttavia, non lo è affatto.
Ci sono persone come Daniel Santucho Navajas che, dopo 46 anni, scoprono che l’identità costruita, partendo proprio dal nome, era una menzogna. Da quando aveva 20 anni iniziò a nutrire dei dubbi nei confronti della sua identità, ma fu poco prima del Covid che si decise a scovare il suo passato. Le Abuelas de Plaza de Mayo, che conservano le informazioni genetiche delle vittime della dittatura militare in Argentina, sono riuscite a trovare una corrispondenza di DNA nel luglio 2023. Un momento di rinascita, di ripartenza, che gli permette di conoscere la sua famiglia biologica e, con essa, la verità sul suo passato.
La storia di Daniel Santucho Navajas ci accompagna per tutta l’opera di Identidad. Diretta da sua sorella Florencia Santucho e da Rodrigo Vázquez-Salessi, regista pluripremiato e corrispondente di guerra che ha perfezionato il proprio mestiere in Argentina per poi trasferirsi nel Regno Unito nel 1995 per studiare alla National Film & TV School. Il documentario è stato presentato al Rome International Documentary Festival, mentre continua ad espandersi anche nella stessa Argentina.
“Daniel porta il cortometraggio in giro per l’Argentina, davanti a mille persone, nelle scuole, nelle università, nei centri culturali. Si tratta di un’ulteriore conquista, perché lui stesso si è appropriato del progetto del linguaggio audiovisivo per continuare a raccontare la sua storia e cercare di aiutare altri e altre a risvegliare i dubbi sulla propria identità.”
Il documentario come corpo della verità
Oltre a Identidad, ci sono stati effettivamente molti film, tra virgolette più mainstream, che sono stati in grado di riscoprire i drammi della dittatura attraverso la fiction. Basti pensare al successo globale di Argentina 1985, che ricostruisce il processo alla giunta attraverso il cinema narrativo, opera presentata in concorso alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
La fiction ha in qualche modo il compito di ordinare il caos, di creare una storia, oppure rendere una storia ancora più narrata e quindi guardabile e godibile dinanzi allo spettatore medio. Il documentario, invece, si fa carico dell’irricevibile. In Identidadl’assenza di mediazione attoriale diviene il dispositivo cinematografico più potente.
Quando vediamo Daniel entrare nel luogo in cui è effettivamente nato, dunque nel centro clandestino di detenzione di sua madre, non stiamo guardando una performance. Non stiamo vedendo qualcosa che dovrebbe sembrare vera: stiamo assistendo all’accadere della verità nel momento stesso in cui viene filmata.
L’opera urge di testimonianza. Di un cinema che non deve abbellire, ma mostrare il trauma nel suo farsi fisico, divenendo poi tangibile.
Lo spazio e la memoria genetica in Identidad
Nello stesso luogo in cui riesce in qualche modo a ricongiungersi con sua madre, anche se ella non possiede un vero luogo in cui portarle dei fiori, qualcosa lo riconnette comunque a lei. Trasforma l’architettura in un vero e proprio archivio emotivo.
E confrontandosi con gli altri componenti della famiglia, che vengono rappresentati da una regia che sembra abbracciarli, è come se noi fossimo parte di quella famiglia. Dopo diversi confronti, Daniel si rende conto di quanto la memoria subconscia possa essere la prova scientifica ed emotiva che l’identità non può mai essere cancellata.
“Infatti una delle mille questioni che poi rimangono e non si possono raccontare nel film è che la primogenita di Daniel si chiama Camila come mio fratello Camilo, un fratello maggiore. Probabilmente perché la madre incinta, anche in questo campo di sterminio sotto tortura, gli diceva: ‘Tu hai due fratelli, uno si chiama Miguel e l’altro Camilo’. Il primo nome che è venuto in mente a Daniel era poi Camila quando doveva avere una figlia.”
La dittatura ha provato a recidere i legami, falsificando i documenti, ma non è riuscita a estirpare l’eredità affettiva. La famiglia ha accolto Daniel immediatamente, mostrandogli e raccontandogli tutto quello che la famiglia aveva passato attraverso le poche immagini d’archivio. Le stesse immagini che vengono poi condivise con lo spettatore.
Il cinema come atto di resistenza al negazionismo contemporaneo
Perché un film come Identidad è urgente oggi? Perché non parla solo del passato, ma interroga anche il presente. In un’Argentina dove il governo Milei taglia i fondi alle Abuelas e tenta di riscrivere la storia riducendo il numero delle vittime, il cinema documentario diventa una prova forense. L’opera può essere inserita in una battaglia culturale contro l’oblio, contro il costante brainwashing.
Ma lo sguardo si allarga e Florencia Santucho porta in sala il parallelismo con il genocidio in Palestina: un luogo in cui i bambini sono costretti a scriversi il nome sulla pelle per evitare di diventare degli ignoti.
Anche questo è un furto d’identità. E la cancellazione dell’altro è una pratica sistematica che continua a ripetersi all’interno della geopolitica. La storia, purtroppo, continua a ripetersi. Infatti Identidad non è destinato solamente alle sale cinematografiche, bensì alla coscienza civile.
“In Argentina per fortuna la memoria storica della società civile è ancora molto forte, non ha la capacità dello streaming quindi il mainstream racconta un’altra storia o cercano di occultarla. Impediscono anche ai docenti di parlarne a scuola, ma la piazza il 24 marzo continua a essere gremita e la gente continua a sapere dove deve stare.”