Prodotto dalla Touchstone Pictures, distribuito nelle sale nel 1984 e attualmente disponibile su Disney+, Splash – Una sirena a Manhattan è il film che lancia la carriera attoriale di un giovanissimo Tom Hanks e regala a Daryl Hannah il ruolo iconico della sirena Madison, catapultata nella frenesia newyorkese degli anni ’80.
Con Splash, Ron Howard firma una commedia romantica dalle tinte fantastiche che, sotto la superficie patinata della romcom hollywoodiana, nasconde un simpatico e sfaccettato racconto sulla contemporaneità, sulla ricerca della propria identità e sul ritrovamento di una purezza apparentemente perduta.

Splash – Una sirena a Manhattan
La storia segue il giovane imprenditore newyorkese Allen Bauer (Tom Hanks), apparentemente incapace di amare una donna e reduce da una rottura, il cui destino viene segnato da un miracoloso incontro. Infatti la misteriosa e avvenente sirena Madison (Daryl Hannah) lo salva da un annegamento nei pressi di Cape Cod, e, attratta da lui e dal mondo umano, decide di cercarlo a Manhattan. I due si innamorano perdutamente l’uno dell’altra e si trovano costretti ad affrontare insieme la vita caotica della metropoli, interrotta da un ricercatore frustrato (Walter Kornbluth), che vuole a tutti i costi dimostrare la vera natura di Madison, e un gruppo di spietati scienziati che desiderano vivisezionarla e studiarla. Infine, sarà il profondo e sincero amore che li lega a salvare la vita della sirena e a cambiare per sempre quella di Allen.
L’amore impossibile come lente sulla contemporaneità
Il film si muove su una doppia direttrice. Da un lato, la commedia romantica che gioca con il linguaggio e i cliché sentimentali – la sirena che scopre la città e lo shopping, la cena romantica, la passione sfrenata di inizio relazione, la chimica irresistibile, la difficoltà di essere accettati come coppia dalle persone che li circondano. Dall’altro una parabola sulla perdita della propria natura e della purezza, successivamente ritrovata grazie al sentimento. Madison si presenta come una figura liminale, ingenua e per molti tratti infantile, sospesa tra due universi apparentemente inconciliabili: quello del mare, arcaico e incontaminato, e quello urbano, simbolo dell’America consumistica e alienata.
Ron Howard, al suo terzo lungometraggio come regista emergente, dopo Attenti a quella pazza Rolls Royce (1977) e Night Shift – Turno di notte (1982), tratteggia con leggerezza, ma anche con grande consapevolezza, un’America edonista, caratterizzata da superficialità e interesse mirato solo al profitto.
Allen è la perfetta rappresentazione del giovane lavoratore, diviso tra l’ascesa professionale e un senso di vuoto esistenziale, alla ricerca della propria identità. In Madison ritrova un contatto con la purezza e la meraviglia perdute durante l’infanzia, in seguito al suo primo incontro con la sirena e all’esperienza traumatica che fa scaturire in lui la fobia del mare. La loro storia diventa così un modo per raccontare la tensione tra natura e civiltà contemporanea, tra autenticità e artificio. Non è certo un caso, infatti, se il primo approccio di Madison nei confronti del mondo umano deriva dal medium televisivo, dal linguaggio pubblicitario e dalle dinamiche capitalistiche del centro commerciale (la prima parola che riesce a pronunciare è proprio Bloomingdale).

Una traccia del sogno americano
Il film è costellato di momenti iconici: Madison che emerge dalle acque di Manhattan nuda e libera; l’incontro puerile tra Allen e la sirena, il bacio sott’acqua, la scoperta del linguaggio televisivo; il finale struggente in cui i due amanti scelgono di fuggire insieme nel mare. Ogni scena concorre a costruire un racconto dove il fantastico è utilizzato non per raccontare l’evasione dalla realtà, ma piuttosto come una lente attraverso cui leggerla al meglio.
La disperata storia d’amore tra un uomo e una sirena diventa dunque una metafora del sogno americano e dei suoi limiti. Madison, creatura di un altrove, viene osservata, studiata e infine imprigionata in un laboratorio governativo, mettendo in luce una società dedita più al tentativo di possesso che alla comprensione. È attraverso questo sguardo scientifico e voyeuristico che Howard mostra la deriva del progresso, il desiderio di catalogare e dominare persino ciò che non ci appartiene e ci meraviglia, una possibile eco delle tematiche trattate dal quasi coevo film di Steven Spielberg, E.T. l’extraterrestre (1982).
Ron Howard e la commedia romantica
Il regista gioca abilmente con il tono fiabesco e incantato e con i registri della screwball comedy classica, alternando momenti della comicità slapstick – grazie soprattutto al personaggio di Freddie (John Candy), scapestrato e casanova fratello del protagonista – a scene di sincera tenerezza. Il regista evita di cadere nel sentimentalismo e costruisce il perfetto equilibrio tra ironia e romanticismo, sulla scia di opere caposaldo del genere, come Io e Annie (1977) di Woody Allen (l’opera viene persino citata all’interno della pellicola), e anticipando la sagace scrittura di una delle più grandi maestre del linguaggio romcom, Nora Ephron (Harry, ti presento Sally…, 1989).
La regia di Howard risulta perfettamente calibrata, capace di alternare ritmo a momenti di ampio respiro, attraverso un montaggio lineare che si sposa perfettamente con la colonna sonora di Lee Holdridge, dai toni incantati e sospesi tra sogno e realtà.
Splash oggi: un classico intramontabile o una pellicola datata?
Sotto una prospettiva contemporanea, a poco più di quarant’anni dalla sua uscita, Splash – Una sirena a Manhattan conserva intatta la sua grazia e la sua forza emotiva, pur mostrando inevitabilmente alcune dissonanze rispetto alla sensibilità odierna. In particolare, il personaggio interpretato da John Candy rivela una visione delle donne intrisa di atteggiamenti misogini e comportamenti irrispettosi che, sebbene all’epoca fossero ammantati dal velo dell’ironia, oggi appaiono difficilmente giustificabili o innocui.
Il primo atto del film procede con passo misurato, dedicando il giusto tempo alla presentazione dei personaggi e al setup narrativo. Progressivamente, tuttavia, il ritmo si fa più incalzante, fino a un terzo atto perfettamente calibrato, in cui ogni nodo della vicenda trova soluzione con coerenza e un senso di ottimismo che pervade l’intera opera.
In conclusione, Ron Howard realizza un film solo in apparenza leggero, un piccolo gioiello di equilibrio narrativo in cui la commedia romantica si trasforma in una riflessione sul desiderio di evasione e sul potere redentivo del sentimento. Splash riesce così a incarnare con autenticità un’epoca, quella dei sogni scintillanti e un po’ ingenui degli anni ’80, restituendone tanto il fascino quanto le ombre. Nonostante la sua patina nostalgica, la pellicola non appare particolarmente datata, e riesce nell’intento di ricordarci, con la delicatezza di una risata e la potenza di un tuffo, che a volte per salvarsi bisogna avere il coraggio di seguire il proprio cuore e tornare in mare.
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