Black Waterè un documentario del 2025 prodotto in Spagna dalla casa En Buen Sitio Producciones, diretto e sceneggiato da Natxo Leuza Fernandez.
Il film porta lo spettatore nel sud del Bangladesh, dove la popolazione costiera (minacciata dall’innalzamento del mare, dall’erosione, dai cicloni e dalla migrazione) è già in stato di emergenza.
Nel contesto del RIDF, festival che ha luogo a Roma dal 3 al 7 dicembre e che privilegia documentari indipendenti, critici, spesso dalla forte componente sociale e ambientale, Black Water appare perfettamente in linea con la mission del festival: investigare crisi trascurate, testimoniare voci marginali, sollevare domande più che dare risposte.
Black Water: l’eco di un futuro distopico già iniziato
Il nucleo tematico è duro e urgente: la crisi climatica non come evento futuro, ma come realtà già in atto. Leuze Fernandez concentra lo sguardo sulla famiglia di Lokhi (o Lokkhi) che lascia la sua casa nella zona costiera del Bangladesh per trasferirsi a Dhaka, la metropoli in rapida espansione.
La scelta estetica mischia l’osservazione documentaria “fly-on-the-wall” con un registro che allude quasi alla fantascienza distopica.
In questo contesto, il linguaggio visivo diventa cruciale: il regista e il direttore della fotografia Jokin Pascual utilizzano paesaggi acquatici, cieli gonfi di nuvole, barriere erose, fiumi in piena, per rendere visibile ciò che normalmente è invisibile: l’erosione dei territori, la migrazione forzata, la perdita dei mezzi di sostentamento.
Dal punto di vista narrativo, il film evita un approccio eccessivamente didattico: non ci sono voci fuori campo che spiegano tutto, piuttosto si privilegia una costruzione per immagini e situazioni, momenti di vita quotidiana in bilico, il silenzio prima della tempesta, la difficoltà di stabilirsi in una città come Dhaka, che accoglie migliaia di migranti ambientali al giorno.
Una megacittà immersa nella pioggia
Il film coglie una delle questioni più decisive del nostro tempo: la migrazione climatica, con numeri e scenari impressionanti (entro il 2050 si prevede che una parte significativa della costa del Bangladesh sarà inabitabile). Nonostante l’urgenza del tema la resa visiva suggerita dai materiali di produzione e dalle schede di festival lascia intendere un film che non si limita al reportage, ma cerca un impatto estetico (una “megacittà immersa nella pioggia”, atmosfera quasi apocalittica) che permane nella memoria.
Il fatto che la famiglia di Lokhi sia al centro del film dona concretezza e umanità alla questione. Non solo numeri e dati, ma volti, relazioni, perdita e speranza. Un vero e proprio racconto.
Il film non propone risposte semplici né soluzioni facili (e giustamente). Tuttavia, in un contesto festivaliero, è importante che ci sia anche spazio per il dialogo, per il post-visione, perché lo spettatore non resti semplicemente “interrogato” ma stimolato ad agire o a riflettere.
E per un evento come RIDF che punta sul “dare visibilità a storie non mainstream”, Black Water rappresenta perfettamente il tipo di proposta che può aprire riflessioni, dibattiti e incontri.
Il progetto di Natxo Leuza Fernandez è un documentario forte, impegnativo ma molto adatto a un ambiente come quello del RIDF. Non è un film facile: richiede attenzione, riflessione, disponibilità a confrontarsi con un tema globale che ci tocca anche localmente.