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‘Listen Up Philip’ : l’io spezzato dell’intellettuale moderno
La critica dello scrittore glamour.
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2 mesi agoon
Su Mubi il terzo lungometraggio del regista indipendente Alex Ross Perry, Listen Up Philip. Prodotto da Washington Square Films e distribuito da Tribeca Films, il dramedy ha avuto un passaggio festivaliero al Sundance Film Festival nel 2014 prima di vincere il premio speciale della giuria al festival di Locarno. Protagonista del film l’attore feticcio di Wes Anderson, Jason Schwartzman, con Elisabeth Moss, Krysten Ritter, e Jonathan Pryce.
Il TRAILER – Listen Up Philip
Listen Up Philip
Philip (Jason Schwartzman) è un giovane scrittore acclamato ma irritabile in attesa della pubblicazione del suo secondo romanzo. Si sente annoiato dalla sua vita quotidiana e dalla sua relazione instabile con la fidanzata fotografa Ashley (Elisabeth Moss). In tutto questo caos, il suo idolo, il veterano romanziere Ike Zimmerman (Jonathan Pryce), gli offre alloggio nella sua casa estiva, un luogo isolato dove potrebbe trovare pace.
Il voice over come dispositivo letterario e filmico – Listen Up Philip
Alex Ross Perry col suo Listen Up Philip si impone come una delle voci più interessanti del cinema indipendente americano. Proveniente dalla galassia Mumblecore (l’avanguardia cinematografica indipendente nata negli anni duemila), Perry innesta un linguaggio secco e ruvido, proprio di tale movimento, con una costruzione colta ed elitaria nella quale la parola assume un profondo strumento di analisi psicologica. Attorno alla parabola di Philip, un nevrotico scrittore che in quasi tutto ripropone l’archetipo di Woody Allen, orbitano vari specchi interiori; Philip osserva il mentore Ike come proiezione del proprio futuro, di contro la compagna del protagonista, Ashley, osserva Philip come figura di perdita e di disgregazione affettiva.
Analogamente lo spettatore osserva tale immagine-specchio tra i personaggi mediante il voice over della voce narrante che ha la funzione di filtrare gli eventi con distacco ironico e letterario. Lungi dall’essere un mero espediente di racconto, il voice over nel film ha la funzione di “voce d’autore”: un narratore onnisciente che osserva, irride, e a volte giudica soprattutto Philip. Questa scelta di Perry introduce una dimensione testuale e quasi romanzesca. Listen Up Philip, difatti, non racconta solo di uno scrittore ma descrive il film stesso come un romanzo; lo si può notare nell’azione del voice over che scandisce i capitoli, commenta gli eventi, creando un effetto di straniamento diretto ad interrompere l’immedesimazione.
Riprendendo la famosa domanda del teorico Andrè Bazin “Che cos’è il cinema?”, ugualmente Alex Ross Perry si chiede che cos’è il cinema post-moderno e come raccontare questo nella crisi dell’autore-scrittore. Così la voce narrante, ironica e onnisciente, diventa la rappresentazione esteriore di una soggettività ormai scissa, un commentatore esterno che comprende e compensa l’impossibilità di un io coerente.
L’intellettuale narcisista
Il Philip di Schwartzman è un affresco critico e disarmante nell’intellettuale americano che crede di saperla più lunga della sua realtà. È brillante, ma insopportabile, lucido ma incapace di empatia, radical chic e affettivamente disfunzionale. Listen Up Philip disegna, quindi, un personaggio collocabile a metà tra l’egocentrismo dell’alterego di Woody Allen e il nichilismo post-bohemien urbano. La difficoltà di Philip di amare Ashley e di confinarsi in relazioni improvvisate e fulminee (come avverrà con la figlia di Ike), rappresenta il nucleo del plot relazionale del film nell’impossibilità dello scrittore di aprirsi al mondo degli affetti, volutamente allontanati.
Philip percepisce le relazioni così come vede il mondo: un insieme di fallimenti continui per i quali rifiuta qualsiasi responsabilità affettiva. La scrittura così diventa un atto di dominio, un modo di ridurre l’altro ad oggetto narrativo e sociale.
Se si vede il film in termini sociologici, è potente la lettura che Perry dà della crisi dell’artista: la creatività non è più un gesto liberatorio ma una perenne competizione di ansia e narcisismo. In questo senso Listen Up Philip diventa una sorta di autopsia dell’ego letterario in cui la soggettività individuale diventa patologia.
Lo spazio mentale newyorkese
Come nelle migliori commedie esistenziali di Woody Allen, nello sguardo di Alex Ross Perry, New York diventa non un semplice sfondo ma una proiezione psichica. Il regista la filma con tonalità autunnali, con un’estetica granulosa richiamando il cinema anni ’70 di Allen. I quartieri residenziali, le librerie, le università e i bar diventano microcosmi della nevrosi intellettuale. Come il regista di Annie Hall e Manhattan, Perry si discosta da un uso massiccio di campi e contro-campi, preferendo campi medi e lunghi non solo per lo spazio ma in primis per le conversazioni del film.
Ciò, però, a differenza delle opere di Allen protese ad avvicinare i personaggi con la distanza, allontana emotivamente il mondo di Philip da se stesso, sottolineando l’incapacità del protagonista di entrare realmente in relazione con gli affetti del dramedy di Perry. Uno stile visivo che riflette il punto di vista di Listen Up Philip : essendo l’egocentrismo il male contemporaneo, il piano registico deve visualizzare e frammentare la solitudine e lo sguardo autolesionista dell’intellettuale medio.
La prospettiva di Ashley
A metà film Perry compie un cambiamento sorprendente: la narrazione si sposta su Ashley, la fidanzata del protagonista in balia della tossicità relazionale di Philip. Questo ribaltamento prospettico interrompe lo sguardo maschile del film aprendosi alla sofferenza silenziosa del personaggio di Moss. Cambia anche la regia utilizzando l’espediente dell’intervista con insistenti mezzi primi piani su di lei. Listen Up Philip diventa anche una riflessione di genere; se Philip incarna l’io ipertrofico maschile, Ashley nella sua ingenuità ne rappresenta un’esistenza autentica non filtrata da sovrastrutture intellettuali. Assistiamo quindi ad una contro-narrazione: il regista offre al personaggio di Ashley un’autonomia narrativa che ribalta la narrazione unilaterale e maschile del cinema classico dove la donna è spesso un contorno o un oggetto per l’arguto intellettuale maschile.
Il mentore-nemesi
A questo punto di Listen Up Philip è chiara la sua suddivisione in tre parti. La terza riguarda l’introduzione del personaggio di Ike Zimmerman, lo scrittore anziano, mentore di Philip, che invita lo scrittore giovane e irruente nella sua casa di campagna per ritrovare l’ispirazione. Ike è la versione senile e disillusa del protagonista, un doppio che mostra il destino finale dell’egocentrismo. Tra i due scrittori viene continuata la dinamica di specchi del film: l’allievo ammira il maestro ma ne scorge il rischio della propria traiettoria futura, e dall’altra parte il vecchio mentore è condizionato dalla gelosia verso il nuovo arrivato vendendo in questo tutta l’invettiva creativa dei suoi inizi giovanili. Quindi attraverso Ike, Perry ricostruisce un discorso intergenerazionale sulla crisi dell’intellettuale medio, arrivando a concludere come l’età non porta saggezza ma solo rancore e amarezza.
Due scrittori e la ripetizione della nevrosi
Ike vive nel culto del passato, incapace di accettare la propria marginalità. Questo dispositivo del doppio, nel contrasto tra mentore e allievo, fa riemergere la riflessione filosofico letteraria sull’identità frammentata dell’autore post-moderno; in Listen Up Philip la parabola del doppio ha evidenti richiami con Il sosia (1846), celebre opera del romanziere russo Dostoevskij, e con William Wilson (1839) di Edgar Allan Poe. Un doppio quindi morale che offre ad Ike/Philip lo specchio della propria condizione : uccidersi metaforicamente a vicenda significherebbe rimanere intrappolati nel ciclo dell’egocentrismo. Perry in questo senso non racconta la maturazione di un personaggio, (come fa Allen con l’umanizzazione dei suoi alterego) ma l’immobilità ripetuta della nevrosi di un intellettuale proteso a ripetere in perpetuo il proprio declino.
Listen Up Philip parodizza le posture dello scrittore contemporaneo dal disprezzo per il successo commerciale all’ostentazione del fallimento come forma di autenticità. Il narcisismo diventa forma e lo sguardo distaccato linguaggio. Un parallelismo molto vicino per certi versi al Noah Baumbach di Frances Ha, anche se Perry si dimostra più spietato e meno conciliatorio.
La commedia nera su Mubi è una riflessione sull’arte stessa, sul suo potere di ferire e isolare, ma anche sulla sua capacità di smascherare le fragilità dell’artista nel suo non bastarsi mai. Quindi Perry, con ironia e crudeltà d’autore, si fa beffe del mito dell’intellettuale newyorkese glamour e radical chic, restituendoci un ritratto spietato ma necessario del nuovo scrittore americano. Arrogante, brillante, depresso, e tragicamente umano.