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50 giorni di cinema Firenze

‘The Long Road to the Director’s Chair’: cinema e femminismo tra passato e presente

Presentato nella sezione “Feminist Frames”, il documentario della regista norvegese Vibeke Løkkeberg, si basa sul ritrovamento, dopo 50 anni, di materiali inediti del primo Seminario Internazionale di Cinema femminile tenutosi a Berlino nel 1973. Da testimonianza storica a manifesto politico di stringente attualità.

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La 66esima edizione del Festival dei Popoli di Firenze – la più antica manifestazione interamente dedicata al cinema documentario in Europa e una delle più prestigiose in Italia – dà grande attenzione da sempre alle donne, alle loro tematiche ed alla storia del femminismo.

Quest’anno oltre la metà dei film in programma al Festival sono infatti girati da registe donne: fra questi da segnalare una vera e propria ‘chicca’, sia per le questioni di genere affrontate e sia per le/i cinefili appassionati di materiali d’archivio. Si tratta di The Long Road to the Director’s Chair, della regista norvegese Vibeke Løkkeberg, presentato nella sezione Feminist Frames, una testimonianza filmata dalla regista stessa ma rimasta chiusa nel cassetto per 50 anni, del primo Seminario Internazionale di cinema femminile tenutosi a Berlino nel 1973.

La giovane Vibeke (classe 1945) all’epoca neppure trentenne, aveva infatti partecipato al First International Women’s Film Seminar di Berlino con il suo film Abort (1971), documentando anche l’evento, intervistando le aspiranti cineaste (alcune già note) e filmando in 16 mm. dibattiti, interviste e momenti di confronto sulle difficoltà di essere donne nel cinema, tra disparità, marginalità e sessismo.

Il prezioso materiale, mai montato, è rimasto sepolto per cinquant’anni negli archivi norvegesi, fino al recente ritrovamento di pellicole e tracce sonore, che ha dato vita a questa straordinaria opera, che evidenzia la visione senza compromessi della regista.

Le istanze delle registe donne nei dirompenti anni Settanta

Nelle prime scene delle pellicole ritrovate viene intervistata, davanti al cinema dove si svolge il Seminario internazionale di cinema femminile, una giovane donna: ‘Perché sei presente a questo Festival?’ le chiede l’intervistatrice, ‘Perché sono una cineasta e una femminista – risponde lei – e apprezzo soprattutto quei film che mostrano una nuova auto-assertività delle donne, in cui le donne non si lamentano soltanto di essere vittime ma vengono rappresentate come persone forti e capaci di azione”.

Dunque le istanze femministe e di autodeterminazione degli anni Sessanta e Settanta, che aleggiavano in tutta Europa e nel mondo sono pienamente restituite nel film, che rimanda intatta l’atmosfera del grande cambiamento in corso nel periodo, anche grazie alla pellicola in bianco e nero, agli abiti vintage ed agli ambienti, del tutto originali, da cineclub tedesco underground.

Il film solleva le grandi questioni sociali e culturali relative al ruolo delle donne nella società e nel cinema, evidenziando il desiderio ed i sogni di molte delle giovani registe partecipanti, intervistate da Vibeke, di percorrere la strada che conduce a sedersi sulla ‘sedia’ del regista (da qui il titolo) senza perdere la loro essenza di donne, né tantomeno dovendo omologare i propri comportamenti a quelli degli uomini, razionalisti, conflittuali, spesso in competizione per il potere.

Tutte questioni in apparenza superate, quelle su cui riflettono le registe degli anni Settanta, ma in realtà ancora oggi di grande attualità, benché qualche passo avanti sia stato fatto in questi cinquant’anni.

Disparità, marginalità e sessismo: temi attuali oggi come allora

Nel film-documentario The Long Road to the Director’s Chair, di grande potenza visiva e narrativa, la regista, Vibeke, crea infatti un filo rosso fra i temi scottanti di ieri e quelli di oggi: la parità nella differenza contro ogni disparità di trattamento, sociale e lavorativo, l’autodeterminazione femminile contro la marginalizzazione e l’invisibilità, il superamento dei tabù del corpo e del sesso, l’affermazione anche al cinema di una donna libera, combattiva e padrona di sé, non più vittimizzata e remissiva.

Dunque la Løkkeberg non si limita a ricostruire un progetto interrotto a distanza di mezzo secolo ma lo trasforma in un gesto di resistenza, in un ponte tra passato e presente che fa memoria di una lunga storia di lotte per ottenere uno sguardo libero e paritario, un cammino che non si è ancora concluso, ma che rimane come eredità, insieme alle conquiste ottenute, per le generazioni future.

Da film incompiuto, l’opera si trasforma così in manifesto politico, disegnando un affresco autentico e necessario, insieme documento storico e testimonianza di un femminismo affamato di ricerca e azione, simbolo di una cultura al femminile che ancora oggi lotta per affermare pienamente il proprio diritto ad esistere.

Nel cast, oltre alla stessa regista Nurit Aviv, Helke Sander, Valeska Von Roques, Claudia Von Alemann e l’italiana Annabella Miscuglio (una delle co-fondatrici del mitico Filmstudio).

Vibeke Løkkeberg

Nata nel 1945 a Bergen (Norvegia), Vibeke Løkkeberg è una delle registe, autrici e icone culturali più prolifiche della Norvegia. Nota per film innovativi e spesso controversi come “Løperjenten” (La storia di Camilla) e “Hud” (Pelle), la regista porta in questi progetti la sua visione senza compromessi e la sua abilità narrativa. Nel 2005 è stata nominata Cavaliere dal Presidente italiano e nel 2015, ha ricevuto il Premio onorario Amanda per il suo contributo al cinema norvegese.

  • Anno: 2025
  • Durata: 70'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Norvegia
  • Regia: Vibeke Løkkeberg