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‘La mano sulla culla’: il thriller che non colpisce su Disney+

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La mano sulla culla, diretto da Michelle Garza Cervera, vede come protagoniste Maika Monroe e Mary Elizabeth Winstead. Il film racconta la storia di Caitlin Morales (Winstead), una madre benestante che vive in periferia. Quando assume una nuova tata, Polly Murphy (Monroe), scopre presto che la donna non è chi dice di essere.

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Remake dell’omonimo film del 1992 di Curtis Hanson, La mano sulla culla ambisce a costruire un thriller intenso e dall’impostazione “casalinga”. Con l’avanzare della trama, la tensione cresce insieme al mistero che circonda il personaggio interpretato da Maika Monroe.

Michelle Garza Cervera apre il film con una sequenza potente e sconvolgente, promettendo una visione carica di emozioni forti. Tuttavia, questa promessa si affievolisce nel prosieguo. La regia assume un tono più televisivo e modesto, come se l’inizio e il resto del film appartenessero a due opere differenti.

Mary Elizabeth Winstead (Scott Pilgrim, 10 Cloverfield Lane) conferma la sua presenza scenica unica e offre un’interpretazione solida, aggiungendo un altro ruolo significativo alla sua carriera. Maika Monroe (Longlegs) le tiene testa con una performance intensa e magnetica.

Maika Monroe (a sinistra) e Mary Elizabeth Winstead (a destra) in una scena de La mano sulla culla

La mano sulla culla: un thriller poco ispirato

Il principale problema di La mano sulla culla è la sua ambiguità narrativa. Il film tenta di raccontare troppo e troppo poco allo stesso tempo. La tensione manca del tutto, e le immagini non trovano mai un vero valore espressivo. Il risultato è un senso costante di indifferenza. Anche quando la trama sembra ripetersi, le improvvise svolte narrative finiscono solo per infastidire.

Oltre ai limiti della sceneggiatura, emergono gravi problemi nella costruzione dei personaggi. Mary Elizabeth Winstead offre un’interpretazione discreta, seguita a ruota, in parte, da Maika Monroe. Il resto del cast, però, risulta poco convincente.

Raúl Castillo nel ruolo del marito è un personaggio totalmente inefficace per la narrazione, che non aggiunge quasi nulla alla esplorazione psicologica del personaggio di Mary Elizabeth Winstead. Non è un cattivo lavoro da parte dell’attore, ma non c’è nulla che permetta di elevarlo a mera macchietta.

In particolare, i figli della coppia appaiono fuori contesto, come se fossero capitati sul set per caso.

I personaggi adulti riescono a reggere il tono del film. La regia tenta di conferire loro un’impostazione seria e cupa, ma il risultato è opposto: alcune scene sfiorano la parodia.

Il film introduce anche una tematica queer, inizialmente ben integrata nel racconto. Tuttavia, con il proseguire della storia, questo elemento appare sempre più forzato, ridotto a semplice riempitivo per prolungare la durata complessiva.

Nel complesso, La mano sulla culla si rivela un’occasione mancata. Michelle Garza Cervera dimostra di avere uno sguardo autoriale interessante, ma non riesce a mantenere la coerenza stilistica e narrativa promessa nei primi minuti.

Il film alterna momenti di tensione potenzialmente efficaci a scelte visive e strutturali che smorzano ogni emozione. Anche la gestione dei personaggi risulta discontinua, con dinamiche poco approfondite e un tono che oscilla tra il thriller psicologico e il melodramma domestico. Rimane l’intuizione di un racconto sull’identità e sull’inganno, ma privo della forza necessaria per lasciare il segno.

Un thriller che ambisce a inquietare e a far riflettere, ma finisce per perdersi nel suo stesso riflesso.

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