Alice nella città

Crescere con Dio: l’adolescenza spirituale di ‘Sundays’

Un film lucido e dolente sulla crescita, la libertà e la difficoltà di accettare l’altro.

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Cosa significa davvero crescere? Trovare se stessi o perdere tutto ciò che si era? E se l’adolescenza fosse solo una lunga domenica: sospesa, luminosa e confusa? Un giorno in cui attendiamo una voce che possa dirci cosa fare?
In Sundays (Los domingos), la nuova opera della regista spagnola Alauda Ruiz de Azúa, la crescita diventa un atto di fede. Non solo religiosa, ma esistenziale. Ainara, guarda il cielo e aspetta un segno. Forse da Dio, forse da se stessa. E nel frattempo, il mondo intorno a lei si muove troppo velocemente per capirla.

Presentato in concorso alla 73ª edizione del Festival di San Sebastián e ora in concorso ad Alice nella Città, Sundays è un film prodotto da Buenapinta Media, Colosé Producciones, Sayaka Producciones, Encanta Films, Think Studio, Los Desencuentros Película A.I.E. e Movistar Plus+, con distribuzione internazionale affidata a Le Pacte.
La regista di Cinco lobitos torna con un racconto maturo, sorprendentemente sincero, che mette in dialogo atei e credenti, figli e genitori, ragione e mistero. Perché, come dice la stessa Ruiz de Azúa,

“Accettare le decisioni degli altri è difficilissimo, soprattutto quando quelle decisioni mettono in crisi la nostra idea di libertà”.

Un’adolescenza alternativa

“Sta aspettando che Dio le dica qualcosa.”

Lo dice la zia Maite (interpretata da una straordinaria Patricia López Arnaiz) con un misto di ironia e preoccupazione. Ainara (la giovane Blanca Soroa, al suo esordio) è una ragazza di buona famiglia basca che annuncia al padre vedovo la sua decisione: vuole entrare in un convento di clausura. Per lei non è una fuga, ma un approdo.

“Sono molto felice in convento ed è per questo che voglio tornarci.”

Ma crescere significa anche essere messi in discussione. E il mondo di Ainara, fatto di silenzi, preghiere e tentazioni appena sussurrate, si scontra con quello dei suoi familiari: la zia laica, il padre distratto, lo zio che pensa di comprenderla ma la prende in giro. Tutti proiettano su di lei le proprie paure, incapaci di capire se quella vocazione sia reale o solo una reazione al dolore della perdita materna, oppure una manipolazione stessa.

La collana con la Madonna che porta al collo diventa il simbolo di una ferita e al contempo di una scelta. In un’età in cui si sperimenta tutto, Ainara sceglie di fermarsi. Ma davvero la fede è una rinuncia? O può essere una forma diversa di ribellione?

Fede o fuga?

La regista Ruiz de Azúa cerca di far luce su questo arcano:

“È molto difficile capire se la vocazione è autentica o se è spinta da influenze esterne. Mi interessava mostrare la tensione tra la ricerca spirituale e il condizionamento familiare o sociale.”

Ainara non è un’eroina ascetica: è una ragazza contemporanea, che ama ballare, uscire, ridere. Eppure dentro di lei qualcosa manca. Quella mancanza è il motore di tutto il film. Si tratta della stessa inquietudine che accompagna ogni adolescenza, solo che qui prende la forma del divino.
La regia di Ruiz de Azúa, nervosa e frenetica, segue i suoi pensieri come onde, senza mai giudicarla.

Ma anche la fede, in Sundays, è un’esperienza fisica, carnale. C’è un ragazzo che Ainara conosce, e un dubbio che attraversa tutto il film: si sono amati davvero? Cosa c’è realmente stato fra di loro? Lo zio e la zia ne sono certi, il padre sospetta, ma lei non ne parla. Nemmeno con le suore.
Il corpo diventa così il luogo del mistero: tra purezza e desiderio, verità e colpa, come se Dio fosse nascosto proprio nell’ambiguità.

Il mentore e il dubbio in Sundays

Maite, la zia, è il contrappeso di tutto questo. Atea, razionale, libera. È lei che invita Ainara a studiare all’estero, a “fare esperienze vere”, come dice lei e a non chiudersi in un convento. Ma quanto è vera la libertà quando la si impone? La zia crede di fare il bene della nipote, ma il film la mette in crisi: è giusto pensare di salvare una persona che sta compiendo una sua scelta? In una delle riflessioni più belle del film, Ainara sembra rispondere senza parlare. Il suo volto assorto, quasi fuori dal tempo, ci riporta alle parole di Christopher Vogler:

“Nella struttura della psiche umana, i mentori rappresentano il sé, il Dio dentro di noi, l’aspetto della personalità legato a tutte le cose.”

E allora chi è il vero mentore di Ainara? La zia, il padre, o quella voce silenziosa che lei chiama Dio? Sundays non dà risposte: le suggerisce, come un’equazione aperta tra fede e identità.

La famiglia come specchio del caos

“Qui il film parla della fragilità della famiglia. È un’istituzione che immaginiamo come un rifugio, ma non sempre lo è.”

Nel mondo di Ainara, la famiglia non è porto, ma tempesta. Il padre si rifugia nella nuova moglie e nelle figlie più piccole, la zia alterna empatia e sarcasmo, e tutti credono di sapere cosa sia meglio per lei. Nessuno però sembra ascoltarla realmente.

Ruiz de Azúa ritrae la famiglia come un microcosmo del nostro tempo: progressista nei principi, conservatrice nelle reazioni. Tutti parlano di libertà, ma pochi la concedono quando la scelta dell’altro mette in crisi il proprio sistema di valori. E Ainara, attraverso il  suo silenzio, li mette tutti dinanzi a se stessi.

La domenica, la fede, la scelta

Il titolo Sundays non è casuale. La domenica è il giorno della messa, ma anche quello del riposo, dell’attesa, del ritorno. È il tempo sospeso tra il fare e il credere, tra il corpo e lo spirito. Ed è proprio lì che il film ci lascia: in una domenica interminabile, dove nessuno sa davvero se Ainara entrerà o meno in convento.

“Mi interessano i film che non urlano, che non impongono, ma lasciano spazio per pensare.”

dice Ruiz de Azúa Sundays fa esattamente questo: ci lascia con domande che non chiedono risposte immediate.

Alla fine Ainara non è un simbolo di fede, bensì di ricerca. La sua è la storia di chi cerca un senso, qualunque esso sia. E forse, nel silenzio finale, capiamo che la vera crescita non è scegliere una strada, ma imparare ad ascoltare la propria voce, anche quando è scomoda, anche sbagliando, anche quando nessuno vuole comprenderla.

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