Coraggioso e irriverente, l’opera prima di Tan Siyou,AMOEBA, non è un film per niente scontato: dietro l’apparenza di un coming-of-age e di un film sulla scoperta dei legami nell’adolescenza, si nasconde una sferzante critica alla società. E in particolare al conformismo imposto da questa specifica società, Singapore, la rigidità nell’educazione che si impone sin dalla tenera età e pretende di insinuarsi nelle relazioni sociali.
Ecco che quella perfetta Singapore, patinata, pulita e benestante, si sgretola e scopre l’apparato educativo quasi propagandistico. Una impostazione fortemente legata alla tradizione asiatica della società, confuciana, che anela ad un liberismo occidentale ma che ovviamente in questa convivenza di vedute, trova un forte dissidio.
Ranice Tay in ‘AMOEBA’ di Tan Siyou – immagini stampa fornite dal Busan International Film Festival
Una rigida Singapore
Quattro sedicenni (Ranice Tay, Nicole Lee, Shi-An Lim, Genevieve Tan) si conoscono in un collegio femminile fortemente strutturato e regolamentato, che ospita la Singapore-bene. Qui nasce una amicizia, dove tutte e quattro esplorano una dimensione di ribellione del tutto personale. È il personaggio di Ranice Tay, Choo, ad offrire il mezzo dove racchiudere e contenere queste loro energie estrinseche: una videocamera, che diventa lo scrigno di segreti pericolosi. Quando questo oggetto arriva in mani sbagliate le quattro dissidenti dovranno abiurare le proprie posizioni e decidere se conformarsi al sistema, proseguire gli studi e favorire l’ambizione al successo; oppure rinunciare ad omologarsi in favore dell’amicizia e di una promessa.
‘AMOEBA’ di Tan Siyou – immagini stampa fornite dal Busan International Film Festival
AMOEBA, che non ha forma definita
Nella rappresentazione bivalente o dualistica della società descritta da Tan, si sposa perfettamente il simbolo di Singapore, il Merlion, una statua dalla testa di leone e dal corpo di pesce, che diventa il fulcro del dibattito finale del film. E che compare di sfuggita, ma rimane un riferimento presente, tanto quanto lo è quel sistema di regole a cui le ragazze faticano ad adattarsi.
Pertanto, dai giochi e dalle scoperte adolescenziali, che accennano delle situazioni familiari più complesse e alla scoperta della sessualità nel contesto di quel castissimo collegio che pretende di esercitare il controllo anche sulla biancheria intima, si passa a un discorso politico. Ecco perché si tratta di un’opera prima coraggiosa, piuttosto arrabbiata, che la regista sfrutta per togliersi qualche sassolino dalla scarpa rispetto alle sue esperienze personali.
La narrazione è molto spontanea, e anche la scelta di mescolare il cinese e l’inglese, che entrano ed escono dalla scena a seconda della classe sociale da cui sono “parlati”. Tutto ribadisce la contesa, la pressione, il discorso dinamico, che tuttavia ben rappresenta la convivenza di conflitto e ricchezza di un Paese che è rinomato per essere un ponte tra Oriente ed Occidente.
AMOEBA ha esordito a Toronto, al BIFF, ha conquistato le platee cinesi del Pingyao International film Festival ed è atteso alla Festa del Cinema di Roma per la sua anteprima italiana.