Conversation
‘Duse’ conversazione con Pietro Marcello
Con ‘Duse’ Pietro Marcello realizza un altro ritratto di un’umanità in rivolta
Published
2 giorni agoon
Dopo il passaggio al concorso veneziano Duse e Pietro Marcello sono stati i primi ospiti del Lucca Film Festival.
Con Duse Pietro Marcello realizza un altro ritratto di un’umanità in rivolta. Del film e di Eleonora Duse abbiamo parlato con il regista del film. Il film è in sala con PiperFilm.
Qui per un’altra conversazione con Pietro Marcello
Pietro Marcello e la sua Duse
Duse propone allo spettatore un racconto in linea con i lavori presenti nella tua filmografia. Tutti infatti, da Il passaggio della linea a Bella e perduta e Martin Eden sono dei viaggi fisici ed esistenziali. In questo caso c’è quello nell’anima di un’artista, Eleonora Duse, e nel cuore di una nazione, l’Italia, alle prese con le conseguenze del primo conflitto mondiale. Come Martin Eden anche la Duse nel film compie il suo viaggio, quello che la porterà dal nord est italiano a Roma per incontrare il Duce.
In effetti è così perché sia Martin Eden che Duse portano su di sé il peso della storia. Il viaggio di Martin Eden si compie in diverse epoche. Rappresentando un archetipo la sua storia poteva essere collocata ovunque. Io ho pensato a Napoli perché è li che sono nato. Ambientarlo in America mi avrebbe costretto a parlare di ciò che non conosco. Della Duse racconto gli ultimi anni della sua esistenza mescolando arte e vita di una donna con un talento impressionante non solo in qualità d’artista, ma anche per come riuscì a muoversi in uno spazio sociale e culturale sorpassato e manierista come lo era a quel tempo il teatro italiano. Già in Francia le cose andavano in modo diverso.
Un teatro e una società che la Duse cerca di svecchiare portando in scena Ibsen in cui a essere protagoniste sono delle figure femminili con una visione del mondo e uno spirito critico sconosciuti dalle nostre parti.
Quello di Ibsen era un teatro che le corrispondeva intimamente. Della Duse mi interessava innanzitutto il suo spirito, raccontare il divino e l’umano. Con Letizia Russo e Guido Silei abbiamo fatto un lavoro importante sulle fonti, ma di fatto l’unica cosa che ci rimane di lei è Cenere, il primo e ultimo lungometraggio da lei interpretato. La Duse era profondamente affascinata dal cinema, ma trattandosi di una forma espressiva nuova ne era anche spaventata. D’altronde quest’ultimo nasceva come un’arte spuria che attinge da tutte le altre. A quel tempo era un esercizio pionieristico con produttori un po’ cialtroni sul tipo di quello a cui si rivolge la Duse per farsi sponsorizzare il suo progetto teatrale.
Cinema e teatro
Il cinema era malvisto dalla gente di teatro. Esemplari sono le parole che D’annunzio rivolge alla Duse sconsigliandole di recitare davanti alla mdp.
Peraltro la scena con il produttore rappresenta un momento quasi comico in un film in cui si ride e si piange come succede nella vita. Duse non è lineare, ma è un film in cui si muovono tante cose. Per realizzarlo Valeria Bruni Tedeschi è stata imprescindibile. Per lei non c’è stato casting avendola io scelta dall’inizio sia perché è una bravissima attrice sia perché è una grande regista. Per questo film avevo bisogno di una donna con il fuoco vivo e lei ce l’ha.
L’inquadratura iniziale in cui con una ripresa aerea scandagli il paesaggio naturale assomiglia alla discesa nell’Ade di una nazione precipitata nella guerra e in quello di un’artista agli ultimo sgoccioli della carriera. Un accostamento confermato all’interno del film dal parallelismo tra le immagini relative al viaggio del milite ignoto dal nord est italiano a Roma, e da quello analogo compiuto dalla Duse per incontrare Mussolini.
Sono contento perché finalmente qualcuno ha colto questo particolare. Sei stato il primo a farlo e mi fa molto piacere. Questo viaggio parallelo nella storia d’Italia è davvero rappresentativo ed è un contrappunto del film perché il milite ignoto nasce come simbolo di pace e come punto di vista critico nei confronti dei Comandi. Solo dopo, con l’avvento del regime fascista, diventa una sorta di eroe nazionale, utile a promuovere le guerre coloniali. Intercalarlo con le immagini di finzione attraverso l’utilizzo di immagini di repertorio mi ha permesso di sfruttare al massimo la potenza dei materiali d’archivio.
Il rapporto della Duse (di Pietro Marcello) col tempo
Il Duce tenta di fare la stessa cosa con la Duse nel tentativo di farne un simbolo di propaganda del regime fascista.
Con la Duse non ci sono riusciti perché alla fine lei il vitalizio offertogli dal Duce non lo prende. Per fare fronte ai bisogni finanziari preferisce imbarcarsi in una lunga tournée negli Stati Uniti sfidando la salute malconcia per poi morire in una stanza d’albergo a Pittsburgh assistita dalla sua devotissima assistente Desirée. Al contrario di Gabriele D’Annunzio che rimproverò alla Duse di essersi fatta “impagliare” dal Duce e che poi invece cedette alle lusinghe e ai soldi di Mussolini e donando al fascismo un’estetica, quella fiumana.
A proposito del milite ignoto sappiamo di come la Duse fu sempre vicina ai nostri soldati. Con alcuni di essi intrattenne anche rapporti epistolari. Il tuo film lo evidenzia mostrando come la Duse fosse per loro una presenza rassicurante.
Nel film ho cercato di mostrare le molte attività in cui la Duse fu coinvolta. Lei era molto attenta a ciò che le stava attorno: creò molti movimenti. A volte le cose andavano bene, altre meno ma ciò che contava fu la sensibilità con cui si avvicinava alle varie questioni. Tra queste ci fu anche la costruzione di un teatro come strumento di promozione culturale a favore del popolo italiano. La sua fu una figura di donna modernissima in un’epoca non così diversa dalla nostra anche in termini di occasioni perdute. La nostra non è un’epoca di grandi speranze ma dell’ignavia ed è il riflesso di quel passato drammatico di cui si parla nel film.
Le riprese
Le prime sequenze sono bellissime perché la dimensione del tempo di guerra è resa con una nettezza e un’essenzialità dal sapore metafisico, quella data dal rapporto tra le linee architettoniche del teatro in cui i soldati stanno aspettando l’arrivo della Duse e il vuoto della pianura che lo ospita. I campi lunghi in cui vediamo la sua silhouette nera muoversi in bilico tra la vita e la morte dell’ospedale da campo, tra il tempo andato e quello a venire fanno della Duse una figura fantasmatica, perfetta sintesi di un’età di trapasso.
Sì, chiaramente il film dà adito a varie interpretazioni e spunti come quella del viaggio del milite ignoto di cui parlavi prima. In quel caso lei è vestita di nero per il lutto della guerra e per i tanti soldati morti.
Il fatto che si tratti di una discesa nell’Ade è confermato anche dal fatto che nel corso del film non vediamo mai i cadaveri dei soldati proprio perchè quelli presenti negli inserti d’archivio e nelle riprese di finzione sono persone “morte”, avvelenate dal fascismo sempre più imperante. Quella che vediamo è una nazione morente.
Non mi interessava mostrare la morte bensì evocarla come diceva Robert Bresson: non bisogna mostrare la violenza ma farla sentire!
Duse di Pietro Marcello: riflessione e rapporto tra cinema e teatro
Duse racconta il Teatro con gli strumenti del cinema nella consapevolezza che si tratta di due arti diverse tra di loro. Lo dice D’annunzio, ma anche il produttore cinematografico a cui la Duse a un certo punto si rivolge.
Cinema e teatro non saranno mai un corpo unico perché troppe sono le differenze che li separano. Ciò detto ho raccontato degli attori che si muovono in uno spazio cinematografico e non sulle tavole di un palcoscenico. Con ciò non voglio dire che il teatro è nobile e il cinema cialtrone. Quest’ultimo può esserlo perché se ci pensi dopo essersi elevato ai massimi livelli con l’espressionismo tedesco e il cinema muto con l’avvento del sonoro si è consegnato il suono al servizio della propaganda e dei totalitarismi.
Al racconto lineare preferisci la sintesi poetica. Lo vediamo in una delle prime scene in cui il pensiero della Duse rispetto alla differenza tra arte e intrattenimento e al concetto di sacralità del palcoscenico si traducono in un modo di fare e in particolare nella scelta della Duse di parlare ai soldati evitando di calcare le scene come avrebbe fatto nel caso di un’opera teatrale.
Complimenti, si vede che hai analizzato il film nei minimi dettagli. La Duse aveva smesso di recitare da molti anni poi, a un certo punto, il crack finanziario che la lascia senza soldi la spinge a tornare sulle scene. Nel farlo continuò ad affidarsi al talento che la portava a modernizzare tutto quello che faceva. Questo le permetteva di lavorare sugli imprevisti diventando artefice di un teatro innovativo.
Qualora ne ravvisava la necessità la Duse era anche capace di cambiare il testo sul momento.
Per questo era un mito per gente come Cechov, Chaplin, Strasberg e Stanislavskij. La Duse era profondamente moderna in un teatro come quello italiano che invece era vecchio.
Non un biopic
Dicevamo di come Duse sia una sorta di antibiopic. La conferma arriva anche dalla scelta di attori, a cominciare da Valeria Bruni Tedeschi, lontani da interpretazioni mimetiche attenti a ricostruire i personaggi dall’interno.
Per Valeria non è stato fatto nessun casting perché fin dalla fase di scrittura era lei l’unica che poteva interpretare la Duse. Oltre ad essere una grande attrice Valeria è anche un’ottima regista per cui ogni giorno filmarla era un’epifania. Venendo dal documentario ho bisogno dell’imprevisto e lei riesce a darmelo. Credo nella scrittura, ma fino a un certo punto perché poi il cinema è fatto anche di immagini e ispirazione. L’amore per i miei attori mi porta ad avere una grande intesa con loro. Girare con Valeria, che del film è protagonista assoluta, è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Essendo l’operatore di macchina dei miei film, cosa che ho imparato sin dagli inizi per ovviare alla mancanza di soldi, amo stare vicinissimo agli attori quando li filmo. Con Valeria è stata una danza quotidiana allo stesso modo di come ho fatto con Marinelli e con gli altri attori con cui ho lavorato.
Molte scene sono costruite sulla faccia degli attori come succede nel confronto tra Duse e D’Annunzio.
In quel momento per me era importante tenerli insieme. La stessa cosa succede nella scena con la talentuosa Gaia Masciale che interpreta l’attrice Cecilia Rinaldi. In quel caso si tratta di una grande lezione di teatro realizzata attraverso il cinema. Ci tengo a dirlo perché spesso la gente confonde le due cose. Il teatro è una grande forma d’arte, ma il cinema è un’altra cosa.
La scena di cui parli è una delle più belle e significative per come riesce a far capire cosa significhi recitare e diventare un personaggio. Nello specifico potrebbe diventare una sorta di masterclass sul mestiere dell’attore.
Ti ringrazio per le tue parole. Sicuramente è una scena importante, ma io sono la persona meno adatta per dare un giudizio sul mio lavoro. Ciò detto mi fa piacere perché anche li c’è un’attrice bravissima come Gaia Masciale, capace di essere all’altezza di una fuoriclasse come Valeria.
I personaggi in Duse di Pietro Marcello
Il film lavora per non fare dei personaggi una somma di cliché. Il risultato è una sorta di svuotamento che li restituisce come reincarnazioni di idee, sentimenti e dello spaesamento tipico della fine di un’epoca. L’unica eccezione è rappresentata dalla figura di Mussolini che, come dice D’Annunzio, è uno abituato a recitare. Nel suo caso adotti un principio diverso, rendendo evidente l’interpretazione da parte dell’attore chiamato a restituircelo.
Pur essendo interpretato da un bravissimo attore come Vincenzo Pirrotta volevo un Mussolini piccolo perché non mi interessava farne un protagonista della mia storia. Tornando alla Duse non ho mai avuto la pretesa di dire chi fosse. Per quello ci sono le immagini dell’unico film in cui ha lavorato, i carteggi e i rapporti epistolari. A me interessava di creare lo spirito di questa donna in rivolta. I miei personaggi lo sono sempre rispetto al proprio tempo. Così era l’anarchico de Il passaggio della linea come pure quelli de La bocca del lupo, di Bella e Perduta, di Martin Eden e de Le vele scarlatte. In fondo sono interessato a quelli che sanno dire di no alla storia.
La restituzione di un punto di vista interno teso a portare a galla i tormenti dell’anima lo si vede anche nella scelta di depotenziare l’elemento carnale. Privo di nudità il corpo degli attori è spesso ripreso solo in parte e assume un peso minore rispetto agli aspetti emotivi destinati a prendere il sopravvento sulla carne.
Il film a volte è decadente. Ci sono momenti che sono quasi patetici, ma per me non è una cosa sbagliata come non lo è la scena in cui lei ha questo scatto nervoso, giustificato dal fatto che ci troviamo nel mezzo di un melodramma. Molti lo hanno interpretato come un over acting mentre io penso al cinema delle origini, a un universo che ognuno interpreta a modo suo, come lo era ai tempi del muto. A me non interessa l’omologazione. Preferisco essere diverso e fare un cinema in cui mi riconosco e che rivendico con forza. Nel film si piange e si ride attraverso sentimenti capaci di esprimere la rivolta della protagonista. Mi interessavano i sentimenti e i corpi vivi. Di Valeria mi piace il sangue vivo che riesce a mettere nei suoi personaggi e anche in questa occasione è riuscita a darmelo.
Gli interpreti
Il dramma dei personaggi è quello di vivere in un’epoca di transizione dove i vecchi valori sono oramai andati e del nuovo tempo si conosce ancora poco.
Di questo mondo Giacomino rappresenta l’uomo senza qualità, espressione di una modernità fatta di falsi miti che anche i grandi talenti alla pari di noi hanno concorso a creare. Duse li rappresenta mostrando l’imperfezione di chi, come gli uomini, è capace di elevarsi a Dio come pure di sprofondare nel fallimento. In questo senso il moderno che avanza è rappresentato tra gli altri da Enrichetta, la figlia di Eleonora, fanatica religiosa e i cui figli abbracciarono la carriera ecclesiastica. Nonostante fosse lontana dalle sue posizioni la Duse amò profondamente la figlia, come testimoniano le bellissime lettere che le ha scritto.
La scelta di attori provenienti dal teatro segnala la necessità di avere interpreti capaci di far volare la parola al di sopra dei fatti creando uno scarto tra recitazione e vita vera, quello che si ha quando si entra e si esce dal palcoscenico. Oltre a quelli già citati penso a Fausto Russo Alesi.
Assolutamente. Ogni scelta è stata consapevole, poi è ovvio che un interprete straordinario come Mimmo Borrelli chiamato a fare un attore pieno di sé come Ermete Zacconi, debba recitare con una certa enfasi teatrale. In quel caso non è che la recitazione ci sia sfuggita di mano, ma siamo stati noi a volere che fosse così. Questo non succede a Salino Paparella perché lui ha il ruolo di un dottore dunque non ha bisogno di declamare le sue parole.
Prima dicevi di quanto ami gli attori, ma è evidente che anche loro amano te come dimostra la presenza di una star del cinema francese Noémie Merlant chiamata a interpretare il ruolo di Enrichetta.
Desideravo da tempo lavorare con lei. Noémie è un’attrice straordinaria e la fortuna ha voluto che si innamorasse del film. Per farlo si è impegnata a recitare in italiano e questo la dice lunga sulla sua voglia di partecipare al progetto. Lo ripeto, amo tutti i miei attori perché gli riconosco l’impegno e la passione che mettono nei miei film. Ogni volta mi piacerebbe tornare a lavorare con loro e nel contempo di incontrarne dei nuovi.
Il film è dedicato a Goffredo Fofi a cui tu sei stato molto legato. Mi piacerebbe concludere questa conversazione con un tuo ricordo su di lui.
Goffredo è stato un grandissimo educatore e mentore per tanti di noi. Quando l’ho conosciuto facevo il trasportatore, non avevo una lira, non conoscevo niente. Lui mi ha dato la possibilità di studiare, di riparare alla mia mancanza di cultura dandomi modo di formarmi insegnandomi tante cose, anche a saper dire no… di non guardare ai vincenti ma ai vinti come esempio di rivolta. Il messaggio che ci ha lasciato è quello di dedicarci ai giovani che sono gli unici a rappresentare un possibile futuro in un’epoca buia come questa.
Per la consulenza sulla vita e l’opera di Eleonora Duse si ringrazia Sara Morante.