Al centro dell’edizione più recente dell’Ortigia Film Festival, tra titoli già noti e nuove promesse, ha brillato un’opera breve ma intensa, capace di lasciare un segno profondo negli spettatori: Una notte ancora, cortometraggio firmato da Carmelo Segreto. Si tratta di un lavoro che, con la delicatezza di un tocco lieve e la potenza di un’emozione trattenuta, racconta l’imprevedibilità degli incontri e la persistenza dei legami affettivi che resistono al tempo. In pochi minuti di girato, Segreto riesce a condensare la nostalgia del passato e l’urgenza del presente, consegnando al pubblico una storia universale nella quale molti possono riconoscersi.
La trama
La storia, apparentemente semplice, si apre con una cena tra amici: un momento di spensieratezza che, per Tommaso e Luna, si trasforma in qualcosa di molto diverso. Ciò che doveva essere un’occasione di festa si rivela un detonatore emotivo. La regia accompagna lo spettatore in questo passaggio con un uso sapiente della luce: prima le tonalità calde e conviviali, poi l’ombra complice della notte che avvolge i protagonisti, come se il resto del mondo potesse dissolversi lasciando spazio soltanto a loro due. È in questo gioco di contrasti che prende vita la vera essenza del corto: il confine sottile tra ciò che è stato e ciò che potrebbe ancora essere.
Segreto non si limita a raccontare una storia d’amore interrotta; ci porta dentro un sentimento che resiste alle distanze e alle decisioni razionali. Nei gesti minimi, negli sguardi carichi di sottintesi, si percepisce che Tommaso e Luna non hanno mai smesso di appartenersi. La scelta di separarsi, maturata in passato, non deriva dalla mancanza di passione, bensì dalla consapevolezza di cammini diversi: lei pronta a partire, lui ancorato a un luogo che sente come proprio. Una frattura inevitabile, ma mai definitiva.
Il non detto
Quello che colpisce maggiormente è la capacità del film di trasformare un incontro fortuito in un’esperienza quasi sospesa nel tempo. Gli spettatori non assistono solo a una storia, ma vengono trascinati dentro un dialogo intimo, un “non detto” che pesa tanto quanto le parole. La fotografia, minimalista e mai ridondante, contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, in bilico tra malinconia e speranza. La notte non è solo un contesto, ma diventa un personaggio ulteriore: custode di segreti, complice di confessioni, spazio in cui tutto è possibile.
Il corto si chiude senza risposte definitive, lasciando lo spettatore con il desiderio di sapere cosa accadrà dopo (anche se qualche indizio gli è stato dato). Ed è forse questa la sua forza più grande: suggerire, evocare, permettere a chi guarda di immaginare un seguito che non esiste se non nel cuore. Perché a volte, si sa, si ha bisogno di una notte ancora.
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