FESTIVAL DI CINEMA

‘Hair, Paper, Water…’ di Trương Minh Quý e Nicolas Graux

La quotidianità di Hậu, una delle ultime parlanti della lingua Ruc, e dei suoi nipoti

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Hair, Paper, Water… di Trương Minh Quý e Nicolas Graux è il documentario che ha vinto il Pardo d’Oro del Concorso Cineasti del Presente al Festival di Locarno, una produzione franco-belga e vietnamita evocativa e toccante.

Hair, Paper, Water… e la sua originalità

Trương Minh Quý (regista di Viet and Nam, 2024) e il filmmaker belga Nicolas Graux narrano la quotidianità di Hậu, una delle ultime parlanti della lingua Ruc, e dei suoi nipoti.

Il film sta tutto qui, in una sola frase. Ma ciò che si aggiunge a questa linea narrativa così pura e genuina, è l’approccio ricercato e poetico, realizzato nel chiasmo dei linguaggi e della sostanza sonora.

La scelta stilistica di utilizzare una grana spessa, analogica, nostalgica, ci pone in una dimensione che oscilla tra il passato e un presente confuso. Ed è perfettamente centrato con la riflessione sulla lingua “gravemente in pericolo” che i registi portano avanti.

La protagonista viene raccontata a dettagli, non la vediamo mai parlare, ma sentiamo la sua voce. Quella voce, quando si fa sentire, appartiene ad un mondo altro, un qualcosa di lontano, agli antipodi di quella Saigon che affolla l’inquadratura e generalmente ci lascia senza agio e respiro.

Hair, Paper, Water… si racconta quindi con una sonorizzazione eccelsa. Anche l’uso del suono infatti ricalca il rifiuto, o la protezione, la bolla in cui la donna aspira a rimanere, a partire dalla caverna in cui è nata, 60 anni prima. Non ci sono suoni della città, ma solo la foresta in un tappeto continuo. Anche il pianto del bambino è escluso se troppo aggressivo. Solo poesia di acqua e versi di animale, gocce e fruscii diffusi. Quando la città si impone, è comunque una selezione di rumori che rispettano un ritmo naturale, quasi fosse dettato da una forza superiore. La scansione infatti, rispettosa dei passaggi, resi da un montaggio che alterna le immagini alla voce e ai titoli, è la cifra stilistica superiore del lavoro di Trương Minh Quý e Nicolas Graux.

Hậu protagonista di ‘Hair, Paper, Water…’ di Trương Minh Quý e Nicolas Graux – immagini ad uso stampa fornite da Busan International Film Festival

I tre elementi

Ci si domanda prima della visione, cosa siano i tre elementi citati dal titolo; ma nello svolgersi del racconto questi compaiono con chiarezza, in una allegoria che si sposa con l’approccio descritto del documentario. I capelli sono la lunga chioma che la donna vende periodicamente per sopravvivere, legando quel pezzo del suo corpo alla presenza di cibo: simbolo del tempo che passa, della identità e del sacrificio fisico per la famiglia.

Le generazioni si incontrano, siano esse di uomini donne o animali… e attraverso questo legame si tramandano le tradizioni e le lingue di cui la scuola si dimentica. È li che ci si ricorda di paper e dell’assenza di una memoria scritta, malgrado la determinazione con cui si ribadisce la necessità dello studio. Eppure Hair, Paper, Water…  sigilla l’incontro tra questi piani, nella poesia di una lingua tramandata, ripetuta e corretta. È un gioco poetico su cui i registi amano soffermarsi e ripetersi, senza che questo ermetismo pesi sul fluire, o per meglio dire, sul fluttuare della narrazione nella sua interezza. E così che subentra l’acqua, nel percorso ininterrotto che rischia di lavare e portarsi via la conoscenza, o di usarla per abbeverare le nuove generazioni.

Hair, Paper, Water… di Trương Minh Quý e Nicolas Graux – immagini ad uso stampa fornite da Busan International Film Festival

La manualità

Hậu detiene non solo l’ultima consapevolezza della lingua Ruc, ma anche le magie della terra: una terra che fornisce rimedi, dal post-parto o alle contusioni, o per il COVID addirittura. Le mani della donna sono un mezzo, la ricchezza viene dalla foresta.

La dimensione del lavoro manuale è non solo la cifra con cui la donna si relaziona alla vita, ma quella con cui i registi si relazionano alla narrazione: alternando i movimenti dei soggetti ai commenti proprio a quel lavoro che determina il ciclo della vita (e che non riguarda solo il coltivare, ma anche il partorire o il praticare la scrittura).

Così, al centro del film, si rispecchiano due forme diverse ma ugualmente impegnate di manualità: quella concreta di Hậu, che cura e tramanda, e quella dei registi, che costruiscono un linguaggio poetico capace di preservarne la voce.

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