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Videocorto Nettuno e i trent’anni di cortometraggi made in Italy

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Nettuno celebra trent’anni di cortometraggi, sguardi e nuove voci. Videocorto Nettuno, nato negli anni ’90 come iniziativa privata, è oggi uno dei festival più longevi e riconosciuti nel panorama nazionale dedicato al corto. Tra cambi di location, incontri con autori e collaborazioni con le principali realtà distributive italiane. Il festival ha saputo crescere mantenendo intatta la propria identità e la passione per il cinema breve.

Abbiamo intervistato Elvio Calderoni, co-direttore artistico insieme a Giulia Bartoli, per ripercorrere l’evoluzione del festival, parlare di nuovi talenti, di case di distribuzione, di cortometraggi e di futuro.

Il Festival quest’anno ha celebrato il suo trentennale con un’affluenza record, un chiaro segnale di vitalità per il cinema italiano. Cosa c’è dietro questo successo così straordinario, soprattutto pensando all’annata 2025?

Questo festival nasce appunto come un evento privato, ovvero la festa del mio compleanno, in cui nel 1996 chiesi ai miei amici, diciamo tutti più o meno attori del gruppo teatrale, di rimediarci quattro videocamere. Ognuno doveva girare un cortometraggio in un pomeriggio: era il gioco della mia festa di compleanno quell’anno. Ognuno girava in un quartiere diverso, e la sera abbiamo proiettato i corti a casa mia e premiato: quindi, veramente, una cosa non casareccia — di più, direi proprio privata.

Poi, già dalla seconda edizione, abbiamo cominciato a prepararci un po’ prima, a fare le squadre di questo gioco un mese prima. Nella terza edizione non c’era più alcun obbligo di squadra o di quartiere, ma diventava: “fate un po’ quello che volete, avete un mese circa”. Dalla quarta abbiamo cominciato ad aprire, sempre non con un vero e proprio bando, ma tramite conoscenze, cominciando ad ampliare un po’. C’erano già sette corti in concorso. Ci fu il primo trafiletto su un giornale nazionale, su Film TV nel 1999.

L’arrivo del primo bando: nuova apertura al pubblico

Dal 2000 uscì il primo bando ufficiale, quindi non più privato ma pubblico, e arrivarono i primi corti. Il primo anno, chiaramente, non è che ne arrivarono chissà quanti, perché era la prima apertura: credo che siano arrivati circa 12-13 corti in preselezione e li abbiamo presi quasi tutti. Già da quel 2000 hanno cominciato a raggiungerci da Genova, da Faenza: insomma, si era decisamente sparsa la voce, sebbene i social ancora non esistessero. Tutto passava tramite un sito e dei forum: quella fu la prima edizione ufficiale.

Da lì, questo spirito di gioco e di festa credo sia la base di questo successo. È una rassegna ideata, portata avanti, organizzata dallo stesso gruppo di persone di allora, con corti che oggi arrivano da tutta Italia e anche dall’estero. Forse è un unicum. Al di là della longevità — 30 anni, pochissimi festival raggiungono questo traguardo — ho fatto una ricerca: credo che, tra i festival di cortometraggi solo italiani, siamo il più longevo in Italia. Esiste un festival a Chianciano Terme che ha qualche anno in più, ma non è settato sui soli cortometraggi italiani. Quindi, come festival di cinema italiano di settore, credo proprio che siamo i più longevi.

Il segreto della longevità

La vera caratteristica però non è tanto la longevità, quanto il fatto che lo stesso gruppo iniziale è rimasto invariato. All’inizio eravamo io e Giulia Bartoli, che è direttrice artistica e presentatrice insieme a me. Per farti capire lo spirito di gioco: nelle prime edizioni, fino al 2000-2001, siamo stati anche in concorso con i nostri corti, e nessuno lo trovava strano, perché c’era ancora un clima di festa. Nel frattempo, però, la qualità dei cortometraggi cresceva anno dopo anno, lasciando sempre più il mondo artigianale per diventare professionale.

Credo che quel clima delle prime edizioni lo portiamo ancora oggi sul palco. Perché, a differenza di molti festival che selezionano i corti e li proiettano uno dopo l’altro, qui non è così: c’è più glamour. Noi teniamo tantissimo alla presenza degli autori: li invitiamo caldamente a venire ad accompagnare le loro opere. Diciamo loro:

“guardate, vi perdete qualcosa se non venite”

Perché qui c’è un’atmosfera che altrove non si trova.

Videocorto Nettuno oggi

Domenica scorsa, per esempio, abbiamo avuto 600 persone in sala: sfido qualsiasi festival solo di corti ad averne. E nel pomeriggio, al Borgo Medievale, organizziamo un salotto dove ci sono interviste, anticipazioni, sinergie tra cortisti e giurati. Creiamo un ponte tra il cinema già noto, rappresentato dalla giuria, e chi vuole fare questo mestiere. E poi c’è Nettuno, che per chi non la conosce resta una sorpresa: un paesaggio quasi lunare, una cornice suggestiva, quest’anno ancora più curata con un vero e proprio village per il festival. Abbiamo introdotto novità come il passaporto per i partecipanti più assidui, un catalogo più completo e dettagliato, e gadget esclusivi.

Lo spirito di gruppo nasce dalla passione, unita a una professionalità acquisita negli anni: credo sia questo a fare la differenza. Per me resta un miracolo che 600 persone resistano fino a mezzanotte e mezza a vedere corti italiani, anche difficili. Domenica, ad esempio, abbiamo visto Majonezë di Giulia Grandinetti, che ha vinto sette premi tra cui il Videocorto d’Oro: un corto complesso, che forse il pubblico non avrebbe mai scelto spontaneamente, eppure è stato accolto con silenzio, attenzione e applausi.

Stessa cosa per il Videocorto d’Argento, Domenica Sera di Matteo Tortone: opere da festival, scelte dalla giuria, che il pubblico ha comunque apprezzato. Quest’anno mi ha colpito soprattutto l’attenzione con cui il pubblico ha seguito tutto: un’emozione grande.

In trent’anni, il mondo del cortometraggio è cambiato radicalmente, sia nella produzione che nella distribuzione. Quali sono state le evoluzioni più significative e come si è adattato Videocorto Nettuno?

Allora, quando abbiamo cominciato non esistevano praticamente case di distribuzione di cortometraggi, quindi gli invii, le persone che ci mandavano il VHS all’epoca, che poi è stato sostituito dal DVD, erano tutti invii singoli, cioè dell’autore che impostava il suo corto e ce lo inviava con la posta, chiaramente.

Quindi non eravamo noi in contatto con le case di distribuzione, ma mi viene da dire che davvero non c’erano negli anni ’90 e neanche nei primi anni 2000. Poi ricordo perfettamente la prima volta che una casa di distribuzione si rivolse a noi: siamo, diciamo, negli anni fine anni 2000, inizio anni 2010, che è Associak, lo posso dire tranquillamente, che sono stati i primi a farci capire che esisteva — non dico un mercato, perché il corto insomma non ha un suo mercato specifico, questo lo sappiamo, o comunque diciamo che è agli albori — ma esistevano delle realtà distributive di questo tipo.

Un panorama sempre più ricco: sempre più case di distribuzione

Che poi non sono realtà produttive, è un altro discorso quello, però ecco esistevano delle case di distribuzione. Poi da lì, da Associak di Cristiano Anania, che fu un po’ il pioniere in questo senso, e poi adesso si sono moltiplicate: c’è Premiere, c’è Cattive Distribuzioni, c’è Tersite Films, Zen Movie, Lights On, Short Fits, insomma ce ne sono veramente tante, Sayonara, che in effetti rendono il panorama molto ampio e variegato.

E sono, devo dire, dei contatti nei quali molto spesso vedo proprio la nostra stessa passione, quindi tengono loro insomma a farci delle proposte, e noi li teniamo sempre in buona considerazione. Chiaramente dipende: cioè, per esempio, Associak quest’anno ne ha mandati tanti, ma purtroppo nessuno ha passato la preselezione, perché veramente bisognerebbe fare un festival di due settimane per quanta vitalità, quanto interesse può esserci nel cinema italiano in corto, veramente.

Il dilemma della selezione

Questo è un po’ un altro dei rimpianti che ho: io cercherei di prendere tutti, li vedo tutti, io appunto, e anche Giulia Bartoli. Però appunto quando ne arrivano 500 circa, dipende dagli anni, 400, a volte anche più di 500, ovviamente non puoi. Teniamo a fare in modo che le serate siano comunque snelle: quest’anno infatti abbiamo scelto di stare a sei corti a sera, ma abbiamo dovuto ampliare il festival di un giorno, proprio perché, quindi da 3 sere a 4, non ci andava di far rimanere a casa dei corti che meritavano comunque la platea.

Quindi il format di quest’anno — sto scendo fuori dalla domanda, mi rendo conto, però a questo punto continuo un attimo — è stato che dalle tre serate consolidate, in cui i giurati arrivano il venerdì e quindi stanno fino alla domenica, quest’anno abbiamo fatto un format un po’ diverso, che però devo dire è andato molto bene come esperimento:

  • Giovedì: i giurati non c’erano ancora, la serata era quella della semifinale, che ha visto soltanto il pubblico portare quindi alle finali, quindi al cospetto del giudizio della giuria, due corti dei sei semifinalisti che abbiamo proposto.

  • Venerdì: sono arrivati i giurati e quindi hanno visto i loro 12 corti della selezione ufficiale, diciamo dei finalisti, però in questi 12 corti c’erano anche i due semifinalisti che il pubblico appunto ha mandato alle finali.

  • Domenica: i sei corti della finalissima, quattro portati dalla giuria e due dal pubblico.

Il festival si è sempre distinto per la sua capacità di scoprire nuovi talenti. C’è un partecipante che avete “lanciato” e di cui siete particolarmente fieri?

Il primo nome che mi viene in mente, anche perché è lui stesso a dire che senza il nostro festival non avrebbe fatto questo mestiere, è Sydney Sibilia. È venuto da noi più e più volte in concorso, a volte è in selezione, a volte no, ma la cosa che ci emoziona ogni volta è che lui dice che senza questo confronto con il nostro festival non è detto che avrebbe fatto questo mestiere.

Proprio perché eravamo in riva al mare, anche negli anni, nella stessa cornice in cui lui veniva, e ha assaggiato per la prima volta cosa significava vedere una platea ridere di fronte alle idee, di fronte alle situazioni che lui proponeva. Per cui ha detto:

“io da lì ho capito che volevo fare questo nella vita a tutti i costi”.

Altri autori cresciuti con Videocorto Nettuno

Parla sempre veramente tanto, tanto bene di noi, dice che non esiste un festival che viene portato avanti con questa stessa passione, per cui è il primo nome che mi viene. Però non è l’unico: ci sono Ciro D’Emilio, per esempio, Alessandro Aronadio, Francesco Prisco. Questi sono quelli che maggiormente hanno affollato più di una volta il festival: tutti, più di una volta, sono venuti in concorso da noi e oggi, insomma, sono dei punti di riferimento proprio del cinema italiano.

Poi un altro nome che ti posso fare è Samantha Casella, che è ancora diciamo nel circuito underground, perché fa un tipo di cinema assolutamente da festival, assolutamente di nicchia, ma che vince premi con i suoi lungometraggi in tutto il mondo: ha qualcosa come 300 premi a 300 festival diversi, è veramente una persona straordinaria. Lei fu tra i primissimi a decretare il salto da evento privato a evento pubblico: la sua opera prima ce la mandò nel 2000, aveva vent’anni, e vinse quell’anno, appunto il famoso anno in cui per la prima volta uscimmo veramente allo scoperto, ai giardini di Via Cavour, chiaramente sempre a Nettuno.

Questi sono i nomi che maggiormente ci riempiono di fierezza, anche perché comunque sono rimasti tutti molto, molto affezionati: a volte tornano in giuria, quindi insomma c’è un rapporto che è continuo e costante.

Per i prossimi trent’anni, quali sono i sogni e le ambizioni per Videocorto Nettuno? In che direzione pensate di sviluppare ulteriormente il festival, magari introducendo nuove sezioni oppure collaborazioni?

Allora, noi siamo abbastanza “malati”, perché già stiamo pensando alla prossima edizione: non è molto normale, dato che abbiamo finito un giorno e mezzo fa.

Quindi sì, già ci sono delle idee: per esempio, una cosa forse non così rilevante però te la dico, è che nel nostro palmarès, che veramente è attento a tutte le categorie — quindi film, regia, colonna sonora, sceneggiatura, soggetto, addirittura locandina, titoli di testa e coda, titolo, casting, insomma veramente stiamo attenti a tutte le categorie — mancava ancora il sonoro.

Perché io, forse all’inizio, insomma anche un po’ stressato dal fatto che i service, spesso nei primissimi anni, non erano così all’altezza, dicevo:

“ma secondo me non è neanche apprezzabile da parte della giuria la differenza che c’è tra un sonoro e l’altro”.

Adesso che fortunatamente abbiamo un service veramente di grandissima qualità, è il caso di immettere questa categoria e quindi inserirla nel novero di tutte le altre. Questa sicuramente sarà una cosa che verrà ampliata.

Masterclass, incontri e nuove contaminazioni

Poi, io sogno un festival che abbia, diciamo così, delle iniziative per tutta la giornata, in qualche modo. Mi piacerebbe tuttora fare qualche contaminazione con l’arte e anche organizzare delle masterclass vere e proprie, perché è vero che il salotto in effetti sono delle bomboniere di masterclass. Quest’anno, per esempio, abbiamo avuto Paolo Di Paolo, che ha parlato degli anni Novanta in generale, io ho parlato di Bertolucci e del potere, diciamo così, della musica e del cinema, nonché della letteratura.

Però ecco, magari moltiplicare questi incontri, fare in modo che diventi una vetrina del cinema italiano anche per la stagione che sta arrivando: questo mi piacerebbe molto, cioè fare in modo che ci siano degli incontri con gli autori ma anche con le case di produzione, che fossero in qualche modo una vetrina del cinema italiano che verrà, domani, in interfaccia con Venezia. Diciamo che i tempi sono proprio quelli giusti: questo è qualcosa su cui vorremmo lavorare, cercare di colmare il divario che c’è tra corti e lungometraggi, quindi cercare di essere sempre più vicini al mondo del cinema italiano.

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