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‘Manhattan’, una serenata metropolitana alla città di Woody Allen

Woody Allen celebra New York interpretando Isaac “Ike” Davis, scrittore quarantenne disilluso, tra relazioni complicate, ironia e fragilità umane

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Uno dei film più rappresentativi che definisce la conclusione degli anni Settanta è senza dubbio Manhattan, commedia romantica del 1979, distribuita dalla United Artists – attualmente posseduta dalla Amazon MGM Studios scritta, diretta e interpretata da Woody Allen, il quale sta per debuttare in libreria con il suo primo romanzo.

Il film consolida definitivamente l’archetipo del cinema “alleniano” da quel momento in poi, ed è tra i titoli più significativi della filmografia dell’autore di quel periodo (tra i cult dello stesso lustro è da ricordare Io e Annie). Manhattan, tuttavia, rimane il più evocativo e lirico di tutti.

Quali sono, allora, i motivi che rendono questo film una pietra miliare nella carriera cinematografica di Woody Allen?

Manhattan, New York

Il contesto iniziale di Manhattan parte da una cena dai toni terreni e disincantanti: due coppie discutono di problemi quotidiani e di temi intellettuali. Tra i quarantenni, però, spicca una ragazza più giovane, Tracy (Mariel Hemingway), diciassettenne, che sembra quasi fuori luogo rispetto agli altri. È la compagna di Ike (Woody Allen). Da questo momento, l’intreccio prende la forma di una romcom, tra intrighi romantici e tradimenti, con Ike sempre al centro e Manhattan sullo sfondo.

Rapsodia in bianco e nero

La componente più distintiva di Manhattan non è la trama, ma la forma. Le prime inquadrature catapultano lo spettatore in sequenze rapide di grattacieli, strade e negozi, tutti in rapida successione. Un altro elemento che colpisce immediatamente è il colore, o meglio la sua assenza: l’intero film è girato in bianco e nero, un effetto che risalta ancora di più grazie alla voce narrante iniziale di Ike:

“Era ancora una città che esisteva in bianco e nero”

Una frase pronunciata in tono malinconico, ma che dimostra una certa sapienza sulla storia del cinema. Il bianco e nero non è solo merito della splendida fotografia di Gordon Willis, ma rappresenta anche un chiaro e diretto omaggio a un genere ormai scomparso nel 1979: le sinfonie urbane.

Tipiche del periodo del muto, queste opere erano documentari sulle città, caratterizzati da un montaggio ritmato ed evocativo e accompagnati da una colonna sonora continua per tutta la durata del film.

Manhattan si apre con le note di Rhapsody in Blue di Gershwin, e non è un caso che il film porti questo nome. Il newyorkese effettua riprese dai toni quasi malinconici, offrendo uno sguardo innamorato sulla complessità della vita cittadina. Dalle forme più imponenti dello skyline, come nella celebre ripresa sotto il Queensboro Bridge, fino ai cantieri, alle strade e ai vicoli: Manhattan è una città in cambiamento, sempre attiva e complessa, osservata anche nei dettagli più quotidiani e frivoli. Il film si presenta così come una vera e propria serenata visiva alla città natale di Allen.

Equilibri

Oltre a un sapiente uso della forma, Allen costruisce una trama perfetta per il suo protagonista, insicuro e cronico perplesso. Ike si trova costantemente a confrontarsi con bivi e scelte difficili. Nucleo fondante del film è il continuo tentativo di Ike di trovare un equilibrio tra posizioni opposte: da un lato lo stereotipo del “terreno”, corporeo e triviale, dall’altro il “sublime”, rappresentato da forme più colte ed elevate. Ike non arriva mai a una decisione definitiva, criticando le scelte altrui pur essendo lui stesso incapace di agire. Per questa sua indecisione e la sua attitudine critica, nel film viene più volte definito proprio “farisaico”.

Questa dialettica emerge nel suo tentativo di passare da sceneggiatore televisivo a letterato di spessore, scrivendo un testo più maturo, ma si manifesta soprattutto nel dualismo e nel tira e molla tra i due principali interessi amorosi di Ike: Tracy e Mary (Diane Keaton). Tracy è una ragazza a tratti infantile, poco compatibile con un uomo di quarant’anni, ma con la quale Ike prova una profonda affinità sessuale. Mary, di contro, quasi coetanea, condivide i suoi stessi interessi e tra i due si evidenzia una forte affinità emotiva e mentale, quasi una versione femminile di se stesso.

Legami e convenzioni

Ike non è l’unico indeciso cronico: anche Mary e il suo migliore amico, Yale (Michael Murphy), sembrano costantemente in bilico. La prima è divisa tra Yale e Ike, il secondo tra Mary e sua moglie.

Questo triangolo amoroso mette in luce alcuni dei temi centrali del film. Innanzitutto, emerge una critica sottile ma incisiva agli standard della famiglia nucleare tradizionale e della coppia monogama. Questo è evidente già nei primi minuti, quando lo spettatore scopre la relazione tra Jill (Meryl Streep), ex moglie di Ike, e un’altra donna. In secondo luogo, il film esplora la mutevolezza umana, riflettendo l’anima di una città incerta e in continuo cambiamento.

Una città imperfetta

Manhattan è popolato da personaggi imperfetti: non ci sono eroi né cattivi, forse solo Tracy, giovane e ingenua, conserva un candore quasi intatto. Tutti gli altri tradiscono almeno una volta la fiducia di qualcuno. Anche Ike non è un narratore completamente affidabile: a volte afferma, altre nega di aver voluto investire la ex moglie e la nuova compagna.

Nessuno dei personaggi ottiene un vero lieto fine, nessuno rimane felice, e tutti prendono decisioni malvolentieri. L’ignavia di Ike, alla fine, lo rende incapace di mantenere rapporti stretti. Pur essendo il protagonista, Allen non lo tratta con indulgenza: anche lui è plasmato dalle sue imperfezioni e, attraverso un’acuta ironia, diventa un personaggio a tratti presuntuoso, saccente e incapace di legami stabili. Ogni personaggio, però, soffre delle stesse fragilità: i loro desideri insaziabili e l’incontentabilità li rendono volubili, incerti, pronti sia al tradimento sia alla sfiducia verso gli altri.

Come le vite dei suoi personaggi, anche New York è una città incerta e imperfetta. Edifici vengono abbattuti, altri costruiti, eppure lo sguardo innamorato di Allen la accoglie così com’è: ingiusta, cinica, ma irresistibilmente viva.

In fin dei conti, Manhattan ritrae una città splendida attraverso la decadenza dei rapporti umani nella società contemporanea, plasmata dall’inevitabile fallibilità dell’uomo.

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