Tale of Cinema (Geukjangjeon) rappresenta uno dei vertici della poetica di Hong Sang-soo. Presentato al Festival di Cannes nel 2005, il film si configura come un viaggio metacinematografico tra l’essere e il desiderio di essere, in cui i personaggi si muovono con esitazione, sopraffatti da una costante inquietudine esistenziale. Questo timore, apparentemente immotivato, trova un’eco nel passaggio epocale dall’analogico al digitale, una transizione tecnologica che, fino al 2007, ha trasformato profondamente la vita di milioni di giovani. Eppure, la paura di esistere non basta a fermare il loro percorso: il viaggio continua, fragile e necessario.
Tale of cinema Una struttura in due movimenti
La pellicola si articola in due movimenti narrativi che si rispecchiano e si rincorrono. Nel primo, un uomo disilluso vaga per le strade di Seoul, diviso tra il desiderio di fuga e una crisi esistenziale. Incontra una donna in modo apparentemente fortuito e trascorre con lei la notte; più tardi le proporrà, senza alcun motivo concreto, di morire insieme. Nel secondo movimento, un regista fallito assiste alla proiezione di un film che rievoca ossessivamente quella stessa vicenda, rendendo sempre più labile il confine tra rappresentazione e realtà. Ossessionato da quelle immagini, rintraccia l’attrice coprotagonista per ricreare le scene del film e, nel farlo, tentare di ritrovare sé stesso.
Sin dall’inizio, l’intenzione autoriale è chiara: ogni elemento narrativo resta sospeso tra l’essere e il non essere. Allo spettatore non è chiesto di interrogarsi sul perché degli eventi, ma piuttosto di lasciarsi guidare da una domanda più radicale: dove mi condurrà ciò che sta accadendo?

Raccontare il decadimento dell’individuo
Entrambi i segmenti narrativi ruotano attorno a un protagonista incline all’autodistruzione. Nella prima parte, il conflitto si gioca tra un uomo e il suo desiderio di morire; nella seconda, tra un uomo e il rimpianto di non essere diventato ciò che avrebbe voluto. Il suo tentativo, destinato al fallimento, di rivivere il film lo porta a scontrarsi con l’inevitabilità del reale: non si può amare il cinema senza prima amare sé stessi. Godere di un film è già, in sé, un atto di self-love, e questo non può esistere senza la capacità di godere, innanzitutto, della propria esistenza.
Anche quando la realtà sembra riflettere da vicino la finzione — l’incontro con l’attrice, per esempio — questa si sottrae: alla proposta di morire insieme, lei rifiuta e si allontana. Il cinema, allora, può farsi realtà, ma solo se siamo pronti ad accettare la sua controparte più dura: la realtà quando irrompe, senza filtri.
Chi non sa godere di sé cerca rifugio nell’altro: è ciò che fa il protagonista, in entrambi i segmenti, con la ragazza che incontra — e che nel secondo diventa attrice.
Hong Sang-soo dirige un cast capace di restituire un’autenticità cruda, sorprendentemente audace, e di abitare — e poi sovvertire — due mondi speculari ma inconciliabili.

Una regia differente
Pur adottando una messa in scena prevalentemente classica nella forma e nello stile, Tale of Cinema rivela qua e là una sottile inclinazione voyeuristica: la macchina da presa si affida a zoomate non convenzionali sui volti dei personaggi, spesso nei momenti in cui sono sospesi tra estasi e incertezza.
L’uso ricorrente dello zoom suggerisce una ricerca espressiva che rimanda tanto al crudo linguaggio del reportage quanto a un bisogno di isolare l’individuo dal contesto sociale. Una cifra stilistica che richiama il miglior Sidney Lumet (Serpico, 1973; Il principe della città, 1981), ma anche l’approccio radicale di Robert Altman in MASH (1970), dove lo zoom si fa strumento di osservazione distaccata e, al tempo stesso, empatica.
Hong Sang-soo costruisce un film che comunica per ipotesi, che parla di morte, rimpianti, e desideri inespressi, ma lo fa attraverso le sfumature più sottili e umane dell’amore.
Tale of Cinema, nella sua apparente “piccolezza”, finisce per raccontare il mondo: quello che ama, quello che ha paura di sopravvivere al domani, e quello che, in qualche modo, ce la fa. A vent’anni dalla sua uscita, il film resta una carezza dolce, ma dal potere di cambiarti la vita.
Disponibile su MUBI
Sandra Orlando Editing