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‘Who’s Afraid Of Virginia Woolf?’ — Un capolavoro di sanguinario sport coniugale

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Ci sono film che fanno esplodere tutto. Ci sono film che inseguono auto lungo le autostrade o fanno volare eroi incappucciati attraverso galassie. E poi c’è Who’s Afraid Of Virginia Woolf?, un film che sa che le esplosioni più improvvise accadono quando le persone semplicemente parlano.

La famigerata opera teatrale di Edward Albee, portata sullo schermo nel 1966 da Mike Nichols nel suo audace debutto alla regia, è la madre di tutti gli scontri coniugali. Non viene sparato un colpo di pistola (più o meno), non viene tirato un pugno (insomma), ma all’alba, la carneficina emotiva potrebbe riempire un campo di battaglia.

Burton e Taylor: un’unione scellerata

Ciò che rende Who’s Afraid Of Virginia Woolf? davvero immortale, tuttavia, non è solo la sceneggiatura o la raffinata fotografia in bianco e nero: è la forza infiammabile di Richard Burton ed Elizabeth Taylor. Se mai ci fosse stata una coppia nata per divorarsi a vicenda per il nostro piacere visivo, erano proprio loro due. Il loro George e Martha sono inseparabili in quel modo singolarmente velenoso che solo i grandi amanti possono essere: parassiti che si nutrono delle reciproche debolezze, ubriachi di reciproca distruzione.

Taylor, che all’epoca aveva appena trent’anni, interpreta Martha come un tornado in perle: ragliante, seducente, tragica. Lei si muove furtivamente, ulula, deride. Il George di Burton, invece, è tutto arguzia ferita e amarezza accademica, un uomo così immerso nella delusione che la crudeltà è diventata una tattica di sopravvivenza. Insieme, si aggirano come felini della giungla invecchiati, troppo stanchi per combattere fino alla morte ma troppo orgogliosi per ritirarsi.

Niente succede, tutto succede

Raccontare la trama è rischioso: una coppia di mezza età invita una coppia più giovane a bere qualcosa. Parlano. Bevono. Parlano ancora. Ma in quella conversazione si cela tutto: decenni di speranze infrante, infedeltà vere o presunte, figli evocati o distrutti, verità così crude che emergono solo attraverso elaborate bugie.

C’è un brivido perverso nel guardare George e Martha che aizzano i loro innocenti ospiti, Nick e Honey (interpretati con una perfezione a occhi spalancati da George Segal e Sandy Dennis). I nuovi arrivati credono di assistere a un litigio domestico. Alla fine della serata, sono ostaggi di una verità così orribile che a stento riescono a sopportare.

La crudeltà della conversazione

Ciò che Virginia Woolf capisce – e ciò che così pochi film osano abbracciare – è che il linguaggio stesso può essere più pericoloso di un’arma. I dialoghi di Albee sono un capolavoro di sadismo letterario: eruditi, volgari, maliziosamente divertenti e spiacevolmente intimi. Mike Nichols, al suo primo lungometraggio, saggiamente non cerca di “aprire” troppo l’opera. Sa che la claustrofobia è il punto. Le pareti si chiudono, l’alcol continua a scorrere e le parole diventano coltelli.

E come tagliano. Nelle tirate di Martha e nelle secche risposte di George, c’è l’intera anatomia di un matrimonio: il bisogno selvaggio di umiliare, il disperato bisogno di un legame, il linguaggio privato costruito in anni di sofferenza condivisa. È tutto lì, che trabocca di whisky scadente e illusioni infrante.

Un culto che vale la pena di durare

Who’s Afraid Of Virginia Woolf? non è una visione facile. È lungo, è rumoroso, è crudele. Non c’è una risoluzione ordinata, nessuna redenzione morale. Ma è cinema di culto di prim’ordine perché osa fidarsi del suo pubblico: sedersi, ascoltare, sussultare.

È anche, ironicamente, molto divertente. Non nel senso di far ridere a crepapelle, ma nel modo in cui solo le verità più crudeli possono essere divertenti quando vengono pronunciate da persone che sanno esattamente come ferirsi a vicenda, con una battuta al momento giusto. È una commedia del dolore, un’opera di amarezza.

L’infinita emozione di Burton in cardigan

E non dimentichiamo la pura delizia visiva di Burton e Taylor nel fiore degli anni. Il George di Burton, avvolto in un tweed accademico e in una vaga disperazione, è un intellettuale tormentato al culmine della sua carriera, che si aggira per il soggiorno con l’aria di un uomo che ha perso la guerra ma si rifiuta di arrendersi.

Taylor, smilza e matura per interpretare Martha, è una forza della natura: volgare, tragica, luminosa. Insieme, ci ricordano perché il cinema aveva bisogno di star in primo luogo: per farci credere che guardare due persone litigare per ore possa essere avvincente quanto un inseguimento in auto.

Chi ha paura? Non noi

Who’s Afraid Of Virginia Woolf? Forse dovremmo averla tutti. O forse la cosa più spaventosa è quanto sia tagliente fino all’osso. È un promemoria del fatto che sotto la buona società c’è sempre qualcosa di selvaggio in attesa di esplodere: un patto segreto tra amanti che nessun estraneo può decifrare completamente.

Quindi versatevi da bere. Fatene uno doppio. E lasciate che George e Martha vi insegnino che il posto più terrificante che visiterete mai è il soggiorno di qualcun altro, dopo mezzanotte, quando si tolgono i guanti e la verità è l’unica cosa che resta in piedi.

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