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‘Il padre dell’anno’: Michael Keaton tra colpe, affetto e riscatto

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Michael Keaton è veramente il padre dell’anno?

Hallie Meyers-Shyer scrive e dirige un film in grado di riflettere su come, a causa delle influenze sociali, i padri si comportino. Più nello specifico, quando la persona al loro fianco ricopre il ruolo che la società si aspetta. Il padre dell’anno vuole risvegliare tutti quei padri che hanno ceduto alla trappola sociale: l’impegnarsi nel lavoro e mettere in secondo piano la famiglia.

Presentato nella selezione ufficiale 2025 del Göteborg Film Festival, uscirà in sala il 25 settembre 2025 con Adler Entertainment.

Da dove tutto è iniziato

“Credo che per me sia stato l’inizio di una riflessione su tutte le informazioni di cui disponiamo oggi in materia di genitorialità nel 2024. Ho pensato che sarebbe stato divertente e interessante esplorare qualcuno che ha fatto il genitore negli anni ’80, che sta facendo di nuovo il genitore ora.”

L’idea nasce osservando un dato familiare, spiega la regista: molti nuclei oggi sono ricomposti, e l’esperienza del “rifare i genitori” con figli di età e contesti diversi diventa sempre più comune. Il protagonista, Andy Goodrich, è un padre d’arte e di ego, che si ritrova a occuparsi dei due figli gemelli avuti dal secondo matrimonio. Accanto a loro, la figlia maggiore Grace, interpretata da Mila Kunis ma è lei, in fondo, a badare a lui.

Il ruolo del padre nella nostra società

L’identità del padre, ancora oggi, fatica a liberarsi da uno stereotipo antico: essere colui che lavora, che provvede, che c’è ma solamente da lontano. Come nota Andie MacDowell, nel ruolo della prima moglie di Andy:

“Per te prenderti cura della famiglia è una rinuncia.”

Eppure, non è lo stesso per lei. E nemmeno per il padre che Andy incontra nella scuola dei gemelli, interpretato da Michael Urie. In una delle scene più significative, Andy lo osserva abbracciare il figlio con una dolcezza che non riesce a imitare. Rimane sorpreso, spiazzato. Ma non indifferente.

Da quel momento, prova ad avvicinarsi: lo ascolta, ci parla, cerca di capire. È il primo segnale che qualcosa potrebbe cambiare. Non è un passaggio immediato, né garantito. Ma è un desiderio. E il film è proprio questo: il racconto di un uomo che, seppure in ritardo, cerca un nuovo linguaggio affettivo. Una forma più autentica di paternità. Più umana.

Andy e Grace: il padre e la sua ombra

Il rapporto tra Andy e Grace è il cuore psicologico del film. Più che conflittuale, è sospeso. Lei non è semplicemente la figlia maggiore: è la memoria di ciò che lui non ha fatto. È la testimone di una paternità mancata, ed è anche il suo specchio.

Grace incarna proprio questo: la parte che Andy ha evitato per anni, fatta di responsabilità, errori, omissioni. In lei si concentra la frustrazione di una figlia cresciuta nell’assenza, e il rimpianto silenzioso di un padre che non riesce a recuperare il tempo. Nelle parole della regista Hallie Meyers-Shyer:

“Mila è riuscita a portare in questo ruolo qualcosa che non mi aspettavo. Mi ha davvero stupita. Ha mostrato una forza e una vulnerabilità allo stesso tempo.”

E in effetti, Kunis restituisce una Grace stratificata: mai lagnosa, mai eccessiva, sempre vera. I momenti tra lei e Keaton sono piccoli duelli emotivi in punta di dialogo, dove tutto passa negli sguardi e nelle esitazioni. Non si tratta di una “figlia problematica”, ma di una figlia che chiede una nuova narrativa.

Una terapia travestita da commedia

Il grande inganno (felice) di Il padre dell’anno è proprio questo: sembrare una commedia elegante, quasi da salotto, quando in realtà è un percorso psicoanalitico sotto forma di film.

“C’è una rabbia sotto questo film, anche se il tono è leggero. È una rabbia verso i padri che non c’erano, ma anche verso l’idea stessa di lasciarli andare senza chiedere loro nulla.”

La regista non cerca di risolvere, ma di indagare. Non chiude con una morale, ma con una domanda aperta. È un film che accetta la complessità di essere figli e la lentezza di diventare, davvero, genitori.

Il padre che cambia (forse)

Nella cultura occidentale, l’immagine del padre è stata per decenni associata a potere, distanza e dovere. Mentre la madre era intimità, presenza, cura. Questa divisione ha prodotto intere generazioni di figli che hanno visto i loro padri solo la sera, stanchi. O mai del tutto.

Il padre dell’anno non giudica, ma racconta quanto quel modello sia stanco e stereotipato. E quanto anche i padri, quando messi di fronte a specchi giusti, figli e figlie compresi, possano ancora rimettersi in discussione.

Oggi, qualcosa sta cambiando. I padri abbracciano di più. Raccontano di più. Chiedono scusa. Non tutti, non sempre. Ma Il padre dell’anno parte proprio da qui: non è troppo tardi. Forse non si può riscrivere tutto. Ma qualcosa, sì.

E questo qualcosa, a volte, basta a farci sentire meno soli.

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