Il Cinema Ritrovato

Willi Forst, rivivere il ‘mondo di ieri’ viennese

Il regista-cantore per eccellenza della cultura mitteleuropea

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C’era una volta l’alta società austriaca inebriata di amori rococò e romantici gentiluomini, frac e taffetà, valzer e operetta, balli carnevaleschi e cabaret, damerini e chanteuse, ma, al di là del gusto iconografico nostalgico per il non vissuto, il Cinema Ritrovato 2025  ha iniziato il pubblico bolognese alla fascinazione per la complessiva eleganza registica di Willi Forst, che una retrospettiva sottotitolata Maschere e musica ha omaggiato con quattro titoli emblematici (Maskerade, Mazurka, Allotria, Angeli senza paradiso) per contemplare, con visioni struggenti e malinconiche dell’Austria felix, l’arte di un alfiere imprescindibile del bel mondo tardo-imperiale su cui riverberano i cupi turbamenti di un’Europa minacciata dal nazismo.

Figlio del suo tempo: radici intellettuali e scena d’avanguardia

Nato a Vienna nel 1903, dove morì nel 1980, Willi Forst si dedicò prima alla recitazione agli esordi del sonoro (incrociando Marlene Dietrich), poi negli anni Trenta e Quaranta in Germania intraprese con continuità la strada della regia, alternando registri comici e (melo)drammatici, senza che la sua filmografia venisse contaminata dalla propaganda del regime hitleriano, anzi conservando una poetica sofisticata impeccabile, di plauso internazionale. Con la gavetta a Berlino negli anni Venti, tra teatro e cinema muto, assorbì tutta la cultura della Repubblica di Weimar che plasmò il suo gusto estetico forgiandone l’aspirazione artistica, di cui la musica è cuore pulsante per modulazione strutturale e ritmica.

Dorato crepuscolo: gli ultimi fuochi nella tempesta della Storia

Esponente insuperabile delle commedie musicali e degli Operetta films, girò anche una biografia di Schubert, Angeli senza paradiso (in cartellone a Bologna) e un adattamento di Bel Ami di Guy de Maupassant. Se con Allotria, anch’esso presente in rassegna, Willi Forst si inoltra con esiti soddisfacenti nei meandri della screwball comedy americana, Maskerade e Mazurka, di cui proponiamo di seguito un intervento, rivestono su toni opposti l’assoluto dell’identità stilistica di questo maestro mitteleuropeo, finalmente ritrovato, che seppe travalicare con lo spirito di un’aggraziata inquietudine e la nobiltà morale dei suoi protagonisti i confini nazionalistici negli anni più oscuri e devastanti del nostro continente.

L’universo di Forst, infatti, dietro l’impalcatura apollinea di languida ritualità e garbata effervescenza può sprigionare forze contrarie e tentacolari, in una specularità maligna; quando la seduzione sfuma nell’abuso, la passione clandestina nella gelosia oppure, come in Maskerade, un cioccolatino Sacher si affianca a uno sparo. Ma “il mondo di ieri” (fortunata espressione coniata da Stefan Zweig) conserva la sua compattezza grazie al regista, che leviga ogni deriva in consueti happy ending, senza sentimentalismo e con disincantata consapevolezza. Sulla lezione di Ernst Lubitsch, ma senza il suo incomparabile touch, e di Max Ophüls, con cui condivide l’elaborazione raffinata del profilmico e una certa tendenza sperimentale, il regista edifica, se non una compiuta autorialità, una messinscena vorticosa del reale che non pecca di inverosimiglianza, dove l’artificio e il virtuosismo senza eccesso riescono a coincidere con la verità delle umane fragilità.

Mascherata (Maskerade, 1934)

L’opera più rappresentativa di Willi Forst e il suo titolo di maggior consenso, tutto ricamato sull’umorismo più soffuso, sul leggiadro romanticismo ma anche su una fatalità incombente: innocenza e spregiudicatezza in tipi umani che il regista, da mattatore della malinconia più squisita, fa rimare tra loro in una ronde degli affetti, finzioni ed equivoci. Un gioco inesorabile di apparenze nell’ambiente di artisti, muse e amanti, dove l’amore vero, però, è generosamente donato dal caso più capriccioso (nell’allegoria di un famigerato manicotto di cincillà), mentre la cattiveria è frutto del libero arbitrio. Fortunatamente per noi, tuttavia, la mano satinata di Forst chiude questo dramma leggerissimo con l’incanto di una fiaba d’inverno.

Mazurka tragica (Mazurka, 1935)

Una piccola opera-mondo sulle passioni umane più assolute, l’amore materno, la solidarietà (femminile), la viltà e l’usurpazione; ma anche un mondo all’opera, concentrato nell’ambiente musicale e concertistico dove si consuma il dramma di due donne legate da un bieco destino comune. Alle cadenze iniziali della commedia sociale subentra in un climax concatenante il fosco affresco di sfruttamento maschilista e abbandono famigliare, nel corpus centrale di un legal movie d’antan, da cui si dirama una raffinata orchestrazione di flashback.

Una giovane del conservatorio assediata da un dongiovanni impenitente, il colpo di pistola di un’altra (interpretata dall’ex diva Pola Negri), che da lui è stata stuprata, poi un altro colpo, di scena, che ribalta l’interpretazione della realtà processuale. Con toni più mesti che cupi, Forst dispiega tutti i mezzi espressivi a sua disposizione, tra espressionismo e cinema muto, per la sua mazurka di vita e morte dove la dignità femminile si paga su note di altisonante amarezza.

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