Connect with us

Approfondimento

Quando il colore diventa sceneggiatura

Tre film dove sfumature e toni di colore caratterizzano il linguaggio del cinema

Pubblicato

il

In un’epoca in cui ogni fotogramma è potenzialmente uno screenshot da condividere, il colore nel cinema rischia di essere ridotto a pura estetica. Eppure, quando utilizzato con consapevolezza, rappresenta molto di più: un linguaggio che racconta ciò che le parole non dicono, che sottolinea, contraddice, amplifica la storia.

Ci sono registi che, più di altri, hanno capito questa potenza. Ecco una guida di tre film molto diversi tra loro che dimostrano come la palette cromatica possa “parlare” e modellare il tempo, la percezione e la memoria, raccontando storie anche con i toni della luce.

In the Mood for Love, Wong Kar-wai (2000)

Diretto da Wong Kar-wai, il cult è ambientato in una Hong Kong degli anni 60’. Il signor Chow (Tony Leung), di professione giornalista, e la signora Chan (Maggie Cheung), segretaria d’ufficio, si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti adiacenti. Entrambi sono sposati ma i loro rispettivi coniugi sono spesso assenti per lavoro.

Con il tempo, i due dirimpettai iniziano a sospettare che i loro partner – assenti nella pellicola – abbiano una relazione extraconiugale tra di loro e che per questo non tornino quasi mai a casa.
Mossi da questa scoperta e da una sottile attrazione reciproca, Chow e Chan iniziano a frequentarsi. Ma ciò che nasce tra loro non è una relazione convenzionale. È un legame fatto di sguardi, silenzi, imitazioni, tentativi di “arrivare a sapere” ciò che potrebbe essere successo.

Il film parla così di desiderio, trattenuto dalla una paura di lasciarsi andare, e delle difficoltà di una storia d’amore in un contesto dominato dalle apparenze e dalla morale sociale. La tensione è costante ma sottile. La storia infatti non cede mai al sensuale che rimane inespresso nell’aria. Un desiderio per l’appunto, a cui possiamo associare il colore del rosso.

Il colore nel film

Nel film infatti il colore diventa materiale, presente in costanti sfumature che permettono di percepire al meglio ciò che il regista ci vuole trasmettere.

Il rosso è il colore dei qipao che Maggie Cheung indossa, eleganti, fascianti, sempre diversi. È il colore dei corridoi, delle lampade, delle insegne fuori campo. È un rosso profondo, caldo, vellutato, che vibra insieme al suono del violino e a Nat King Cole.

Wong Kar-wai gira quasi sempre in interni angusti: scale, corridoi, stanze claustrofobiche. Ma questi spazi diventano infiniti grazie al colore e al movimento. E il rosso avvolge tutto: è un volere compresso, energia potenziale di una rabbia che non viene mai espressa.

Il regista ha dichiarato che il film è nato dalla nostalgia, dal bisogno di recuperare una memoria che non esiste più. E infatti, il rosso non è solo passione: è anche malinconia.
Il colore nel film diventa infatti espressione emotiva dei personaggi, della loro immaginazione e dei loro toni.

Enter the Void, Gaspar Noé (2011)

Siamo a Tokyo. Oscar (Nathaniel Brown) è un giovane spacciatore americano che vive con sua sorella Linda, appena arrivata in città. I due hanno un legame molto forte, segnato da un trauma d’infanzia: da bambini hanno assistito alla morte dei genitori in un incidente d’auto.

Oscar si guadagna da vivere vendendo droga nei locali notturni della città. Una sera, durante uno scambio andato male, viene ucciso dalla polizia in un bagno pubblico. Ma la storia non finisce qui. Dopo la morte, lo spirito di Oscar si stacca dal corpo e inizia a fluttuare, osservando la vita che ha lasciato – la sorella, gli amici, il proprio passato – attraverso una prospettiva extracorporea, onirica, allucinata.

Il film segue Oscar nel suo viaggio post-mortem, in uno stato che mescola memoria, desiderio, visione e, forse, reincarnazione.
La pellicola è ispirata a Libro tibetano dei morti di Karma-gling-pa, esplicitamente citato durante il film: una guida per l’anima che si muove tra la morte e la rinascita.

Il colore nel film

I colori sono acidi e le luci stroboscopiche: Gaspar Noé costruisce un universo visivo fatto di neon, riflessi, distorsioni, colori pulsanti. È un viaggio psichedelico che imita gli effetti lasciati dalle droghe allucinogene.

Se In the Mood for Love il colore è un ricamo delicato, all’interno di Enter the Void esso prende la forma di un trip psichedelico.
Il regista non racconta semplicemente una storia ma trasporta lo spettatore all’interno di un buco nero da cui è difficile uscire. Il colore è uno dei mezzi che utilizza per trascinare il pubblico in uno stato mentale totale, legando la sua forza visiva direttamente all’uso della luce.

Tutto è neon, fluorescenza, flash, colori che pulsano, portando lo spettatore ad avere la sensazione di un’overdose di toni diversi.
Le luci delle strade giapponesi diventano segnali cosmici. Gli interni sono immersi in un bagliore che presenta un mix di rosa, verde, blu. I flashback dell’infanzia sono saturi, come un VHS bruciato dal sole. Il colore non è mai neutro e mai realistico: è sempre esagerato, invasivo, disturbante.
Lo stesso regista dichiara di aver voluto un film che fosse come un brutto sogno visto da dentro un utero.

Gaspar Noé non cerca la bellezza ma l’alterazione. Il colore è uno strumento allucinatorio: ogni scelta cromatica imita uno stato mentale alterato, una soggettività scissa, un’anima che fluttua.
Enter the Void è un film sensoriale, che ambisce a filtrare il mondo attraverso giochi di luce, dominando il caos della vita tramite la coerenza del colore, linguaggio guida del film.

Moonlight, Barry Jenkins (2016)

Moonlight, diretto da Barry Jenkins e tratto da un’opera teatrale di Tarell Alvin McCraney, è un film profondo, poetico e intimo che racconta la crescita e l’identità di un giovane ragazzo afroamericano in tre momenti chiave della sua vita.

All’interno la trama è divisa in capitoli:

  • Little: Chiron (Alex R. Hibbert), un bambino timido e introverso, vive in un quartiere difficile di Miami insieme a sua madre che ha da sempre un difficile rapporto con le droghe. Subisce atti di bullismo continui in un’infanzia per nulla semplice. Trova in Juan (Mahershala Ali), un trafficante di droga gentile e protettivo, la figura paterna mancante nella sua vita.
  • Chiron: Durante la sua adolescenza, Chiron (Ashton Durrand Sanders) affronta con maggiore consapevolezza la violenza, la marginalizzazione e la confusione legata alla sua sessualità. Il desiderio e l’isolamento sono sentimenti che si fanno sempre più forti nella sua vita, così come la rabbia repressa. Un episodio traumatico segnerà per sempre il suo percorso.
  • Black: Diventato adulto, Chiron (Trevante Nemour Rhodes) inizia a farsi chiamare “Black”. È cambiato fisicamente – muscoloso, duro, silenzioso – ma dentro di sé porta ancora le fragilità della sua infanzia. Un incontro con una persona importante del suo passato lo costringerà a confrontarsi con la sua storia e con ciò che è diventato nel presente.

Il colore nel film

Moonlight è un film che si muove lentamente. Barry Jenkins racconta le fasi della vita di Chiron con delicatezza e precisione, e lo fa affidandosi al colore, strumento fondamentale per rappresentare l’interiorità del protagonista.

Se Enter the Void è una palpitazione continua di luci, Moonlight si presenta invece solo come un sussurro di blu. Questo colore è ovunque, ma rimane discreto alla camera. È una tonalità quasi ovattata, intensa. Il blu è l’oceano dove Chiron impara a nuotare. È la luce che filtra nella sua stanza. È il colore della pelle, dei silenzi. Barry Jenkins usa il blu per rappresentare il non detto, tutto ciò che Chiron non riesce a esprimere, tutto ciò che resta in ombra.

Uno dei momenti più potenti del film è la scena in spiaggia, di notte. I due ragazzi, Chiron e Kevin (André Holland), seduti sotto un cielo irreale, si toccano per la prima volta. È una scena minima, silenziosa, eppure attraversata da una luce blu che dona un’intensità emotiva coinvolgente e visibile. Accanto al blu, c’è il viola che segna i momenti di transizione, di confusione e di cambiamento nel protagonista.

Il regista non usa mai il colore in modo didascalico. Non c’è simbolismo esplicito, non c’è retorica. Ogni fase della vita di Chiron ha una sua cromia e, grazie anche alla fotografia di James Laxton, l’atmosfera durante tutto il film rimane costante.

Il colore quindi diventa struttura invisibile

Nel rosso malinconico di Wong Kar-wai, nel neon acido di Gaspar Noé, nel blu identitario di Barry Jenkins, vediamo tre modi diversi di usare il colore per raccontare l’anima. Non si tratta solo di una tecnica visiva: si tratta di storie scritte e raccontate attraverso il filtro della luce.

Questi tre film ci insegnano che il colore nel cinema può essere molto più di una scelta estetica. Può essere sceneggiatura, linguaggio ed emozione. Può raccontare quello che i personaggi non sanno dire, può evocare sensazioni che sfuggono alla logica portando un significato altro all’interno dello stesso film.