Incontriamo Pedro Armocida a pochi giorni dalla fine dell’ultima edizione del Pesaro Film Festival, di cui è il direttore artistico da dieci anni.
Le novità di Pesaro 61
Cosa ha caratterizzato in particolare questa edizione 61 del Pesaro Film Festival. Cosa l’ha resa diversa dalle precedenti?
Per i direttori dei festival le cose cambiano quando gli spazi del festival aumentano. Quest’anno c’è una nuova location, la chiesa sconsacrata della Maddalena, in cui è stata creata una sala cinema. I festival vivono dei luoghi che hanno a disposizione. Una nuova location consente di ampliare la programmazione e di conseguenza di avere più pubblico. Rivolgersi a più tipologie di pubblico è una delle prerogative principali di un festival di cinema oggi.
Per fare qualche esempio, negli ultimi anni c’è una sezione dedicata ai bambini, e nello stesso giorno la serata dedicata a Gianni Amelio.Contemporaneamente nella Maddalena c’è un documentario sul rock in Italia, in spiaggia un film in 35 mm della storia del cinema italiano e in piazza c’è un concerto legato alla musica jazz femminile nelle colonne sonore.
Quale criterio c’è stato per legare tante forme cinematografiche differenti, oltre quello della musica, che fa parte della storia della città?
Tra i fili conduttori ci sono la storia stessa della Mostra, la parola del titolo del festival, Nuovo, che è un faro rispetto al passato che omaggiamo con la giornata degli studi universitari, di cui verranno pubblicati gli atti, sulla storia del festival, dal 1965 al 1998, l’ultimo anno di direzione di Adriano Aprà. Il faro del termine Nuovo porta poi al futuro rappresentato dal concorso principale del festival, dedicato a opere sperimentali internazionali.
Pesaro e la critica
A proposito di Adriano Aprà, quest’anno il festival ha dedicato una rassegna alla sua figura. Cosa ha rappresentato per il festival?
Adriano è stato un critico militante, molto importante per la storia della critica italiana. Era a Pesaro nel 1965 quando il festival è stato inaugurato e ha iniziato a lavorarci nel 1966, l’ha diretto per dieci anni negli anni ’90: è stato un faro anche lui per me e per il festival. È un critico rimasto sempre legato a Pesaro; veniva tutti gli anni e vedeva tutti i film, era sempre in sala. Rincuora sapere che chi è al festival vede tutto. Di quello che vedeva faceva poi una selezione e alcune opere le inseriva nella sua rivista Fuori Norma, legata al cinema sperimentale italiano.
Rispetto alle pubblicazioni di quest’anno legate al festival, c’è il libro-saggio su Gianni Amelio curato da te e Anton Giulio Mancino. Quanto è importante avere una traccia scritta del passaggio di un festival, mantenere un legame tra critica, cinema e scrittura?
Le pubblicazioni rientrano nella tradizione del festival che nei primi anni si è imposto all’attenzione mondiale perché offriva un diverso approccio al mondo festivaliero. Si chiama Mostra perché dalle sue origini mostra i film, li studia e ne parla. Questi sono i tre elementi fondamentali di Pesaro. Per prima cosa ci sono le proiezioni dei film, in un secondo momento c’è lo studio dei film presentato attraverso le pubblicazioni, che possono essere opuscoli e libretti sui singoli film e infine c’è il dibattito con i convegni e gli incontri.
La parte editoriale spesso manca in altre manifestazioni cinematografiche. La monografia, edita nella collana Nuovo Cinema da Marsilio, fondata da Lino Miccichè, tra i fondatori del festival, è una collana storica iniziata negli anni ’70. Il numero dedicato a Gianni Amelio è l’ottantanovesimo. In alcuni anni abbiamo avuto più pubblicazioni, come l’anno scorso con le pubblicazioni su Ficarra e Picone, Luca Guadagnino e Franco Maresco.
Anche il catalogo generale del festival può essere considerato come una vera e propria pubblicazione. Le sezioni sono presentate dai curatori con interviste su chi è oggetto dei diversi focus. Diventa così uno strumento importante per lo spettatore per approfondire il discorso sul cinema.