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Il paradosso dell’energia: “Fission” ed il futuro che ci aspetta
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5 mesi agoon
Presentato al CinemAmbiente di Torino, Fission (titolo originale Spaltung) è il documentario firmato da João Pedro Prado e Anton Yaremchuk. Un’opera che decide di non semplificare, non accompagnare, tantomeno addolcire. Non è un film dichiaratamente contro il nucleare, né apertamente a favore. Tuttavia, pur mantenendo un tono apparentemente neutrale, lascia emergere una certa inclinazione verso le posizioni pro-nucleare, soprattutto nel modo in cui queste vengono sviluppate e approfondite. Ma dentro le sue immagini, tra le pause, nelle voci che affiorano lentamente, è impossibile non sentire il peso della questione. In Germania, dove le centrali sono spente. In Polonia, dove si discute se costruirle. In Europa, dove il dibattito sembra muoversi tra paura e necessità. In fondo, anche solo per leggere questo articolo serve energia. E il paradosso si apre subito: vogliamo una società sostenibile, ma accesa. Pulita, ma interamente connessa.
Il nucleare come specchio della frattura europea
Due luoghi, due memorie. Da un lato la Germania, che ha chiuso i reattori. Dall’altro la Polonia, che guarda al futuro con la volontà di superare il carbone. Non si tratta solo di scelte energetiche, ma di visioni politiche e sociali.
“Abbiamo bisogno di elettricità per mantenere i nostri standard di vita” e allo stesso tempo temiamo che il progresso tecnologico porterà al collasso della nostra società.”
Non è una provocazione. È il cortocircuito in cui siamo immersi.
C’è chi ricorda con nostalgia l’attivismo antinucleare tedesco, chi si sente tradito dallo Stato, chi canta davanti alla centrale spenta. In Polonia, i giovani protestano per costruire. Per credere nel nucleare come risorsa, non come minaccia. E nel mezzo, il presente scivola via tra discussioni mai chiuse, e progetti che temono di rimanere incompiuti, come quello di Zarnowiec:
“Hanno paura che finirà come a Zarnowiec, che inizieranno la costruzione e non la porteranno mai a termine.”
Nel film emerge anche un certo sbilanciamento narrativo. La parte a favore del nucleare sembra avere maggiore spazio e articolazione, soprattutto attraverso le testimonianze provenienti dalla Polonia. Una scelta che ha generato discussione al Green Vision Film Festival, dove il regista João Pedro Prado ha spiegato che la distribuzione non perfettamente bilanciata serve a rompere un consenso troppo consolidato in Germania contro il nucleare, e mostrare che non si tratta di un’opinione condivisa da tutta l’Europa.
Una provocazione necessaria? O una scelta retorica mascherata da apertura? Il film lascia volutamente aperta la domanda.
Sculture dimenticate, identità cancellate
Tra i protagonisti, anche l’artista ungherese Sándor Kecskeméti, ceramista e scultore, che cerca di recuperare una delle sue opere, venduta anni prima a una centrale. La scultura è sparita. E con essa, parte della sua storia.
“Perché è molto significativa per me”
Non è un dono, ma un pezzo di vita. Non è nostalgia. È un diritto. Il diritto a non essere dimenticati da ciò che si è creato. L’autorialità non è un vezzo. È resistenza. E la società ci costringe spesso ad alienarci da ciò che abbiamo generato con fatica, come se la memoria non avesse valore.
Un documentario che non si impone, ma si muove
Fission riesce in un equilibrio raro: raccontare senza imboccare. Non è una carrellata di testimonianze, né un documentario illustrativo. La regia di Prado e Yaremchuk e la fotografia di quest’ultimo si avvicinano ai personaggi senza schiacciarli. Le immagini, anche statiche, restano in tensione. Il montaggio non cerca ritmo, bensì ritmo interiore. Non c’è una sola posizione, ma vite che si muovono nel mezzo.
Come nella scena in classe, dove l’energia nucleare viene spiegata agli studenti. Senza ideologia. Senza paura. Lì dove si costruisce il pensiero. Dove è ancora possibile creare una posizione propria, fuori dai cliché, fuori dalla propaganda.
“L’atomo protegge la natura permettendoci di generare enormi quantità di energia da un’area molto piccola occupata dalle centrali nucleari, senza emissioni di CO2”
ribadisce Julia Galosz, biologa e attivista per Fota4Climate.
Fissione come metafora dell’identità europea
Guardando Fission viene in mente Chernobyl, la serie HBO, dove il disastro nucleare diventa disastro simbolico. Qui la catastrofe non esplode. Si sedimenta. Si trasforma in una fessura emotiva. Una crepa lenta e profonda. La stessa crepa che attraversa l’Europa: tra chi può permettersi di chiudere le centrali, e chi no. Chi ha paura del futuro, e chi lo costruisce per necessità. È questo squilibrio, questo senso di distanza, che il film mette in scena. Non per unire. Ma per mostrare.
Il riferimento a Fukushima 50 non è esplicito, ma aleggia. La paura di un’altra tragedia non viene mai detta apertamente, ma è presente negli sguardi, nelle esitazioni, nelle domande lasciate in sospeso. Come il bisogno di risposte, che Fission non vuole dare. Perché non è un documentario di soluzioni, ma di tensioni.
In assenza di energia, solo freddo e buio
“In uno spazio vuoto non c’è via d’uscita, non c’è energia, non c’è nulla — solo freddo e buio.”
Non è solo una frase poetica. È un monito. Senza energia, non c’è pensiero, non c’è tecnologia, non c’è comunicazione. Ma con essa, ci sono conseguenze. Spetta a noi decidere quali accettare.
Ci troviamo in un momento storico in cui nessuna scelta è indolore. Abbiamo bisogno di energia, ma non vogliamo inquinare. La rifiutiamo, ma senza di essa sembra impossibile andare avanti. Siamo in un circolo vizioso. Riflettiamo su quale energia può impattare meno, su cosa possa fare realmente la differenza? Non si tratta più solo di risparmiare per pagare meno bollette, ma di farlo per il pianeta. Per l’habitat in cui abbiamo messo radici. Per riconoscere che, anche nelle divisioni, c’è un futuro possibile da costruire. Ma solo se cominciamo a parlarne, senza paura di cambiare idea.