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‘Dogville’: Una Parabola Incisa nel Gesso e nella Crudeltà

Nicole Kidman e l’amara allegoria della gentilezza nell’America di provincia

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In Dogville di Lars von Trier, il terreno è nudo, le linee sono tracciate e tutto il resto – dolore, grazia, malizia e moralità – deve essere riempito da noi. È una parabola tratteggiata con il gesso e bruciata dal giudizio, un brutale teatro delle anime dove la pietà tremola come una lanterna morente.

Eppure, dietro il suo palcoscenico scheletrico e le sue verità glaciali si cela un film di straordinaria intensità e rivelazione. Dogville è un raro manufatto: alienante ma avvincente, ferocemente morale ma privo di ipocrisia, e attuale oggi come quando suscitò stupore a Cannes.

Il film è al cinema dal 2 Giugno con Movies Inspired.

Una Città Disegnata con il Gesso

Ambientato in una remota cittadina delle Montagne Rocciose durante la Grande Depressione, Dogville segue Grace (Nicole Kidman), una misteriosa donna in fuga che cerca rifugio in una comunità unita e timorata di Dio. Accolta con cauta compassione, Grace accetta di ricambiare l’ospitalità degli abitanti del paese con piccoli favori. Ma man mano che la sua vulnerabilità si fa evidente, cresce anche la loro sete di controllo.

Quello che inizia come un fragile patto si trasforma in uno straziante studio della moralità collettiva, dove l’ospitalità si trasforma in sfruttamento e la gentilezza diventa un pretesto per la crudeltà. I ​​confini della città possono essere tracciati con il gesso, ma le loro conseguenze sono scolpite nella pietra.

Il Progetto Brechtiano

Il primo shock di Dogville è visivo: un palcoscenico a scatola nera, linee bianche disegnate per le pareti e pochissimi oggetti di scena. Von Trier spoglia il cinema fino all’osso, prendendo direttamente in prestito l’Episches Theater di Bertolt Brecht. Come Brecht, nega l’illusione in favore del confronto, costringendo il pubblico a riflettere, non a fuggire. Non ci sono alberi a Dogville, solo il loro nome sul pavimento.

Il cane, Moses, è una sagoma di gesso. Non c’è neve, eppure tremiamo. Questo straniamento non è freddo, è chiarificatore. Von Trier ci spinge a vedere i sistemi in cui viviamo e i ruoli che vi svolgiamo. Seziona il mito della provincia americana con precisione chirurgica, mettendo a nudo l’immagine di generosità e giustizia che una nazione ha di sé, solo per rivelare il marciume che spesso si nasconde dietro la sua gentilezza.

Nicole Kidman: Santa, Spettro e Agnello

Nicole Kidman nei panni di Grace offre una delle interpretazioni più sorprendenti della sua carriera, forse la interpretazione più straordinaria. Scivola a Dogville con un’eleganza ferita, la sua dizione raffinata e i lineamenti di porcellana la mettono in contrasto con la diffidenza popolare degli abitanti del paese. Kidman cammina su un sottile confine tra impotenza e fuoco interiore.

Con ogni umiliazione che subisce – prima piccoli compiti, poi fatica, poi abusi – non scompare mai del tutto. Anche nei momenti più difficili, irradia qualcosa di intoccabile, come se il martirio fosse una condizione che indossa come un profumo. L’opera di Kidman qui è tanto scultura quanto performance: congelata nel dolore, cesellata nella moderazione, solo per poi frantumarsi gloriosamente nel climax apocalittico del film.

Von Trier: L’architetto del Perdono

Lars von Trier non ha mai evitato la provocazione, ma Dogville non è crudeltà fine a se stessa, è cinema come prova. La sua regia è austera ma autorevole, la macchina da presa scivola dolcemente sull’azione come un occhio che condanna, osservando ogni peccato, ogni silenziosa complicità. La narrazione (espressa con inquietante distacco da John Hurt) contribuisce al distacco morale, trasformando la storia in una favola oscura.

Il minimalismo formale di Von Trier assume un significato massimalista; l’assenza di un’ambientazione amplifica lo spazio psicologico, rendendo ogni tradimento ancora più doloroso. Alla fine, quando la pazienza divina di Grace si trasforma in una furia virtuosa, non è solo catarsi, è biblica.

Una Storia Vecchia come la Vendetta

Echi letterari risuonano sotto le assi di legno e le linee di gesso di Dogville. Grace è sia la figura eponima dei racconti di Flannery O’Connor, sia un’eco degli innocenti sofferenti di Dostoevskij. La città di Dogville, con il suo marciume mascherato da rettitudine, potrebbe benissimo essere nata dalla penna di Shirley Jackson.

Cinematograficamente, si potrebbe pensare a La passione di Giovanna d’Arco (Carl Theodor Dreyer, 1928), a Winter Light (Ingmar Bergman, 1963), o persino a Our Town (Sam Wood, 1940) capovolta. La crudeltà qui è senza tempo, perché è umana. E l’atto finale – quando la vendetta sboccia come una belladonna – ci ricorda che anche il più santo tra noi può sfociare nell’ira, e con ragione.

America su un Palcoscenico di Fantasmi

Von Trier, un danese, ha creato una storia tipicamente americana. Non l’America del luogo, ma l’America dell’idea: il sogno, la promessa e l’illusione. Dogville è una città che mette in pratica la virtù ma che mette in scena il dominio. Il modo in cui gradualmente trasforma la gentilezza in un’arma, razionalizza lo sfruttamento e maschera la violenza con le buone maniere è fin troppo familiare.

Von Trier non mira a parodiare gli Stati Uniti, ma a interrogarli, mostrando come qualsiasi sistema – democrazia, capitalismo, persino la moralità – possa essere piegato per giustificare la disumanità. Grace entra in cerca di rifugio e se ne va come un angelo vendicatore. Il suo viaggio riflette il doloroso arco di ogni figura oppressa a cui viene chiesto di dimostrare il proprio valore a chi non lo merita.

Epilogo: Il Cane Appare

E poi, alla fine, il cane di gesso abbaia. Un piccolo miracolo. La realtà, dopo tutta questa teatralità, si intromette. Von Trier non offre grazia facile, nessuna dolce soluzione, solo una verità che fa riflettere: che il perdono, se non meritato, potrebbe essere un’altra forma di complicità. Dogville non consola, affronta. E così facendo, diventa uno dei pochi film abbastanza coraggiosi da mostrare non solo i meccanismi della crudeltà, ma anche il prezzo del bene quando si scontra con il male.

In questo brutale inno di gesso e ombre, Dogville lascia una traccia indelebile. Come il miglior cinema, ti fa sentire, pensare, inorridire e ricordare.

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