Ariel non costituisce un classico adattamento de La Tempesta, una delle opere più apprezzate di William Shakespeare e da molti ritenuta il suo testamento artistico. Infatti, il lungometraggio presentato al Bellaria Film Festival unisce alcune idee tratte da diversi drammaturghi. Non solo, quindi, troviamo riferimenti alle opere di Shakespeare, ma anche concetti elaborati a partire dal teatro di Luigi Pirandello e Samuel Beckett.
Il risultato ottenuto da Lois Patiño, quindi, è un’opera che rompe il confine tra realtà e finzione, portando a riflettere sul senso del cinema e del teatro, ma anche sull’esistenza umana.
Ariel: una particolare messa in scena de La Tempesta
Augustina è un’attrice argentina. Quando parte per le Azzorre, in vista di una tournée teatrale su La Tempesta di Shakespeare, al suo arrivo non trova nessuno della compagnia. L’attrice non trova nemmeno un teatro. Dopo l’incontro con Ariel, Augustina scoprirà che la pièce è già iniziata: sarà proprio l’intera isola il luogo dove mettere in scena l’opera, coinvolgendo gli abitanti del territorio.
Chi è il regista di Ariel
Assieme ad autori come Oliver Laxe, Eloy Enciso, Diana Toucedo, Lois Patiño fa parte della generazione di registi galiziani chiamata Novo Cinema Galego.
Figlio dei pittori astratti Menchu Lamas e Antón Patiño, Lois si contraddistingue per l’approccio poetico e sperimentale con cui realizza i propri film. Il cinema di Patiño mescola documentario e finzione, esplorando il rapporto tra uomo e natura e quello tra paesaggio, memoria e identità. La relazione che si instaura tra suono, immagine e sensazione genera opere suggestive, che rendono il regista una delle figure più interessanti del panorama contemporaneo.
I suoi film sono stati proiettati in diversi festival cinematografici: Cannes, Berlinale, Locarno, Toronto, Viennale, IDFA, Cinema du réel, Oberhausen, Clermont-Ferrand. Ariel, invece, è stato presentato in concorso all’ultimo International Film Festival di Rotterdam.
L’intervista
Il tuo film, Ariel, è una rappresentazione dell’opera di Shakespeare “La Tempesta”. Perché hai scelto di basarti su questo testo e cosa ti ha affascinato in particolare dell’opera di Shakespeare?
Questo film doveva essere co-diretto con un mio amico, un regista argentino, Matias Piñeiro. Lui ha già realizzato cinque film su Shakespeare. Così, quando abbiamo deciso di lavorare insieme, abbiamo pensato a La Tempesta perché è l’opera che ha maggiore presenza della natura e della spiritualità. Era un aspetto che già mi interessava e che avevo esplorato nei miei lavori precedenti. Così abbiamo deciso di lavorare su questo.
Tuttavia, a causa del COVID e di vari impegni, Matias Piñeiro non ha potuto seguire il progetto e ho dovuto farlo io; sono rimasto da solo e così ho dovuto riadattare un po’ il lavoro, rimanendo però fedele a La Tempesta. E ciò che mi interessava di più di questo testo è stato proprio il personaggio di Ariel, ovvero lo spirito dell’aria, che si trasforma in vento, in acqua, in fuoco. Quindi è lo spirito dell’isola, della natura.
Per questo motivo ho deciso di concentrarmi su questo personaggio dell’opera, che di solito non è il protagonista, è un personaggio secondario. Qui, invece, volevo porlo al centro del racconto.
Come hai scelto il luogo in cui girare il tuo film e quanto l’ambiente circostante ha contribuito a creare un’atmosfera sospesa e magica al suo interno?
La Tempesta è ambientata in un’isola. Durante le riprese, volevo restituire la sensazione di isolamento su un’isola. Inoltre, dato che eravamo con molti attori non professionisti, ovvero persone provenienti dal villaggio, volevo che anche loro vivessero un’esperienza di isolamento in mezzo all’oceano. L’isola portoghese di Athoris, dove ho girato il film, ha molti cambiamenti climatici, come tempeste continue, forti venti, ma anche sabbia. Può cambiare costantemente. E poiché il personaggio di Ariel è lo spirito dell’aria, e a volte nel film si trasforma in aria, avevo bisogno di vedere il vento. Avevo bisogno degli alberi per vedere le foglie muoversi e di una tempesta. Ecco perché ho scelto questo luogo.
Mi piaceva anche l’idea di tradurre Shakespeare in una lingua non originale. Quindi, per me è stato molto emozionante mettere in scena Shakespeare in portoghese, partendo proprio da Athoris.
In Ariel è presente uno stretto rapporto tra cinema e teatro. Come sei riuscito a far convergere questi due mondi?
Per me questa ha costituito una delle sfide più entusiasmanti del film. I miei lavori precedenti erano ispirati più alla pittura, oppure alla scultura. Quindi, questa è la prima volta in cui mi dedico al teatro. Matias Piñeiro mi ha fatto conoscere Shakespeare e quando non è riuscito a seguire il progetto, ho deciso di non basarmi esclusivamente su La Tempesta, ma di incorporare anche altre opere di Shakespeare. Ho persino deciso di introdurre altri concetti che ho ricavato da autori teatrali, come Pirandello, con particolare riferimento a Sei personaggi in cerca d’autore. Pirandello mi ha suggerito l’idea più importante del film, ovvero personaggi che sanno di essere personaggi, che sanno di essere in un’opera teatrale o in un film. Ovviamente, ciò genera riflessioni esistenziali.
Per quanto riguarda i dialoghi, mi sono ispirato molto al Teatro dell’Assurdo di Samuel Beckett. Questi sono dialoghi senza logica, come se qualcuno facesse una domanda e l’altro rispondesse con qualcosa di completamente diverso. Il modo in cui li ho usati ricorda molto la protagonista, che non sa in quale isola si trovi, cerca di vivere la sua vita quotidiana, ma ottiene risposte che sono semplicemente frasi di Shakespeare. È così che sono riuscito ad approcciarmi al Teatro dell’Assurdo.