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Approfondimento

Scrittori alla regia: il cinema – come la vita – non è un romanzo

Una panoramica su alcuni scrittori italiani che hanno tentato la via del cinema, tra alterne fortune

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Smessa – a quanto sembra, ma speriamo di no – la carriera registica, Woody Allen ha annunciato che pubblicherà un romanzo. Il noto e apprezzato regista americano non è un novizio della scrittura. É già un abile storytelling cinematografico ed eccellente dialoghista, e, in parallelo alla sua prolifica filmografia, vi è già una cospicua opera letteraria, tra sceneggiature, autobiografie e raccolte di racconti e/o saggi umoristici.

Ma non è stato l’unico regista che si è dedicato alla narrazione scritta, demandando alle frasi l’evocazione delle immagini. Soltanto per citare qualche nome, in Italia si sono cimentati ad esempio Michelangelo Antonioni (Quel bowling sul Tevere), Pupi Avati (Il bacio di Giulietta) oppure Paolo Sorrentino, con già due romanzi: Hanno tutti ragione e Gli aspetti irrilevanti.

Tra i registi stranieri, ci sono David Cronenberg (Divorati), Takeshi Kitano (Nascita di un guro), Werner Herzog (La questione dell’inutile), o François Truffaut (L’uomo che amava le donne).

Ironicamente si potrebbe descrivere questa scelta come un passaggio dal grande formato (il cinema) al “piccolo” formato (la letteratura), ma la motivazione è ben più profonda. Il piacere di scrivere, in primis, e soprattutto di riuscire a realizzare immagini soltanto con l’ausilio delle parole. Inoltre, la scrittura è più personale, solitaria, intimista. La riuscita di un’opera è poi imputabile soltanto a un autore, rispetto a un film, dove il regista è sì il “direttore d’orchestra”, ma spesso si avvale di ottime maestranze che contribuiscono in maniera determinante alla riuscita finale.

Scrittori alla regia: alcuni importanti esempi

Passaggio inverso e probabilmente più logico (tenendo in conto il mercato): quello dalla letteratura al cinema. Gli scrittori, raggiunta una certa notorietà, si cimentano anche con il mezzo cinematografico. Spesso è un vezzo narcisistico, un tentativo d’incrementare il loro status autoriale. Prassi molto simile agli attori che decidono di diventare registi.

Raramente la scelta di abbracciare un’altra arte è dovuta davvero a un’esigenza artistica. Ed è infrequente che lo scrittore, novello regista, realizzi un’opera filmica di pregio.

Il primo scrittore che viene in mente è Pier Paolo Pasolini. Pasolini ha affrontato qualsiasi genere letterario  e ha trovato nel cinema la sua perfetta forma espressiva. Realizzando indimenticabili immagini visive e adottando una tecnica differente, che si confacesse con la tematica di ogni film. Da Accattone che portava in fisicità visiva le borgate dei due noti romanzi (Ragazzi di vita e Una vita violenta) fino al cupo e violento Salò o le 120 giornate di Sodoma, in cui le inquadrature sono geometriche e razionali come le immagini del fascismo.

Da citare anche la freddezza – come la borghesia al centro della vicenda – di Teorema e la narrazione popolare e semplice de Il Decameron.

Forma artistica apprezzata molto di più che quella scritta, che gli ha poi dato maggior notorietà oltre che solidità economica. Lui stesso ammise, nei vari epistolari, che con il cinema aveva potuto comprare auto, casa e altre cose.

Però Pasolini non è stato un regista per caso. Sebbene abbia proseguito con la sua prolifica carriera di scrittore, aveva eretto il cinematografo a sua primaria forma espressiva.

Tra le diverse recensioni letterarie che scrisse Pasolini, contenute nella raccolta postuma Descrizioni di descrizioni, c’è quella al romanzo Lo smeraldo di Mario Soldati. Lo scrittore friulano mette in rilievo come nel libro ci sia una forte carica di sessualità, ravvisabile anche in molti altri testi dello scrittore piemontese. Non a caso da Lettere da Capri il regista Tinto Brass trasse ispirazione per il porno soft Capriccio, e La sposa americana fu alla base dell’omonimo film pruriginoso con protagonista Stefania Sandrelli.

E questo aspetto “pruriginoso” si ravvisa anche nella carriera cinematografica di Soldati, che trovò nel cinema un giusto formato per le sue ambizioni artistiche ed economiche. Una filmografia altalenante, tra pellicole personali e altre realizzate per questione economiche. Nella sua produzione, la figura femminile è quasi sempre è al centro del racconto.

Donne belle, caparbie, maliarde, infide e che esprimono sesso, sebbene in un periodo di forte censura. Mario Soldati chiuderà con il cinema nel 1959 con il mesto Policarpo, ufficiale di scrittura. Troverà maggior fascino – e successo mediatico – nella nascente televisione, per la quale viaggia per l’Italia tra borghi e campagne.

Oggi, un romanziere che ha trovato nel cinema un’ulteriore forma artistica che si adatta alla sua visionarietà è Donato Carrisi. Apprezzato giallista, sta ottenendo lodevoli consensi anche per le sue opere filmiche, sempre di carattere thriller/noir. Al momento ha realizzato ben tre pellicole; l’ultima, Io sono l’abisso, ha però diviso la critica.

Scrittori alla regia: tanti fortunati romanzi, ma registi di un solo sfortunato film

Ma eravamo rimasti a Mario Sodati. Nei decenni successivi, si sono succeduti molti altri romanzieri che hanno tentato la via del cinema. Il più interessante è Curzio Malaparte, che realizzò lo scandaloso Il Cristo proibito. Tratto dal suo omonimo romanzo, la pellicola fu osteggiata dalla censura. È un film duro tanto nella narrazione quanto nella messa in scena, proprio come la scrittura carnale e feroce di Malaparte.

Altro noto scrittore che passò dietro la macchina da presa fu Alberto Moravia. Diversi suoi romanzi divennero anche dei successi cinematografici: La romana (diretto da Luigi Zampa), La ciociara (realizzato da Vittorio De Sica), Il conformista (trasposto da Bernardo Bertolucci) e Io e lui (per la regia di Luciano Salce). Per la sua unica regia si è cimentato con un cortometraggio, Colpa del sole. Anch’esso tratto da un suo racconto, fu prodotto da Marco Ferreri.

Compagna per molti anni di Alberto Moravia, e tra le amiche confidenti di Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini è una delle più note e impegnate scrittrici italiane. La sua unica opera da regista è L’amore coniugale, tratto dall’omonimo romanzo di Moravia. Il film fu un insuccesso, poiché ostico nel suo raccontare le difficoltà di coppia.

Restando nel circolo di Pier Paolo Pasolini, anche l’apprezzato romanziere e saggista Enzo Siciliano ha realizzato un film: lo sfortunato La coppia, tratto dal suo omonimo romanzo. Anche in questo caso la radiografia di una relazione amorosa.

In anni più recenti, altri scrittori baciati dal successo hanno deciso di cimentarsi anche alla regia cinematografica. Tutti con risultati deludenti. Andrea De Carlo, tra i romanzieri di punta della letteratura italiana post anni ’70, decise di trasporre sul grande schermo il suo fortunato libro d’esordio, Treno di panna. Con un giovane Sergio Rubini, è una commedia che si ispira al cinema americano. Presentato al Festival di Venezia, fu un grossissimo fiasco, anche da parte della critica.

Stessa sorte per Alessandro Baricco, tra gli autori più venduti anche all’estero. Presentato al Festival di Locarno, l’ambizioso Lezione ventuno fu un clamoroso insuccesso. Tra l’altro molto preso in giro per la sua altezzosità stilistica e contenutistica.

Quasi dello stesso periodo l’altro atteso esordio, ossia quello di Susanna Tamaro. Prima di divenire nota come scrittrice, la Tamaro iniziò nel cinema, facendo l’assistente al regista Salvatore Samperi. Nel mio amore, tratto dal racconto L’inferno non esiste, fu totalmente massacrato dalla critica; quindi, la Tamaro tornò a esprimersi artisticamente soltanto attraverso la carta stampata.

Carlo Lucarelli, apprezzato scrittore di gialli e divenuto noto per l’intrigante trasmissione Blu notte – Misteri italiani, tentò la regia con L’isola dell’angelo caduto, tratto dal suo omonimo romanzo. La pellicola rimase in cartellone soltanto pochi giorni, per poi non esser mai più distribuita o trasmessa. Pare che sia stato lo stesso Lucarelli a chiederne l’oblio, poiché si è vergognato del risultato finale.