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Lovers Film Festival

‘Haze’: un erotico thriller psicologico

Matthew Fifer torna al Lovers Film Festival con il suo nuovo film

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Dopo aver scritto e diretto i cortometraggi Pop (2016), Bagdad, Florida (2017) e il lungometraggio Cicada (2020), presentato con successo nei festival di tutto il mondo (tra cui proprio il Lovers Film Festival), il regista statunitense Matthew Fifer ha avuto occasione di presenziare al Festival torinese e di introdurre il suo nuovo film, Haze. L’opera vede come protagonisti Cole Doman, Brian J. Smith e David Pittu.

Sinossi

Il giovane giornalista Joseph (Cole Doman) torna nella sua città natale, Haze, per indagare su un curioso caso. Alcuni anni prima, infatti, otto uomini gay sarebbero morti suicidi in un ospedale psichiatrico, ora abbandonato, che sembra custodire oscuri segreti. Durante i sopralluoghi per documentare il posto, raccogliere prove e intervistare i dipendenti dell’ospedale, Joseph incontra il bello e sfuggente Luke (Brian J. Smith), con il quale svilupperà un’intensa relazione. Nel frattempo, in città si stanno verificando una serie di morti sospette e toccherà a Joseph far luce su questo mistero.

Il destino della comunità LGBTQIA+, tra passato e presente

Sicuramente ciò che rende Haze interessante è il focus sull’infelice sorte dei membri della comunità LGBTQIA+. Ciò permette allo spettatore non solo di ricordare lo stato in cui queste persone erano costrette a vivere nel passato, ma anche di riflettere sulla forte drammaticità e attualità della problematica, considerando che in molti Paesi i diritti di questa comunità sono inesistenti o stanno progressivamente scomparendo.

In un passato non troppo distante da noi, le persone reputate anormali, ossia quelle con una sessualità che differisce rispetto all’eterosessualità, sono state condannate alla reclusione presso alcuni istituti psichiatrici, cercando così di curare la loro anomalia. Ovviamente, le procedure a cui queste persone erano sottoposte erano tutt’altro che piacevoli. Volte ad annullare totalmente la soggettività dell’individuo e la sua dignità, esse trasformavano la persona coinvolta in un puro soggetto spersonalizzato, vuoto, un non-vivente. L’anormale era da considerare affetto da una grave infermità e l’unico obiettivo comprendeva proprio la risoluzione del disturbo, per poi riportarlo sulla retta via. Le conseguenze fisiche, ma soprattutto psicologiche, di questi processi violenti erano immediatamente riscontrabili nelle vittime, obbligate a subire il totale annientamento del proprio Io. Tornare a vivere una vita normale, quindi, sembrava impossibile e spesso l’unica soluzione possibile era ricorrere al suicidio.

Tutto ciò è perfettamente riscontrabile se consideriamo il personaggio della sorella del protagonista, deceduta quando Joseph era piccolo. Considerata diversa, quindi inferma e bisognosa di cure, la giovane è stata rinchiusa in un istituto psichiatrico. Il film si apre proprio con un filmato amatoriale dei due in cui, all’insaputa dei genitori, la ragazza incoraggia il fratellino ad esprimersi liberamente, anche attraverso capi femminili e parrucche da donna. Quello che apparentemente appare essere un semplice gioco fraterno si rivelerà un insegnamento fondamentale per Joseph, che imparerà a conoscere realmente il proprio sé e a manifestarlo al meglio proprio grazie alla sorella.

Man mano che ci si addentra nel vivo del film, poi, emergono sempre più chiaramente le sorti dei folli rinchiusi nell’ospedale psichiatrico sul quale Joseph sta indagando. Attraverso la presenza di scene dal gusto paranormale, in cui Joseph vede la disumanità a cui essi erano sottoposti, il protagonista riuscirà finalmente a far luce sul mistero riguardante la morte degli otto uomini gay, ma anche sul destino della sorella.

Criticità del film

Nonostante gli interessanti spunti di riflessione sopra elencati, il film non è privo di punti critici.

Il film, definito dallo stesso regista un erotico thriller psicologico, possiede alcune problematicità a livello registico e dal punto di vista della sceneggiatura. Innanzitutto, nonostante la trama sembri presentare una storia accattivante, essa si sviluppa in maniera abbastanza piatta, rendendola abbastanza anonima e generica. A differenza di ciò che accade nei thriller psicologici, qui i personaggi non risultano essere abbastanza definiti, né tanto meno viene approfondita la loro psiche. Se pensiamo alla figura della sorella di Joseph, ad esempio, sarebbe stato decisamente più interessante e impattante poter conoscere più a fondo il suo vissuto e comprendere le ripercussioni psicologiche causate dalla reclusione nell’ospedale psichiatrico.

All’interno di Haze, poi, la tensione è presente in maniera molto attenuata, generando così il rischio di non coinvolgere a dovere lo spettatore e, quindi, di annoiarlo. Alcune scene, soprattutto quelle dalle tinte più horror, sono girate con il tentativo di generare suspense nello spettatore, ma non risultano riuscite in quanto non provocano né inquietudine, né spaventano effettivamente. L’unico colpo di scena, poi, è presente alla fine del film, ma sfortunatamente non appare nemmeno così spiazzante. Haze si dimostra, quindi, un film che, a differenza di ciò che il sottogenere prevederebbe, non tiene con il fiato sospeso e lascia soltanto un gusto amaro in bocca.

Un’altra problematica del film è la storia d’amore tra il protagonista e Luke. Le scene che la riguardano, in cui emerge un desiderio reciproco intenso e fortemente carnale, sono però inserite nel racconto in maniera quasi casuale. Come ha affermato il regista in sala, questa voleva essere una storia sessualmente eccitante. Tuttavia, il rapporto tra i due personaggi, così come la loro intimità, non viene esplorato. Il risultato, quindi, è che le frequenti scene di sesso sembrano essere messe lì un po’ per caso, forse per appagare puramente il piacere voyeuristico di chi guarda il film e ottenendo così un forte senso di superficialità.

Infine, Haze è ricco di citazioni cinefile. Matthew Fifer ha ammesso apertamente l’impatto fondamentale che hanno avuto gli horror durante la sua infanzia, passione che ha condiviso assieme a sua nonna. In tutto il film, infatti, possiamo osservare molti (forse troppi) riferimenti a film quali Psycho o Il silenzio degli innocenti. Tuttavia, così come la storia tra Joseph e Luke, anche i costanti rimandi ai cult horror – siano essi visivi o presenti soltanto nei dialoghi – sono inseriti casualmente in contesti in cui si trovano privi di una vera logica narrativa (forse con il tentativo di ricreare le atmosfere cupe tipiche del genere?) e, quindi, legati ad un puro e semplice gusto cinefilo.

Haze

  • Anno: 2024
  • Durata: 76'
  • Distribuzione: Shudder
  • Genere: thriller
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Matthew Fifer