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Prime Video Film

‘Terrifier’ – Fra violenza e linguaggio

Un film che ha dato il via ad un significativo fenomeno di culto contemporaneo fra gli appassionati di horror e non solo. Probabilmente dietro a questo successo si cela una giocosa analisi delle strutture linguistiche dello slasher.

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Terrifier di Damien Leone, regista, sceneggiatore, produttore, montatore e supervisore degli effetti speciali, è il capostipite della trilogia horror (ma già ci sono voci su un possibile quarto capitolo) con protagonista Art il clown. Proiettato in anteprima al Telluride Horror Show Film Festival nel 2016 e distribuito in poche sale statunitensi nel 2018, è arrivato in Italia solo nel 2020 in DVD, ma è ora fruibile su Amazon Prime Video.

Halloween, la notte delle streghe

Durante la notte di Halloween due ragazze, Dawn e Tara, incontrano in un ristorante Art il clown, un terribile assassino travestito da pagliaccio che si divertirà a terrorizzarle e torturarle.

Lo slasher e il ribaltamento dei codici

Terrifier si presenta fin da subito come un classico slasher che contiene tutti i codici tipici del genere: un boogeyman dal forte impatto visivo, la final girl, la presenza di scene con estrema violenza perpetrata tramite armi bianche, la condensazione degli eventi narrativi in un tempo e in uno spazio ridotto e specifico etc. Tuttavia, con lo scorrere del tempo si comprende che l’obiettivo principale di Leone è quello di produrre un costante e schematico ribaltamento dei suddetti codici.

Infatti, fin dalla prima scena che precede il titolo del film, l’autore decide di sorprendere lo spettatore. Leone ci mostra in un primo momento Art il clown che guarda in una piccola e vecchia tv un’intervista fatta all’unica sopravvissuta delle sue terribili violenze, per poi spostare l’azione nel dietro le quinte del programma televisivo concentrando la tensione sull’intervistatrice. Mentre lei è allo specchio, Leone alterna inquadrature della donna a quelle dell’appendiabiti subito dietro di lei. Tuttavia, il pubblico sa bene che il “mostro” non arriverà da lì e Leone sa bene che il pubblico è così avvezzo a tali strutture linguistiche che decide di “fregarlo” facendo attaccare la donna non dal clown (cosa che tutti si aspettavano, avendo posto l’attenzione sul “dove” attaccherà invece che sul “chi”), ma dalla vittima appena intervistata.

Tale scelta ci porta anche a riflettere sul ruolo della final girl, colei che solitamente riesce a sopravvivere all’uomo nero. Sappiamo proprio da quest’intervista che una ragazza si è salvata, ma non sappiamo chi è (il nome viene omesso e il suo volto è terribilmente sfigurato). Dunque, quando comincia la narrazione tornando indietro alla notte di Halloween di cui si è parlato in tv, lo sguardo dello spettatore associa il ruolo della final girl a Tara, che pare essere la protagonista del film. Tale associazione viene smentita intorno alla metà del film producendo un ulteriore e più significativo ribaltamento. Infatti, Tara viene uccisa e sostituita come “protagonista” e “sopravvissuta” da Victoria, una sua amica. Inoltre, viene uccisa non con un’arma bianca, né con uno degli strumenti di tortura che vengono paventati fin dall’inizio, bensì da una apparentemente banale e semplice (ma non in un contesto del genere) pistola. Dunque, le aspettative del pubblico vengono deluse doppiamente non solo per quanto riguarda il “chi” muore, ma anche per il “come” muore.

Il fascino della violenza

Questo gioco continuo di soprese e ribaltamenti procede indistintamente per tutto il film arrivando fino al finale (che invece, si rivela abbastanza canonico).

Tuttavia, tutto questo lavoro fatto sul linguaggio e gli stilemi dello slasher movie non ha lo scopo di aggiornare, rivitalizzare o revisionare il genere come fece nel 1996 Scream di Wes Craven ad esempio. Le scelte di Damien Leone sembrano orientate esclusivamente a giocare con le caratteristiche del genere per sorprendere lo spettatore e nient’altro.

Tant’è vero che non solo non vengono specificate le origini del terribile Art il clown, nè le motivazioni che ci sono dietro le sue azioni, ma Terrifier chiarisce fin da subito che non ha neanche alcuna intenzione di far empatizzare lo spettatore con le vittime del suo protagonista, che si rivelano personaggi senza nessuna caratteristica interessante. La sceneggiatura sembra quasi solo un pretesto per mettere in scena una serie di ingegnose ed estreme scene di violenza e tortura per divertire chi guarda.

D’altronde lo stesso Art il clown vuole giocare e divertirsi. Fa facce buffe, è continuamente immerso nel suo personaggio (non emette nessun suono neanche quando viene colpito violentemente e accenna a smorfie di dolore) e si compiace delle sue gesta prendendo in giro le ragazze perseguitate. Per lui la violenza è uno show, uno spettacolo da portare avanti tenendo sempre accesa l’attenzione del suo pubblico.

E questo è proprio l’obiettivo di Leone, che così sembra quasi essere un suo alter-ego. Il regista americano vuole semplicemente ingaggiare una giocosa sfida con gli spettatori per dimostrare che sa bene come riuscire a fregare le loro aspettative destabilizzandoli con scene esplicite.

Un discorso a parte meriterebbe la questione legata alla rappresentazione della violenza, che suscita sempre particolari polemiche. Ma questo giudizio non può che spettare ai singoli che guardano. Di certo, avendo citato Scream, non possiamo che ripensare alla celebre battuta:

“No, Sid! Non dare la colpa al cinema. I film non fanno nascere nuovi pazzi, li fanno solo diventare più creativi”.

In streaming su Prime Video.

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Terrifier

  • Anno: 2016
  • Durata: 86 min
  • Distribuzione: Cine Museum
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Damien Leone
  • Data di uscita: 15-March-2018