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‘Iwájú’: una serie d’animazione postcoloniale poco convincente

Disponibile su Disney+, la nuova serie animata Diseny-Kugali proietta lo spettatore in un'Africa futuristica con una storia di formazione dai vividi riflessi culturali, ma con poca sostanza e incisività

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Iwájú è una serie d’animazione originale Disney+, scritta da Olufikayo Adeola e Halima Hudson e diretta da Adeola. Basata su una storia di Adeola, Hamid Ibrahim e Toluwalakin Olowofoyeku, la serie della Walt Disney Animation Studios è frutto di una collaborazione con la compagnia di intrattenimento panafricana stabilita nel Regno Unito Kugali Media.

La parola “iwájú” è in lingua yoruba (una lingua parlata nell’Africa occidentale e, in particolare, in alcune zone della Nigeria) e può essere tradotta all’incirca come “futuro”.

Sinossi ufficiale

Ambientata in una futuristica Lagos, in Nigeria, questa serie animata originale racconta l’emozionante storia di formazione di Tola, una bambina della ricca isola, e del suo migliore amico, Kole, un esperto di tecnologia, mentre scoprono i segreti e i pericoli dei loro mondi diversi. “Iwájú” nasce da una straordinaria collaborazione tra Disney e la società di intrattenimento panafricana Kugali.

Iwaju

Un interessante approccio postcoloniale

In un momento storico nel quale la Disney ha fatto della rappresentatività una delle sue battaglie focali, non sorprende una serie animata ambientata in Africa e costellata unicamente da personaggi africani. Fino ad ora, non sono state numerose le serie che hanno tentato questo passo in avanti; anzi piuttosto rare. Si può dire che una serie come Iwájú, peraltro la prima serie animata originale dei Walt Disney Studios ad includere episodi della durata superiore ai 20 minuti, si piazzi con la visibilità offerta da Disney+ all’avanguardia di questo movimento cinematografico postcoloniale. La serie, in termini di inclusività, ha alcuni primati all’interno del panorama Disney. Si tratta, ad esempio, della prima serie in cui l’azienda ha collaborato con sceneggiatori africani per scrivere una serie animata ambientata sul continente africano. L’ampio uso, nella versione inglese, del pidgin consente, inoltre, una forte immersione nel contesto culturale rappresentato.

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Afrofuturismo e problemi di efficacia

C’è però da dire che Iwájú non ha avuto la risonanza che ci si sarebbe aspettati. Sebbene sui social network ci sia una forte spinta alla sua visione proprio in virtù di questi suoi pregi, non è sicuramente una serie sulla bocca di tutti. E questo un po’ spiace, poiché gli intenti sicuramente nobili portati avanti da Disney e Kugali non sembrano essere più di tanto ripagati.

Ma il problema è un altro. La serie si innesta nella corrente culturale dell’Afrofuturismo, una corrente estetico-filosofica che esplora l’intersezione fra il futurismo tecnologico e la diaspora delle popolazioni e della cultura africane. Sebbene, in linea teorica, questa corrente nasca proprio dall’esigenza di avvicinare l’Occidente al contesto africano eliminando le barriere culturali, al giorno d’oggi la saturazione di questo genere genera, possibilmente, un effetto contrario. Dipingere un’Africa tecnologicamente fantascientifica porta solo a vedere la rappresentazione che viene fatta come, appunto, fantastica e distante dalla realtà.

Non è sicuramente questo il caso di Iwájú. La serie non si abbandona a ipocrisie e, sia pur indirizzata ad un pubblico prevalentemente puerile, non cerca di nascondere le ambiguità della società africana, nel bene e nel male. Ma quando è la veste apparente a dipingere l’Africa come fantascientifica, nasce spontaneo nello spettatore estraneo al contesto chiedersi quanto di vero possa esserci in quel che viene mostrato. Ed è forse sotto questo punto di vista che si registra uno dei maggiori fallimenti. Per avvicinare il pubblico occidentale ad una serie ambientata in Africa forse sarebbe meglio partire da un contesto più concreto e realistico.

Animazione ed estetica al top, ma non prive di increspature

Sicuramente molto curato è l’aspetto tecnico dell’animazione, dove l’esperienza dei Walt Disney Animation Studios emerge più preponderante. Iwájú  è colorata e affascinante, con una meticolosa attenzione al raccordo fra gli elementi tecnologici e quelli più tradizionali della cultura nigeriana. I personaggi hanno le classiche proporzioni variegate che la Disney ci ha abituato a conoscere, con forme e dimensioni del corpo che, nella loro estrema variabilità, riescono a mantenere un certo contatto con il realistico che non porta lo spettatore a percepirli come caricaturali. Dall’animazione traspare uno studio dei movimenti del corpo di uomini e animali che li rende molto naturali e credibili. Tuttavia, nelle scene più concitate, si registra una leggera legnosità quando i personaggi sono messi alla prova con azioni più spericolate. Nulla di gravissimo, ma a un occhio attento questi dettagli non sfuggiranno.

C’è un problema, piuttosto, con un altro aspetto estetico, e si tratta degli occhi di alcuni personaggi, soprattutto della protagonista Tola e dei più giovani in generale. I grandi e lucidi occhioni che questi personaggi si ritrovano ricadono inesorabilmente nella malfamata uncanny valley, somigliano ad occhi reali ma allontandosene quel tanto che basta a renderli vagamente inquietanti. È un problema decisamente assente nei personaggi adulti e sicuramente molto collegato alle sensibilità soggettive. Tuttavia, è strano registrare una sbavatura come questa in un prodotto Disney. A dispetto del calo di interesse da parte del pubblico registrato negli ultimi anni, i film Disney hanno comunque sempre mantenuto un’asticella alta con un’ineccepibile attenzione per i dettagli.

Una trama non troppo originale ma funzionale

Il soggetto di Iwájú funziona. La storia, piuttosto semplice, consente agli sceneggiatori di esplorare tantissime sfaccettature dell’ambientazione e dei personaggi. Quella che è, alla base, una classica storia di rapimento con salvataggio, viene complicata dall’uso della tecnologia fantascientifica, dalle relazioni di amicizia, da discorsi legati al classismo e anche dal passato di alcuni personaggi. C’è da dire che la serie risponde a trame così ampiamente esplorate che, a dirla tutta, non brilla certo per originalità. Quante volte abbiamo visto l’amico che tradisce per necessità e poi si pente? O l’organizzazione criminale dove i sottoposti si ribellano al capo nel momento in cui si allontana dal normale modus operandi? O, ancora, il padre assente che pensa di sapere tutto della figlia e, in realtà, non la conosce affatto?

Il fascino della serie è sicuramente tutto nell’ambientazione africana e nel modo eccellente in cui viene gestita. Lo spettatore è sempre spinto a chiedersi quale sarà la prossima particolarità che lo aspetta. E, pertanto, non ci si annoia a seguire una trama che viene evidentemente declinata a mostrare più che a raccontare.

Più un film che una serie

Quel che forse lascia un po’ perplessi è la gestione del ritmo narrativo. Quando si ha in mente il quadro completo della serie, ci si rende conto che manca un qualsiasi accenno di trama verticale. I titoli degli episodi, che portano il nome dei principali personaggi (con l’eccezione del primo, Iwájú), sembrano voler stabilire sin dall’inizio il tema del singolo episodio. Una monotematicità che si registra, tuttavia, solo nelle intenzioni. La trama sembra scorrere come un fiume dal primo all’ultimo episodio, al punto che, conclusa la serie, sembra che non sia poi accaduto molto. Mancano  veri e propri cliffhanger di fine episodio o anche solo delle conclusioni che facciano pensare che sia davvero finito. L’unico meccanismo che rientra a pieno titolo nella narrazione episodica è quello del flashback in apertura di ogni puntata. Ma è così immancabilmente reiterato da avere un effetto quasi manieristico.

In generale, si ha la sensazione che Iwájú non sia tanto composta da sei episodi, quanto piuttosto da uno singolo diviso in sei parti. Viene da chiedersi perché si sia deciso di realizzare una serie invece di un film, che meglio avrebbe racchiuso una trama forse un po’ troppo lineare e vuota di diramazioni.

Una caratterizzazione piuttosto deludente

Negli aspetti finora presi in considerazione, la serie ha mostrato un’alternanza di meriti e demeriti che non la sbilanciano certamente verso il capolavoro, ma che non la screditano neanche considerevolmente. L’aspetto della gestione dei personaggi è, però, sicuramente il più deludente.

I personaggi sono tutti macchiettistici e, nel migliore dei casi, hanno una caratterizzazione gradevole, ma non vanno oltre. Mancano tutti di spessore e sono privi di una qualsivoglia evoluzione.

Tola, la protagonista, è una ragazzina perfetta manchevole di qualsivoglia difetto: in altre parole, è una noia mortale. Di famiglia benestante, non conosce malizia né altezzosità, è empaticissima e arguta e l’unico errore che compie è dire una piccola bugia per poter esplorare il mondo, per poter vedere con i propri occhi Ajegunle, la parte della città da cui il padre proviene e che lui vuole impedirle di vedere perché troppo piena di pericoli. Alla fine dell’avventura è identica a com’era prima e, per quella che vuole anche essere una storia di formazione, questo rappresenta un deciso fallimento.

E che dire del padre di lei, Tunde? Proveniente da una parte della città piuttosto povera e desideroso di dare il suo contributo alla società, si imborghesisce in men che non si dica e comincia a comportarsi con lo stesso disprezzo classista al quale il villain di questa serie si oppone. Quel che succede alla fine è che il villain viene punito per la sua cupidigia, mentre Tunde non espia alcuna colpa. Il che pone la serie su un’ambiguità morale che non si addice al lieto fine che vuole trasmettere.

Si potrebbe parlare anche di Kole, forse l’unico personaggio un po’ più sfaccettato. Ma, in ultimo, pure lui torna sul suo binario dopo un deragliamento solo apparente.

Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, insomma, non ci siamo proprio.

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Una serie che non ci ha creduto abbastanza

Iwájú è una serie piuttosto ambiziosa, che si è proposta di smuovere l’offerta del monotono mercato Disney. Ma è stata forse troppo ambiziosa o, piuttosto, non ci si è creduto abbastanza. Tralasciando quelli che sembrano essere degli errori dettati, forse, da un po’ di fretta, il problema più grande della serie è non riuscire a imporsi. Sulla carta, Iwájú non avrebbe nessun motivo di non funzionare. Ma se proviamo a proiettarci in avanti di qualche anno per riguardare indietro, non è difficile immaginare che, probabilmente, non avrà lasciato alcun segno.

Sia pur ricca di spunti interessanti e con una cura e un rispetto per la cultura africana davvero encomiabili, la serie è, però, davvero dimenticabile. Una volta conclusa, potrà lasciar al più un ricordo gradevole, ma forse fin troppo etereo per riuscire a focalizzarne le qualità. Sono i difetti che rimangono impressi nella memoria ed è un trend questo cui la Disney ci sta tristemente abituando. Duole dirlo, ma Iwájú è davvero un’occasione mancata, una serie non mediocre, ma di certo non eccellente. E dinanzi all’imponente retaggio dei Walt Disney Animation Studios non basta essere poco più che mediocri per riuscire a fare davvero la differenza.

Iwájú

  • Anno: 2024
  • Durata: 6 episodi (20 min. ca.)
  • Distribuzione: Disney+
  • Genere: Sci-Fi
  • Nazionalita: Stati Uniti, Regno Unito, Nigeria
  • Regia: Olufikayo Adeola, Halima Hudson
  • Data di uscita: 03-April-2024