Pompei (Pompeii, 2014) altro non è che un blockbuster che cerca di recuperare gli antichi splendori dei kolossal d’ambientazione romana realizzati tra gli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60. Medesimi fini spettacolari aumentati dall’attuale tecnologia effettistica.
Non aggiunge niente e non rinnova il conclamato genere, però garantisce spettacolo e non si protrae in una lunga durata.
Pompei, la trama
Milo (Kit Harington) è un giovane e vigoroso gladiatore celta a cui, da bambino, i romani avevano ucciso la famiglia e il suo popolo. Nel 79 d.C., viene portato a Pompei per combattere e offrire spettacolo. Nel tragitto conosce la giovane patrizia romana Cassia (Emily Browning), di cui s’innamora. Mentre sta combattendo, il Vesuvio incomincia a eruttare e a distruggere la città. Milo decide di salvare l’amata Cassia e di fuggire con lei.
Una storia d’amore corroborata da un massiccio uso degli effetti speciali
In Viaggio in Italia di Roberto Rossellini una coppia inglese di mezza età (Ingrid Bergman e George Sanders), sentimentalmente al disfacimento, visita le rovine di Pompei e assiste ad alcuni operai che stanno riportando alla luce i resti della città colpita dalla funesta catastrofe nel lontano 79 D.C..
Lentamente si scopre che quei resti sono due figure umane, di un uomo e una donna che si tengono per mano. Da questa tragica (e luminosa) scoperta rinasce e si rinsalda l’amore tra i due inglesi.
Non sappiamo se Anderson e i suoi collaboratori hanno visto (e apprezzato) Viaggio in Italia, come fu per i giovani turchi della Nouvelle Vague. E tanto meno sappiamo se Milo e Cassia siano realmente esistiti. Le vicende dell’antica Pompei sono frammentarie e rimangono soltanto rovine, calchi umani e qualche frammento letterario.
Pertanto con questi pochi elementi rimasti si può creare una ricostruzione storica che può permettersi qualche licenza cinematografica. E quindi possiamo immaginare, a livello cinefilo, che quella coppia “scoperta” in Viaggio in Italia potrebbe essere quella di Milo e Cassia, “immortalata” prima che potesse nascere e concretizzarsi la loro storia d’amore.
Ma l’elemento romantico è soltanto un aspetto di questo tecnologico peplum-disaster movie che in un solo colpo, parafrasando il fittizio produttore Samuel L. Broconwitz, realizzatore del catastrofico That’s Armageddon (finto trailer contenuto in Ridere per rideredi John Landis), offre allo stesso prezzo un terremoto, un’eruzione e un maremoto (e la sopracitata romantica storia d’amore). Il tutto confezionato con le più elaborate e innovative tecnologie, che vanno dalla Computer Graphics alla CGI passando per il 3D.
Tra citazioni cinefile (il percorso di Milo da schiavo a semi-rivoluzionario ricorda un poco quello di Spartacus di Stanley Kubrick) e una ricostruzione storica abbastanza curata, Pompei si può ritenere un veloce prodotto di consumo che nella sua durata di un’ora e mezza offre grande spettacolo, a livello visivo e a livello emotivo, senza grandi pretese autoriali.
Paul W. S. Anderson da ormai venti anni è un regista specializzatosi in pellicole di grande effetto, badando più alla quantità di contenuti che alla qualità dei suddetti. Non è un autore grezzo, però la sua cifra stilistica è molto coriacea e tende a prendersi troppo seriamente, evitando così di inserire qualche venatura di humor, come attuano, invece, altri registi dello stesso genere.
Per quanto riguarda il cast, gli attori sono carismatici e fascinosi, benché poco espressivi. Sono equamente divisi tra la nuovissima generazione (i protagonisti Kit Harington ed Emily Browning) e qualche vecchio volto noto (Kiefer Sutherland e Carrie-Anne Moss).
Dopotutto quello che realmente conta in Pompei è la parte tecnologica-visiva, che utilizzando la CG e la CGI in abbondanti dosi, può mostrare sontuosamente le fascinose e immaginifiche Terme del Foro, oltre a permettere di poter ricreare l’abnorme e spaventosa eruzione del Vesuvio.
Girato anche in versione 3D, per rendere ancora più avvincente e spettacolare la tragica vicenda, nel complesso Pompei si avvicina ai codici visivi di un videogioco, seppur corredato di qualche genuina ricostruzione artigianale.
Sicuramente la solita “americanata”, un blockbuster pirotecnico ben realizzato esteriormente, ma vuoto al suo interno. Però va anche messo in evidenza che è, almeno fino a questo momento, il miglior film di Anderson.
Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers