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I migliori film della Blaxploitation nel documentario Netflix ‘Is That Black Enough For You!?!’
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2 anni agoon
Elvis Mitchell, critico cinematografico, conduttore radiofonico e docente ad Harvard, è uno dei maggiori esperti di cinema “Black” al mondo e con Netflix ha dato vita al più completo e avvincente documentario che sia mai stato realizzato sul periodo della Blaxploitation, dal titolo inequivocabile: Is That Black Enough For You!?!
L’epoca della rivoluzione
Per molti anni la popolazione afroamericana ha avuto un ruolo marginale e spesso macchiettistico nel cinema, specchio della società retrograda e razzista di cui anche Hollywood faceva parte.
Perfino grandissimi autori come Welles o Hitchcock sono caduti in rappresentazioni imbarazzanti dei neri nei loro film che non facevano altro che avvalorare gli stereotipi e l’ignoranza della popolazione, che trovava ingenuamente normale vedere un bianco in abito elegante ma non un nero in smoking come uno schiavo al servizio di un padrone.
La tendenza è cambiata negli anni ’70. La rivoluzione guidata da Martin L. King ha permesso agli Afroamericani di alzare la voce, e così anche nel cinema. “Volevamo solo essere rappresentati” dice Samuel L. Jackson in un passaggio del documentario.
Nasce così il movimento della Blaxploitation, termine non particolarmente apprezzato da tanti dei suoi protagonisti, come Melvin Van Peebles, che ne sottolinea l’accezione di “sfruttamento” e mercificazione dei Neri da parte di Hollywood in un momento di crisi finanziaria, fiutando nella popolazione afroamericana una nuova fetta di pubblico da abbindolare.
I film da vedere
L’impatto di questi film nella cultura di massa è innegabile, e il fatto che spesso vengano dimenticati e omessi dalla storia è imperdonabile. Proviamo quindi a elencarne alcuni tra i miglior, in ordine cronologico.
Strategia di Una Rapina (Robert Wise, 1959)
Considerato storicamente ‘L’ultimo Noir’, Odds Against Tomorrow ha il merito di trattare, in epoche non sospette, i problemi razziali apertamente. Complice la convincente interpretazione di Harry Belafonte, grandissimo talento della recitazione che divenne simbolo del movimento quando decise di non comparire più sul grande schermo fino al 1970. Non contento dell’immagine che veniva data ai neri nei film hollywoodiani, rifiutò il ruolo da protagonista ne I Gigli del Campo che valse al suo sostituto, Sidney Poitier, il primo storico Oscar come miglior attore a un afroamericano.
La Pelle Brucia (Leo Penn, 1966)
Pellicola dal cast stellare, con Sammy Davis Jr nei panni di un jazzista autodistruttivo, oltre al mitico Ossie Davis, icona del cinema nero, Cicely Tyson e perfino Louis Armstrong. Da segnalare anche la presenza di un giovanissimo Morgan Freeman. A Man Called Adam è l’ennesimo esempio di grande film spesso dimenticato per via del contesto storico in cui è stato rilasciato, così come Nothing But A Man (Michael Roemer, 1964) che portò sullo schermo l’incredibile coppia Ivan Dixon & Abbey Lincoln, mix di talenti a cui non è mai stato dato risalto.
Indovina chi viene a cena? (Stanley Kramer, 1967)
Lo stesso Poitier vedrà quindi la sua carriera decollare già dalla fine degli anni ’60 con film memorabili come Guess who’s coming to dinner, dove recita al fianco di mostri sacri del calibro di Katharine Hepburn e Spencer Tracy, eclissandoli con il suo proverbiale magnetismo. È il periodo nel quale i personaggi afroamericani assumono notorietà e valore, diventano eroi e sex symbol protagonisti di film da box office, come successo a Duane Jones, interprete principale de La Notte Dei Morti Viventi (George A. Romero, 1968), capostipite dello Zombie-movie.

Symbiopsychotaxiplasm: Take One (William Greaves, 1968)
La storia di Greaves è simile a quella di Harry Belafonte, costretto ad abbandonare la recitazione perché scontento dei ruoli marginali e a sfondo razziale che gli venivano proposti. Si cimentò nel cinema indipendente con la regia di Symbiopsychotaxiplasm, un film ambiguo e avanguardista, in cui incanalò tutto il suo estro e i suoi ideali. Per anni si cercò di capire cosa volesse dire con quest’opera meta-cinematografica; oggi è considerato un ritratto lucido e illuminato della società e dell’industria filmica dell’epoca, imperdibile per chi ama il genere.
Putney Swope (Robert Downey Sr, 1969)
Meravigliosa satira irriverente e innovativa sul mondo, sempre interessante, della pubblicità. Frutto del genio di Downey Sr che riesce a raccontare, tramite il sottotesto satirico, la dura realtà della popolazione afroamericana, in modo chiaro e inequivocabile. Perché questo è anche il decennio della consapevolezza, da parte dei bianchi, delle difficoltà vissute dai loro concittadini neri, così come raccontato nella commedia Watermelon Man (Mario Van Peebles, 1970): un uomo bianco e benestante si risveglia la mattina improvvisamente nero. La satira, ancora una volta, si dimostra il miglior mezzo di riflessione.
Cotton Comes To Harlem (Ossie Davis, 1970)
Forse il film più rappresentativo del movimento. Davis vendica le ingiustizie subite dai neri per mano della polizia in una favola giocosa, colorata, elegante e soprattutto Afrocentrica; un film ricco di fantasia che racconta la dura realtà di Harlem. Mantra dell’opera, nonché colonna sonora, è la frase che dà il titolo al documentario di Mitchell. “Is That Black Enough For You?”, sono le parole ripetute ossessivamente in vari momenti del film, che assumono significati sempre diversi. La pellicola ha fatto scuola anche dal punto di vista estetico, denotando uno stile ben preciso che lo stesso Davis riproporrà più avanti e che ispirerà anche autori più recenti, come prova lo splendido New Jack City (Mario Van Peebles, 1991).

Lady Sings The Blues (Sidney J. Furie, 1972)
Nell’anno più importante del movimento, il film più rilevante è stato La Signora del Blues, biopic sulla vita di Billie Holiday. É l’opera che consacrò Diana Ross come una delle attrici più importanti del decennio, e lanciò al suo fianco l’affascinante Billy Dee Williams, poi reso celebre dal ruolo di Lando Calrissian nel franchise di Star Wars. Gli attori e le attrici afroamericane divennero sempre più delle star al pari dei bianchi. Come Pam Grier, sexy, forte e vendicativa, esempio perfetto di quei personaggi costretti spesso a farsi giustizia da soli. Il ritratto dell’emancipazione femminile nei film d’azione.
Coffy (Jack Hill, 1973)
Pam Grier ha rivoluzionato il cinema con ruoli potenti in film di successo. Esquire la descrisse come “una delle tre attrici capaci di assicurare incassi ai film in cui recita”. Le altre due erano Barbra Streisand e Liza Minelli. Coffy è certamente il film più rappresentativo. A questo sono seguiti altri successi sulla stessa falsariga come Foxy Brown (Jack Hill, 1974), che ha ispirato, in maniera poco velata, il ben più famoso Jackie Brown (Quentin Tarantino, 1997), sempre con la Grier protagonista, in un revival di quei mitici anni ’70. Da non dimenticare anche altre eroine come Tamara Dobson (Cleopatra Jones) e Diana Sands (Honeybaby Honeybaby, Willie Dynamite).
The Spook Who Sat by The Door (Ivan Dixon, 1973)
Un film che ai tempi suscitò non poche polemiche per la sua disarmante franchezza. Ivan Dixon portava su di sé l’etichetta di grandissimo attore ignorato dalle major e di conseguenza dal pubblico generalista. Voleva fare un film su un’insurrezione, ma divenne esso stesso un’insurrezione. La CIA monitorava la produzione e la United Artists fece di tutto per mettere le mani avanti e tirarsene fuori. Trattava di problemi reali di cui nessuno voleva parlare alla luce del sole. Divenne celebre una frase pronunciata nel film dalla voce narrante: “Un nero con uno straccio, un vassoio o una scopa può entrare d’ovunque in questo paese, ma un nero sorridente, è invisibile”. Aprì la strada a opere sempre più impegnate su argomenti scomodi, come Mandingo (Richard Fleischer, 1975), primo storico film di una major sulla schiavitù.
Cooley High (Michael Shultz, 1975)
Coming of Age alla American Graffiti. Il film segue le storie parallele di alcuni ragazzi afroamericani nella Chicago del 1964. La musica Motown la fa da padrona in un film ritmato e divertente; degna di nota l’interpretazione di Glynn Turman. La Musica nel cinema nero degli anni ’70 è fondamentale. Dal Soul al Jazz, dal Blues al Motown, è parte integrante delle storie e ha contribuito alla creazione dell’immaginario. Il primo a capirlo fu Melvin Van Peebles. La colonna sonora di Sweetback’s Baadasssss Song (1971) anticipò il successo del film prima ancora che uscisse; lo stesso Shaft (Gordon Paris, 1971) e il successivo Super Fly hanno colonne sonore curate e bellissime, che ispirarono tutto il cinema “musicale” degli anni seguenti.
Killer Of Sheep (Charles Burnett, 1978)
Opera sperimentale, nata inizialmente come progetto di tesi alla scuola di cinema, Killer Of Sheep è un film grandissimo e unico, che ha ispirato decenni di cineasti e continua a farlo ancora oggi. É anche un’opera però, così come tante di quelle citate, passata inosservata e riscoperta solo di recente. Il film nacque da una riflessione di Burnett che non si sentiva rappresentato da ciò che gli veniva mostrato a lezione; decise quindi di mettere in scena il suo quartiere, la sua vita.
Un’eredità inestimabile
Nominare tutti i film che meriterebbero una citazione è impossibile, ma scoprire e conoscere il cinema indipendente afroamericano è doveroso per ogni amante della settima arte. Un’epoca di eccezionale inventiva e di meravigliosa qualità. In poco più di dieci anni si è passati da una totale esclusione dei neri dall’industria cinematografica a una partecipazione costante e rilevante e questo lo si deve soprattutto alle talentuose personalità che hanno portato avanti la Blaxploitation e ai loro splendidi film.
“Essere neri in America significa ricordare sempre che quello che sei non è quello che gli altri vedono in te”, così Elvis Mitchell chiude il documentario, che vede la partecipazione di tante personalità del cinema afroamericano come Woopie Goldberg, Lawrence Fishburne, Samuel L. Jackson e Zendaya.
Is That Black Enough For You!?! è disponibile su Netflix dall’11 novembre 2022.