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In Sala

J. Edgar

Quando si sceglie di puntare i riflettori su John Edgar Hoover, una delle più controverse figure della storia della politica americana del ventesimo secolo, ci si espone a molteplici rischi. Ma se a farlo è un regista come Clint Eastwood possiamo stare tranquilli

Pubblicato

il

 

Anno: 2012

Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

Durata: 137′

Genere: Biografico/Drammatico

Nazionalità: USA

Regia: Clint Eastwood

Quando si sceglie di puntare i riflettori su John Edgar Hoover, una delle più controverse figure della storia della politica americana del ventesimo secolo, ci si espone a molteplici rischi. Ma se a farlo è un regista come Clint Eastwood, un autore pieno di talento e di spirito critico, capace di non scendere a compromessi e di rimanere lontano quanto basta per non giudicare né l’uomo né il mito, possiamo stare tranquilli. J. Edgar, infatti, è una pellicola che, sotto le vesti del biopic, cerca di raccontare la complessa figura dell’uomo che fondò l’F.B.I., svelandone le sue sfaccettature senza giustificarle.

John Edgar Hoover era un uomo timido e impacciato che viveva una vita austera e rigorosa governato dalla figura ingombrante di una madre sempre troppo presente. Abituato a controllare ogni aspetto della sua esistenza, Hoover propose di adottare un metodo molto simile per schedare tutti quei delinquenti che, senza prove troppo evidenti, erano abituati a farla franca. E così, senza accorgersene, il giovane (e balbuziente) Edgar divenne presto il capo dell’F.B.I., la più importante istituzione investigativa di tutta l’America, rimanendo in carica per quasi mezzo secolo, e sopravvivendo a ben otto Presidenti (da Coleridge a Nixon). Durante questi lunghi anni, Edgar costruì diligentemente la sua figura pubblica di uomo serio e autorevole partecipando (soltanto) a tutti quegli eventi sociali che avrebbero accresciuto il proprio potere. Ebbe molte più difficoltà, invece, a costruire la sua immagine privata perché, non essendosi mai sposato né fidanzato, venne accusato di essere l’amante di Clyde Tolson, il suo socio e amico fidato. Nessuno seppe mai la verità, però, perché Edgar sapeva benissimo che sua madre avrebbe preferito un figlio morto piuttosto che omosessuale. Ecco dunque il motivo di tanto rigore, di tanta disciplina, di tanto distacco dalla vita, osservata dai vetri di una finestra, sorvegliata attraverso microspie, abbandonata  a causa di principi e doveri troppo rigidi.

Ed è proprio su questo confine che Eastwood posiziona la sua macchina da presa: né troppo vicina né troppo lontana da quello che John Edgar Hoover fu davvero. Fu un uomo forte, fu un capo severo, fu un compagno distante ma, certamente, non fu mai un eroe. I fascicoli di prove sulle personalità più in vista dell’epoca, che racchiudeva in schedari nascosti nel suo ufficio, vennero spesso usati per scopi personali, perché, si sa, il potere corrompe persino le menti degli uomini più puri (negli intenti). Il regista decide di non raccontare la storia di Hoover in ordine cronologico, preferendo procedere per flashbacks ricorrenti, mixando, così, presente e passato, gioventù e vecchiaia, voglia di vivere e paura di morire. Ma i ricordi, si sa, col tempo si opacizzano, si affievoliscono, e infine svaniscono. Ed è per questo che un invecchiato e arrabbiato Leonardo Di Caprio, raccontando la sua biografia, tende a scambiare (?) verità e bugie, realtà e illusioni, natura e sentimenti.

Eastwood è davvero eccezionale nel suo intento di rappresentare un uomo difficile, complessato, solo ma, contemporaneamente, un uomo talmente intelligente e orgoglioso di esserlo, da essere sempre una spanna sopra chiunque altro. Ecco spiegato, dunque, il motivo delle costanti inquadrature dal basso verso l’alto e che non possono non riportare alla mente quel William Randolph Hearst, protagonista di quel capolavoro wellessiano che fu Quarto Potere. Senza criticare né giudicare, dunque, Clint Eastwood ci invita ad ascoltare la storia di un uomo che, prossimo alla morte, svela la sua anima. O almeno ci prova.

Martina Calcabrini

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