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‘L’uomo con la macchina da presa’: la conquista e l’esaltazione del movimento naturale

Il cinema degli albori del russo Dziga Vertov diventa oggi, piuttosto che un veicolo di indottrinamento alle teorie comuniste nei primi anni Venti del '900.

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Dal 25 agosto il portale per cinefili MUBI rende disponibile L’uomo con la macchina da presa, un gioiello dei tempi del muto che sbalordisce ancora oggi l’occhio smaliziato dello spettatore, per la destrezza nel riprendere e nell’ organizzare riprese elaborate in movimento, degne dei blockbuster dei giorni nostri.
Si tratta di un ardito documentario risalente al 1929, girato da uno dei padri e teorici più affermati del cinema russo, ovvero il sovietico Dziga Vertov.

Il cinema degli albori e l’emozione del movimento

Dalle prime luci dell’alba, ininterrottamente sino al diffondersi delle ombre che preannunciano il tramonto, un infaticabile cineoperatore si impegna a riprendere con zelo e tecnica ardita le scene che gli si presentano dinanzi lungo le vie un po’ caotiche e sempre più affollate di una Mosca brulicante, attraversata da tram e treni in corsa.
Le prime immagini si aprono su una sala cinematografica ancora deserta. Man mano si riempie di spettatori;  al termine il film torna nella medesima sala, ove la macchina da presa pare abbia imparato a muoversi autonomamente senza l’operatore che si occupa di dirigerla e posizionarla.

L’uomo con la macchina da presa – la recensione

“Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento!”
Nel film virtuoso e tecnicamente eccezionale del padre del cinema russo, Dziga Vertov, si rende omaggio all’estasi del movimento, attraverso l’esaltazione della frenesia e del processo congiunto, tra meccanica e fisica, in cui sia il corpo fisico, sia quello meccanico, si coordinano a seguito di sforzi e coordinazione nel progettare e costruire alcuni meccanismi.
La macchina da presa serve a esaltare i risultati di coordinazione prodotti da questo sforzo, sia fisico che mentale, e la perfezione della tecnica di ripresa induce la macchia stessa a diventare un essere pensante, raziocinante, in grado di gestirsi e muoversi secondo un proprio arbitrio, fino a provare pure lei la tentazione vanitosa di farsi riprendere.
Il regista e teorico di cinema russo nato a fine ‘800 e vissuto al tempo dei primi bagliori cinematografici, celebra, con questo suo esagitato documentario, la summa della cosiddetta teoria del “cineocchio” (dal film di Vertov stesso del 1924), i cui sostenitori promulgavano la convinzione della superiorità del cinema documentaristico su quello di finzione, giudicato inadatto ai fini della formazione di una società di stampo orgogliosamente comunista.
Il cinema di quei primi anni Venti, era considerato dai fautori del culto de Il Cineocchio, come tecnica futuristica da utilizzare  al servizio della società, del popolo, mentre la finzione rischiava di ridursi a strumento con cui la casta borghese tentava di incantare e sottomettere quella operaia.
Pertanto a Vertov e al suo cinema interessa solo la verità, quella che si coglie direttamente ponendo la cinepresa a contatto con il mondo che vive, senza edulcorarne o falsarne il corso e gli sviluppi.
Sia come si vuole, la tecnica di ripresa del talentuoso Vertov si snoda tra riprese acrobatiche e scene movimentate, ove a nulla servono tendenziosi interventi di fantasia o narrativamente costruiti ad arte per rendere più fluido e affrontabile il racconto che emerge dalla semplice osservazione dei fatti reali.

L'uomo con la macchina da presa

  • Anno: 1929
  • Durata: 68
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Unione Sovietica
  • Regia: Dziga Vertov