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‘Fabbrica di sogni, deposito di incubi’, Stefano Santoli racconta il cinema USA 2010-2019

Il critico Stefano Santoli racconta il cinema americano del decennio appena trascorso tra le innovazioni del digitale, l'urgenza di nuovi temi e percorsi d'autori. All'orizzonte, una riflessione sull'American Dream e sui miti di un'intera nazione

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Fabbrica di sogni, deposito di incubi. È così che l’ultimo libro di Stefano Santoli, per Mimesis Edizioni, prospetta Hollywood. Forse non è più l’ombelico del mondo cinematografico, ma resta un formidabile serbatoio di storie. Sono narrazioni di un passato recente: Dieci anni di cinema USA. 2010-2019, recita la copertina. Un decennio è tanto, ma la strategia è definita: individuare i confini, prima di accompagnare il lettore in un percorso ricco di soste alle più disparate stazioni cinematografiche di film e autori.

L’impero americano colpisce ancora?

L’inizio: elaborato il trauma dell’11 settembre e attutite le paranoie dell’amministrazione Bush, il decennio comincia all’insegna del mandato di Obama, tra gli strascichi della crisi economica. La fine: è un sudcoreano, e non un americano, a vincere l’Oscar per il miglior film, ossia Bong Joon-ho con Parasite. E se la pandemia, ai confini estremi di questa cronologia, sembra un incubo, tutto quello che è in mezzo è un domandone riguardo il sogno: esiste ancora l’American Dream?

Il cinema non può che riecheggiare la paura della fine dell’impero americano, che appare tuttavia inscindibile dalla fiducia/speranza che gli USA e i loro valori siano destinati a non tramontare.

Sarebbe troppo pretendere l’ardua sentenza dal cinema a stelle e strisce. Intanto, però, è una splendida costellazione di film – ne contiamo circa 450 nella filmografia finale – a fare da stella polare per un viaggio appassionato nella società e nella settima arte statunitensi.

Un pianosequenza tra passato e presente

Avanzando per illuminanti sezioni tematiche lungo un decennio non ancora storicizzato, in Fabbrica di Sogni. Deposito di incubi Santoli segue tre direttrici fondamentali.

Il primo capitolo Tra finzione e immersività – forse il più godurioso per gli amanti della tecnica cinematografica – si focalizza sulla ricerca dell’immersione sensoriale per lo spettatore e sull’impiego delle tecnologie digitali, con gustosi approfondimenti sia sul versante della narrazione (tempo diegetico e tempo filmico), sia su quello dello stile visivo (il vario impiego del pianosequenza).

Il secondo capitolo Sguardi al passato si affida al western contemporaneo per raccontare l’orizzonte mitico della società americana, ora riproiettato sul Novecento, ora sradicato e tradito.

Nel terzo capitolo Sguardi al presente, mentre nel discorso fanno capolino altri generi (tra cui horror e sci-fi), emerge la lucidità dell’autore nel saper esplorare, attraverso lo specchio cinematografico, i temi cruciali dei tempi, dal black lives matter al me too.

Il cinema statunitense di questi anni restituisce tutta la poliedricità e la complessità del presente.

In questa sorta di long take tra passato e presente, ecco film, film e ancora film. Santoli ne accenna, li analizza, li approfondisce – secondo necessità. Alla fine: che voglia di tornare al cinema.

La politica dell’autore

Come pure: registi, registi e ancora registi. Il quarto capitolo di Fabbrica di sogni, deposito di incubi, dal titolo Percorsi d’autore, traccia il cammino recente di sette grandi cineasti (Scorsese, Malick, Lynch, Allen, Eastwood, Tarantino, Anderson). “Salta all’occhio: mancano i giovani” (p. 184), osserva Santoli, provando subito dopo a interpretare le ragioni di tale assenza. Nella salda struttura del libro, è questo capitolo complementare, o culminante, a dare al lettore un lampante indizio di metodo.

Martin Scorsese e Leonardo di Caprio sul set di The Wolf of Wall Street

Martin Scorsese è il primo dei sette autori a cui Santoli dedica un approfondimento. In foto: il regista con Leonardo Di Caprio sul set di The Wolf of Wall Street

Di fatto, la cosiddetta politica degli autori, propagata in clima di Nouvelle Vague, per cui la messa in scena orchestrata dall’autore costituirebbe l’essenza del cinema, non è oggi particolarmente in voga negli approcci della critica. Per complessità industriale, organizzativa, creativa, si preferisce sempre più spesso analizzare il cinema senza la velleità di sondare le personalità artistiche. In parziale controtendenza, Santoli è piuttosto “cacciatore di autorialità”. Con equilibrata indagine, discerne i casi in cui la cifra stilistica del cineasta sia emergente da quelli in cui resti anonima. Così, per esempio, registi come Steven Craig Zahler e Jeremy Saulnier appaiono meritevoli “per la riconoscibile cifra stilistica” (p. 115). Di Scott Cooper, invece, argomenta che nonostante “una costante ambizione autoriale… non ha mai convinto pienamente” (p. 121).

Giusto così, d’altro canto. Con Fabbrica di sogni, deposito di incubi. Dieci anni di cinema Usa. 2010 – 2019, nella nomadland del cinema americano, Stefano Santoli distingue a buon diritto gli incontri occasionali da quelli più intriganti, viaggiando a volo d’uccello sul quadro d’insieme oppure sostando con acutezza su film, autori, dettagli. Alcuni luoghi cinematografici, anche su carta, sono imperdibili inviti alla scoperta.

 

EDITORE Mimesis
AUTORE Stefano Santoli
PREFAZIONE Leonardo Gandini
PAGINE 248
PREZZO 20 euro
COLLANA Cinema
USCITA 24 giugno 2021
ISBN 9788857578859