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In Sala

Cappuccetto rosso sangue

“Nel virgineo candore dei boschi innevati torna a fuggire dal lupo la famosa mantellina rossa, simbolo mestruale della pubertà femminile. Ma l’impressione è che corra per inerzia”.

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Nel virgineo candore dei boschi innevati torna a fuggire dal lupo la famosa mantellina rossa, simbolo mestruale della pubertà femminile. Ma l’impressione è che corra per inerzia. Di fatto, la pellicola di Catherine Hardwicke ha tutti gli elementi della fiaba medievale trascritta alla fine del ‘600 da Charles Perrault (con le splendide illustrazioni di Gustave Dorè) e più tardi ripresa dai fratelli Grimm: il cestino, il lupo parlante, la nonna solitaria in mezzo al bosco, occhi orecchie e denti troppo grandi, la pancia riempita di sassi e ricucita, perfino il piatto di carne umana presente nella versione più cannibalica della favola. Materia analizzata nel corso degli anni dai migliori studiosi della psiche (Sigmund Freud, Erich Fromm, Eric Berne, Aldo Carotenuto) e perfettamente in grado di evocare emozioni autentiche, se solo l’Appian Way di Leonardo Di Caprio non ne avesse fatto un’operazione commerciale da gettare in pasto ai teenagers, curando molto gli aspetti estetici ma non altrettanto la sostanza e bandendo sia il sesso che il sangue (a dispetto del titolo italiano).

Il gusto visivo della Hardwicke, che prima di arrivare alla regia aveva firmato la scenografia di una ventina di film e che nel 2006 ha ambientato nella suggestiva Matera il suo Nativity, è supportato dalle  ottime ricostruzioni ambientali di Tom Sanders (Dracula di Bram Stoker, 1992) e illuminato dalla fotografia  di Mandy Walker (Australia, 2008). I costumi indossati da Cappuccetto rosso (Amanda Seyfried) e dalle altre donne della sua famiglia, stile principessa delle fiabe, sono stati disegnati da quella Cindy Evans che già aveva collaborato con la Hardwicke in Thirteen-Tredici anni (2003).

Purtroppo, come dicevamo, la cura degli aspetti formali non compensa le carenze del contenuto: lo sceneggiatore David Leslie Johnson (Orphan, 2009) ha confezionato un noir dove fino alla fine ciascun abitante del piccolo villaggio potrebbe essere il lupo, quasi ad emulare Il mistero di Sleepy Hollow (1999), ma manca la costruzione dei personaggi, soprattutto dei protagonisti, la galleria di volti grotteschi e quella buona dose d’ironia che facevano la forza del film di Tim Burton. Tuttavia, Johnson si è sbizzarrito nell’inventare alcuni personaggi maschili che nella fiaba originaria non esistono: Padre Solomon (Gary Oldman), il fabbro (Max Irons) e persino il papà di Cappuccetto rosso.

Lucilla Colonna

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