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Rubriche

Le uscite di marzo 2011

MILANO CRITICA: inauguriamo la prima rubrica milanese di TAXIDRIVERS, nella quale si parlerà dei film più (e meno) meritevoli usciti nell’arco di un mese, quelli che proprio non potete perdere per nulla al mondo e anche quelli da cui, invece, fareste meglio a tenervi alla larga. Rubrica a cura di Francesco Manca

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Inauguriamo quest’oggi la prima rubrica milanese di TaxiDrivers, nella quale si parlerà dei film più (e meno) meritevoli usciti nell’arco di un mese, quelli che proprio non potete perdere per nulla al mondo e anche quelli da cui, invece, fareste meglio a tenervi a distanza. Il tutto attraverso l’umile giudizio del sottoscritto, che visionerà per voi il maggior numero possibile di titoli e riporterà, di tanto in tanto, brevi frammenti di ciò che succede nelle anteprime stampa meneghine.

I primi tepori di stagione, si sa, assumono sempre un significato particolare per il cinema, che si lascia alle spalle il “periodo Oscar” per abbracciare un clima più tranquillo, sereno, ma sempre pronto per nuove sorprese, belle o brutte che siano. Andiamo quindi a tracciare un quadro dei titoli più significativi usciti nel mese di Marzo.

Il primo weekend di programmazione è subito caratterizzato da uscite promettenti, sia italiane che internazionali, a cominciare dall’attesissimo The Fighter, discusso film di David O. Russell, straordinariamente interpretato dai giganteschi Mark Wahlberg e Christian Bale, quest’ultimo vincitore dell’Academy Award come miglior attore non protagonista. Si tratta di un duro racconto sulla boxe, ma più che la boxe in sé, ci viene raccontata la storia di due fratelli, uno aspirante pugile, che si mantiene lavorando per la pulizia stradale, l’altro ex pugile tossicodipendente, che cerca di riscattarsi allenando il fratello.

Pur affrontando i medesimi argomenti, The Fighter è un prodotto alquanto dissimile dai molti film sulla boxe realizzati negli anni che furono. Difatti, lo si potrebbe paragonare di più al recente The Wrestler di Aronofsky che non al mitico Toro scatenato di Scorsese. Nel complesso, si tratta di un’opera più che valida, da prendere di petto o, meglio ancora, come un pugno nello stomaco, in grado di provocare effetti desiderati e meno.

Appartiene a tutt’altro genere, invece, il curioso Piranha 3D, remake – o presunto tale – dell’omonimo film di Joe Dante del 1978. Dietro la macchina da presa vi è un ormai ex enfant prodige del cinema horror quale Alexandre Aja, autore del bellissimo Alta tensione (2003) e, purtroppo, anche degli scadenti Le colline hanno gli occhi (2006) e Riflessi di paura (2008), entrambi dei remake. Etichettarlo semplicemente come horror sarebbe riduttivo, potremmo piuttosto definirlo un torture-porn con elementi di commedia demenziale, in cui lo splatter, il gore e il trash la fanno da padroni.

Tuttavia, se anche non siete degli accaniti fan del genere, avrete comunque modo di ammirare una quantità infinita di seni, fondoschiena e organi genitali femminili da mandarvi letteralmente in visibilio. La scena cult: Kelly Brook e Riley Steele che si strusciano sott’acqua sul sottofondo del mistico Flower Duet del Lakmè di Léo Delibes. Prendetelo come un puro divertissement, altrimenti ne uscirete più delusi che mai.

Ampio spazio anche per il cinema italiano, quello vero e che merita di essere visto: parliamo de Il gioiellino di Andrea Molaioli e La vita facile di Lucio Pellegrini.

Il primo, sicuramente più interessante del secondo (anche se meno considerato), è una trasposizione cinematografica dello scandalo Parmalat che vide coinvolto l’imprenditore Callisto Tanzi all’inizio del nuovo millennio. I personaggi si chiamano con nomi fittizi, ma le loro sagome non mentono. Sorretta dalle magistrali interpretazioni di Toni Servillo e Remo Girone, la pellicola richiama palesemente lo stile registico del nostro Paolo Sorrentino, sia per quanto riguarda la ricchezza formale che per i temi presi in esame e il modo in cui vengono trattati. Snobbato da molti, Il gioiellino è forse uno dei migliori prodotti italiani degli ultimi anni, necessario per farci capire che, in questo paese, non esistono solo le commedie e i drammi familiari, ma anche qualcosa di più profondo e che merita una degna attenzione.

Tutt’altro discorso per La vita facile, una commedia interessante, ma fondamentalmente innocua che si regge sulle buone performance di Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino, ma che non trova mai, al contrario del film di Molaioli, il coraggio di osare.

Assai meno intenso è stato il weekend successivo, quasi del tutto orfano di opere memorabili in cui, a spiccare (si fa per dire), sono stati solamente Il rito, modesto horror con un fiacco Anthony Hopkins, il gradevole film d’animazione Rango, diretto da Gore Verbinski e doppiato dal bravo Johnny Depp, e la commedia drammatica I ragazzi stanno bene, con Annette Bening, Julianne Moore e Mark Ruffalo.

Arrivano in sala, la settimana dopo, l’attesissimo Dylan Dog e ancora due prodotti nostrani: Amici miei: come tutto ebbe inizio e Nessuno mi può giudicare.

Esito tutt’altro che soddisfacente per l’adattamento dello storico fumetto di Tiziano Sclavi, che arranca visibilmente perdendosi in un plot scontato in cui le emozioni sono ridotte al minimo sindacale, complice anche un protagonista del tutto anonimo ed inespressivo quale Brandon Routh, ex Superman del remake di Bryan Singer del 2006.

Possiamo essere comprensivi e compassionevoli finché vogliamo, ma spendere anche solo poche parole per commentare il revival Parentiano del capolavoro di Mario Monicelli sarebbe inutile e controproducente. Ci limitiamo quindi a stendere un velo pietoso.

Piacevole sorpresa, invece, quella dell’esordio alla regia del brillante Massimiliano Bruno, che porta sullo schermo un argomento di forte attualità come la prostituzione, affrontandolo con il sorriso sulle labbra e facendo dell’intelligente satira sociale.

Quarto ed ultimo weekend con il botto – è proprio il caso di dirlo – in cui siamo stati letteralmente invasi da pellicole di ogni genere, che vanno dal thriller alla commedia, dall’azione al dramma, fino ad arrivare al documentario.

Tralasciando il tiepido Amici, amanti e…, con Natalie Portman e Ashton Kutcher, andiamo subito a constatare una quasi onnipresenza del cinema italiano in questi periodi, che tenta la provocazione con Silvio Forever, documentario firmato da Roberto Faenza e Filippo Macelloni che racconta, come si può facilmente evincere dal titolo, la carriera politica e imprenditoriale del nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Un’operazione che avrebbe potuto benissimo lasciare il segno ma che, purtroppo, finisce per essere soltanto un prodotto consueto, senza particolari guizzi e che, al contrario delle aspettative, non rimane quasi per nulla impresso nella memoria. Intento che riesce invece a Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata di Carlo Vanzina, che torna, a 26 anni di distanza dal suo film cult, a raccontare una crime story ambientata nel mondo della moda milanese. Il film di Vanzina rimane sì impresso nella memoria, ma non certo per la sua bellezza, anzi. Un melodramma foto-romanzesco mascherato da thriller depalmiano, che si finge colto e raffinato, ma che risulta complessivamente imbarazzante. Livello di recitazione sotto la media, tensione inesistente. Forse poteva essere un buon film comico. Una vera ‘truzzata’, insomma.

Piacevole sorpresa, invece, quella rappresentata da Frozen, emblematico esempio di survival-movie allo stato puro che segue il filone iniziato diversi anni fa da Open Water, e proseguito fino al recentissimo Buried – Sepolto. Al centro della vicenda, tre ragazzi che, durante un’escursione sciistica sulle montagne del New England, rimangono bloccati sulla seggiovia a decine di metri di altezza. Intorno a loro, la natura, in tutta la sua onnipotenza e malvagità. Diretto dal giovane Adam Green, già responsabile dell’apprezzato dittico Hatchet, il film si lascia vedere con discreto interesse e gestisce al meglio le ottime atmosfere, dando vita a un buon livello di pathos. Peccato che, almeno fino ad ora, gli incassi non gli rendano per niente giustizia.

Dulcis in fundo, Sucker Punch, nuovo ‘giocattoloso’ progetto di Zack Snyder di cui si è molto parlato, e che riconferma quanto di buono (e di cattivo) già mostrato nelle sue precedenti fatiche.

Qui di seguito, trovate, in sintesi, il meglio e il peggio di questo mese, una breve postilla che vi accompagnerà nella scelta dei film per tutta la durata di Milano critica.

THE BEST:  “Il gioiellino” di Andrea Molaioli: per una volta, spezziamo una lancia a favore del cinema italiano segnalando, come titolo più significativo di questo mese, il film sul caso Parmalat con una grande prova di regia e di recitazione. Andatelo a vedere!

THE WORST: Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata” di Carlo Vanzina: cinematograficamente parlando, il nostro Bel Paese ha i suoi pregi e i suoi difetti, ma soprattutto le sue contraddizioni. Se Il gioiellino di Molaioli può essere considerato il miglior film del mese, allora il reboot dei Vanzina bros. deve “obbligatoriamente” essere il peggiore, non per creare inutili polemiche, ma semplicemente perché si tratta, senza se e senza ma, di un brutto film. Evitatelo come la peste!

Francesco Manca

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