Forte come un pugno che arriva dritto allo stomaco, meravigliosamente tragico, in Genesis, secondo lungometraggio dell’ungherese Arpad Bogdan, si sente forte l’influenza di maestri del calibro di Tarkovskij e Bela Tarr (per stessa ammissione del regista). Bogdan con quest’opera si piazza a pieno titolo tra i migliori e più interessanti cineasti di oggi: sua è quella straordinaria e alquanto rara capacità di trasporre visivamente quel che di simbolico e nascosto racchiude una terribile vicenda come quella raccontata nel film. La storia prende spunto da fatti realmente accaduti in Ungheria, ma può tranquillamente definirsi una storia universale, di quelle che accadono quotidianamente in tante parti del mondo.
Una famiglia rom (tutti, escluso il padre che è in carcere) viene attaccata di notte da un branco di fanatici razzisti che, fomentati dall’odio e dall’ignoranza, ne uccide uno ad uno i componenti. A salvarsi miracolosamente, dopo comunque essere stato ferito, è solo il più piccolo, un ragazzino che si ritrova a girovagare per boschi e famiglie, deriso ed emarginato dai compagni di scuola (quanto sanno essere cattivi talvolta i bambini) e senza più sostegno o aiuto di alcun tipo. Un ragazzino, quindi, lasciato quasi completamente solo, in balia del dolore e del vuoto e con un futuro già distrutto. A salvarlo per caso è una giovane avvocatessa che, assunta la difesa di uno degli imputati di questi omicidi a sfondo razziale, conosce e si affeziona al ragazzo e si adopera affinché il padre esca di prigione per ricongiungersi a lui. A completare il quadro una strana e triste ragazza che ama i cani e che si reca spesso in un fetido canile gestito dal suo fidanzato (che si scoprirà poi essere implicato con la banda che ha sterminato la famiglia del ragazzino).
Un’opera degna d’essere definita un capolavoro dei nostri tempi: questo ragazzino diventa, a tutti gli effetti, il simbolo di quell’infanzia violata, abusata e dimenticata tutti i giorni in ogni parte del pianeta. Il suo sguardo triste fa accapponare la pelle, non si può dimenticare.