Approfondimenti
Karpo Godina, grande esponente della Black Wave jugoslava
In occasione della sapida retrospettiva che Bergamo Film Meeting sta dedicando al cineasta sloveno, da noi molto amato, abbiamo ripescato un approfondimento pubblicato anni fa
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7 anni agoon
Il cineasta sloveno Karpo Godina, originale e ispirato esponente della Black Wave yugoslava, sarà ospite in questi giorni del Bergamo Film Meeting. Un’occasione da non perdere, per quanti vorranno scoprire la sua eccentrica, sorprendente filmografia. Da parte nostra sarà invece occasione per riprendere i contatti con un regista già amato in passato. Sì, perché nel 2014 fummo chiamati a introdurre alcuni suoi film al MedFilm Festival. E da quel fortunato incontro venne fuori anche un breve saggio, pubblicato in origine sul numero 15 di Rifrazioni digital, versione in pdf della meravigliosa rivista un tempo anche cartacea, che abbiamo voluto riproporre ora su Taxi Drivers. E per tale cortesia ringraziamo ovviamente l’amico Jonny Costantino assieme a tutta la redazione di Rifrazioni.
Grande emozione, quindi, nello stringere energicamente le mani di questo grande cineasta cresciuto in Slovenia, ma nativo di Skopje, il quale si è peraltro definito l’ultimo regista jugoslavo, ricordando ai presenti la proiezione di Paradiso artificiale avvenuta fuori concorso a Cannes nel 1990; aneddoto, questo, col quale ha cominciato a rivelare il suo spirito gioiosamente ironico e qualche residua traccia di affetto, per una entità statale che pure a livello di censura gli aveva creato non pochi grattacapi, all’epoca. Ed è così che al pubblico dei cinefili romani, il 10 luglio 2014, è toccata la fortuna di confrontarsi direttamente con un artista dal passato tanto importante, nel corso dell’intenso, partecipato Q&A che ha avuto luogo alla Casa del Cinema; un incontro, questo, condotto da chi ve ne sta ora parlando, successivamente alla proiezione di The Raft of Medusa (Splav meduze). Mai scelta degli organizzatori avrebbe potuto essere migliore, essendo tale film, la cui realizzazione avvenne nel 1980 in territorio jugoslavo (tra Serbia e Slovenia, per la precisione), così rappresentativo della poetica dell’autore.
Il 1980 è stato anche l’anno in cui morì Josip Broz, grande statista e figura controversa del socialismo mondiale, noto ai più come Maresciallo Tito. E tra i tanti gustosi episodi ricordati da Karpo Godina, per rievocare l’atmosfera un po’ surreale in cui tale opera venne girata, vi è anche l’arrivo sul set di misteriosi emissari governativi, che sequestrarono per qualche giorno il materiale necessario a portare avanti le riprese: ma almeno stavolta non c’era di mezzo una volontà censoria, bensì la necessità di utilizzare quegli strumenti tecnici per filmare lo storico evento, ovvero i funerali di Tito.
L’importanza dell’accadimento è evidente a chiunque abbia visto le immagini documentarie, col genuino cordoglio di masse oceaniche assiepate lungo il tragitto del feretro, oppure l’omaggio straniante che ne viene fatto in Underground (1995), il capolavoro di Emir Kusturica. Torniamo però a Karpo Godina. A livello personale ci ha fatto un enorme piacere veder rimanere in sala tante persone, fino al conclusivo botta e risposta con l’autore, per un film come The Raft of Medusa, che è in effetti un gioiellino ma in Italia non può dirsi molto conosciuto. Va ulteriormente elogiato lo staff del festival capitolino, happening di un certo profilo culturale solitamente incentrato sulle cinematografie dell’area mediterranea, per aver offerto la possibilità di conoscere meglio uno dei massimi esponenti della cosiddetta “Black Wave” jugoslava: un insieme di registi, il più noto dei quali è con ogni probabilità Dušan Makavejev, che a partire dagli anni ’60 e per una parte del decennio successivo seppe movimentare il panorama culturale balcanico, con opere che facevano spesso ricorso a forme narrative insolite e a un umorismo nero, acido, nonché a fini allegorie attraverso le quali venivano criticati l’immobilismo, la burocratizzazione e il grigio conformismo della società di appartenenza.
Elegante nella messa in scena, recitato benissimo, sperimentale per quanto in grado di non abbandonare un certo assunto narrativo, The Raft of Medusa rivela la presenza di una forte personalità, sin dalla scelta di ambientare il racconto in un’epoca cruciale come gli anni ’20 del Novecento. Ed è un racconto cinematografico che, inglobando nel suo apparato citazionistico le esperienze artistiche e umane di un Majakovskij, o di un Tristan Tzara, sembra rimodellare l’immaginario passato per riproporne (in chiave anche contemporanea) l’essenza anti-borghese, il rifiuto di qualsiasi autoritarismo. Ne sono protagoniste due giovani insegnanti, una slovena e l’altra serba, che per seguire i propri sogni abbandonano un modesto, noioso villaggio, unendosi così a quella variegata compagnia di artisti, intellettuali e girovaghi che ha deciso di attraversare il paese, per far conoscere un pensiero nuovo ai connazionali. Tutto ciò in un Regno di Jugoslavia resosi da poco indipendente, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il loro (de)tour tende così ad assumere connotazioni surreali, persino un po’ circensi. Eros, libertà, rivoluzione. Queste idee e la loro pratica di vita si riveleranno un po’ troppo avanzate, per l’assetto più tradizionale e in fondo oscurantista dei Balcani negli anni ’20, sicché il film di Karpo Godina, pur non perdendo mai di vista la sua vocazione umoristica, conoscerà anche nell’approssimarsi dell’epilogo qualche impennata violenta, orientata magari verso i contorni della farsa tragica.
C’è da dire, comunque, che l’omaggio tributatogli dal MedFilm Festival va interpretato come un primo passo, per favorire la conoscenza del regista sloveno e delle sue opere, così intrise di sano anti-conformismo. Già il Q&A alla casa del cinema ci ha messo un gran desiderio di recuperare Umetni raj (1990) ovvero il già citato Paradiso artificiale, suo terzo e per ora ultimo lungometraggio, quasi un epitaffio per la Jugoslavia unita.
Per altri versi, invece, è la rete a essere generosa: di una produzione breve così significativa molto è recuperabile attraverso Youtube e simili canali web. Uno degli esempi più magnetici della creatività di Karpo Godina, che vi si consiglia assolutamente di rintracciare, è The Gratinated Brains of Pupilia Ferkeverk, datato 1970. Totalmente immerso nel clima di quegli anni, questo meraviglioso cortometraggio riesce a captare molteplici tensioni artistiche, restituendole in una miscela ipnotica. Ipnotica come le musiche. Queste ultime appartengono a un grande chitarrista e cantante irlandese, Rory Gallagher, la cui ispirazione produceva affascinanti sonorità hard blues per i Taste, che al tempo erano la sua band. Il loro brano On the Boards accompagna a intermittenza lo scorrere delle immagini, dando il sapore della controcultura musicale a scene riprese con la camera fissa di fronte a uno specchio d’acqua. Intervalli temporali tra una ripresa e l’altra, sottolineati spesso dall’interrompersi e dal riprendere della musica. Cartelli con didascalie e opere grafiche che si intromettono estemporaneamente nel flusso visivo. Riferimenti sempre più espliciti agli spazi di libertà aperti dal consumo di LSD. Il volteggiare di una donna seminuda, su un’altalena posta in fondo all’inquadratura. E in mezzo alla scena loro, i poeti del collettivo sloveno Pupilia Ferkeverk, ripresi a busto nudo in acqua e intenti a folleggiare in vari modi, tutti a loro modo emblematici di quella carica dissacrante, contestataria, anarcoide, libertaria, che il buon Karpo Godina ha saputo rendere con una quasi disarmante freschezza di linguaggio cinematografico.