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Venezia 70: “Yuri Esposito” di Alessio Fava, una rivelazione a Venezia 70 (Biennale College)

Elogio dell’accettazione di sé, l’opera prima di Alessio Fava è un’opera straordinaria per composizione narrativa e fotografica, un insolito binomio tra densità espressiva e naturalezza visiva

Pubblicato

il

Anno: 2013

Durata: 73′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Italia

Regia:  Alessio Fava

Yuri Esposito è l’uomo più lento del mondo: si muove lentamente, molto lentamente, parla e respira ad un quinto della velocità. Ma la sua mente è veloce al punto giusto, anzi, è una persona brillante e sensibile, a cui la strana disabilità ha conferito una eccezionale finezza e ricettività alla vita. Quando la sua innamoratissima compagna gli annuncia di aspettare un figlio, una serie di dubbi si affacciano sulla sua normalità melliflua. Quella caratteristica che aveva fino a quel momento considerato parte di sé, diventa un virus da debellare, a costo di sottoporsi a sperimentazioni mediche talvolta eccessive. Tuttavia, non è detto che quell’incremento sia la soluzione ai suoi problemi: il dualismo velocità-normalità, forse è più pericoloso di una vita di pacifica e rallentata riflessione.

Elogio dell’accettazione di sé, l’opera prima di Alessio Fava è il risultato della partecipazione al progetto Biennale College: unico film italiano ad essere selezionato e prodotto con un budget risicatissimo, è un’opera straordinaria per composizione narrativa e fotografica, nella quale si riconosce quella libertà produttiva offerta dal bando e che obiettivamente mancava al cinema italiano. Yuri Esposito si colloca lontano dai soliti schemi nazionali, perché si amalgama di un respiro pittorico balcanico e nord-europeo, dai contorni leggermente diffusi, le luci fredde che si riscaldano appena, la macchina da presa che segue la velocità del personaggio e la sua conseguente evoluzione interiore. La struttura emotiva del protagonista e la performance attoriale (Yuri è Matteo Lanfranchi) completano l’alchimia sospesa nel tempo e nello spazio, di questa vita al rallentatore.

Non si tratta di fantascienza: questa è una favola che si prende il tempo di riflettere sulla diversità e sull’autostima, così troppo spesso legata alla conformazione e all’assimilazione. Non è detto che il protagonista non trovi una sua forma di adeguamento agli schemi della convenzione, che lo ricollega ai suoi sogni di bambino e gli fa trovare una propria strada di rivincita, che qui ha la forma di un’eccellenza nello sport. Non è detto neppure che questo sia un modo per riconoscere appieno le proprie doti, che sono altre, e sono insite nella propria personale diversità.

Quel che il protagonista ci invita ad assaporare, inoltre, è il valore di un ritmo altro, del “fermarsi a”, che cozza anche narrativamente con i montaggi tecno della crisi d’accelerazione e della degenerazione fisica che Yuri affronta nel tentativo di curarsi. L’idea è stata snocciolata propriamente, grazie alla consapevole scrittura di Leonardo Staglianò, che aggiunge pure un interessante simbolismo “liquido” e una serie di stratagemmi di vita che rendono il personaggio più concreto.

Personalmente, quello che ho amato trovare nell’opera di Fava e che ne determina il suo valore, per chi saprà sintonizzarsi su questi ritmi, è stato un insolito binomio tra densità espressiva e naturalezza visiva; una sintesi amplificata da un attento e ammirevole studio del ruolo in tutte le sue sfaccettature, che non avrebbe mai avuto la stessa potenza senza il volto e la bravura di Matteo Lanfranchi.

Rita Andreetti

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