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Taxidrivers Magazine

Pink Subaru

Un miracoloso scontro di lingue parlate da persone divise da decenni di guerre che, invece di allontanarsi ancora di più, finiscono con l’incontrarsi a metà strada.

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Anno: 2009 / Distribuzione: Iris Film /Durata: 96′                                               Genere: Commedia /Nazionalità: Italia-Giappone / Regia: Kazuya Ogawa

Cosa ci fa una co-produzione italo-giapponese in terra israeliano-palestinese? La risposta è un film, per la precisione Pink Subaru dell’esordiente Kazuya Ogawa. Nonostante il titolo sia un chiaro rimando alla nota casa automobilistica del Sol Levante, l’opera prima del giovane regista nipponico classe 1977 tutto è tranne che un lungo spot celebrativo dedicato al parco macchine di casa Subaru. Curiosità vuole che nelle terre dove è stata ambientata la storia al centro di questa bizzarra e allegra commedia on the road a farla da padrona, nel poco competitivo mercato delle quattro ruote, sia proprio il suddetto marchio. Allora quale spunto migliore per dare vita ad un’autentica babilonia di idiomi e razze che si mescolano contaminandosi a vicenda.

Il risultato è un miracoloso scontro di lingue parlate da persone divise da decenni di guerre che, invece di allontanarsi ancora di più, finiscono con l’incontrarsi a metà strada. L’epilogo di Pink Subaru in tal senso ne rappresenta la più emozionante delle raffigurazioni. E pensare che per rendere possibile tutto ciò è bastato un film recitato per la maggior parte da attori israeliani e palestinesi (un po’ come era già accaduto in Private di Saverio Costanzo), che racconta delle mirabolanti vicende legate al furto di una macchina modello Legacy e del viaggio intrapreso dal suo padrone per ritrovarla, nel quale non si vede nemmeno l’ombra di un soldato, di un check point o di un carro armato. Del resto, nonostante la guerra, la vita lì va avanti, e se per una volta non si vedono cadaveri per terra e non si odono esplosioni in lontananza non casca di certo il mondo, al contrario si mostra una visione diversa da quella che siamo ormai abituati a vedere sul grande e, soprattutto, sul piccolo schermo. Attenzione ciò non significa però distorcere la realtà, perché questa, anche se romanzata, è una parte della realtà. Questo è senza ombra di dubbio il grande merito del film diretto da Ogawa, non privo di difetti legati alle immancabili imprecisioni tipiche di un’opera prima, tanto in fase di scrittura quanto in quello di ripresa (Ogawa da questo punto di vista è ancora un po’ acerbo stilisticamente), ma comunque onesto, sincero e divertente. Una commedia corale che riporta alla mente il caos visivo e dialettico dei film di Emir Kusturica, al quale si aggiunge la follia incontenibile del cinema orientale.

Per fortuna tutto questo il pubblico nostrano potrà apprezzarlo grazie alla scelta della Iris Film di distribuirlo in versione originale nelle sale nostrane a partire dal 2 settembre. Così è scongiurato il pericolo di un appiattimento totale causato dal bisogno di doppiare a tutti i costi un film come questo (un po’ come successo in precedenza con il bel film di Costanzo e con il recente Ballkan Bazar di Edmond Budina), in cui la natura e il motore portante sono senza ombra di dubbio il calderone linguistico che avvolge l’intera operazione. Purtroppo questa scelta potrebbe essere fatale per il destino di una pellicola mandata al macero in sole dieci copie nel periodo della kermesse veneziana. Speriamo di sbagliarci!

Francesco Del Grosso

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