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La dark lady nel cinema noir americano

Affascinanti, sensuali e intraprendenti, ma anche malvagie, perfide e assassine. Sono le dark ladies, femmes fatales del cinema noir

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Per consuetudine si fa iniziare la (breve) epoca del noir classico americano a partire dall’inizio degli anni Quaranta. Un genere di non scontata definizione in quanto risulta piuttosto complesso delineare tratti comuni fra i vari film che ne fanno parte. D’altra parte lo stesso termine “noir” con il quale queste pellicole sono state definite, è stato coniato diversi anni dopo in Francia, quando cominciano a giungere nelle sale europee i film che non avevano valicato l’oceano negli anni della guerra. Infatti, nel 1955 Raymond Borde ed Etienne Chaumeton nel loro “Panorama du film noir (1941-1953)”[1] sono fra i primi a utilizzare il termine “noir” per identificare un certo genere di film provenienti dagli Stati Uniti, prendendolo a prestito dalla collana di libri polizieschi “Série Noir” edita da Gallimard, che pubblicava i romanzi hard-boiled americani, tentando così un primo approccio verso tutte quelle opere provenienti da oltreoceano che trattavano storie criminali contraddistinte da toni cupi, in cui potevano ritrovarsi alcuni tratti comuni quali un’elevata violenza, un erotismo accentuato, scene oniriche e, in generale, un senso di diffuso pessimismo, di oppressione e morte.

Il mistero del falco di John Huston e Una pallottola per Roy di Raoul Walsh, entrambi del 1941, sono i primi film che, a tutti gli effetti, rientrano in questo cosiddetto genere. Tuttavia, già l’anno precedente, con Lo sconosciuto del terzo piano di Boris Ingster, un B-movie della RKO, era possibile intravedere alcune componenti che sarebbero poi state adottate e rielaborate dai noir classici: un innocente ingiustamente condannato alla sedia elettrica, il vero assassino braccato, la metropoli opprimente, gli incubi che tormentano il protagonista, le atmosfere che inducono uno stato di profondo pessimismo.

La dark lady

È ne Il mistero del falco, tratto romanzo “Il falcone maltese” dello scrittore hard-boiled Dashiell Hammett, che compare una delle prime dark lady del cinema noir americano, figura che sarebbe diventata presenza quasi fissa nelle pellicole del periodo classico del genere. Nel film di John Huston, il personaggio della dark lady è rappresentato da Brigid O’Shaughnessy (Mary Astor), una donna affascinante che emana un ambiguo fascino erotico ma che, allo stesso tempo, è fredda, falsa e assassina.

La dark lady nel cinema noir si rivela così una presenza femminile che il critico cinematografico Renato Venturelli definisce come

“il buco nero della vertigine morale, la donna tentatrice e infida che seduce il maschio e lo spinge al delitto, condannandolo poi alla rovina”[2].

Una figura che deriva indirettamente dalle avventuriere perfide e seduttrici, protagoniste della letteratura ottocentesca, e che trova, probabilmente, la spiegazione migliore nella crescente insicurezza del maschio nei confronti della donna americana, la quale, al contrario, a partire dagli anni Trenta, acquista una sempre maggior indipendenza e coscienza di sé. Consapevolezza che aumenta ancor più al termine della guerra grazie – o a causa – dei traumi psicologici accusati dagli uomini andati a combattere una volta reintegrati nella società civile.

Al modello di dark lady incarnato dalla protagonista de Il mistero del falco seguono quelli rappresentati dalle femme fatale che compaiono nei film tratti dai romanzi di James M. Cain. In particolare La fiamma del peccato (Billy Wilder, 1944) con Barbara Stanwyck che seduce un ingenuo assicuratore, interpretato da Fred MacMurray, facendolo sprofondare in un gorgo mortale e Il postino suona sempre due volte (Tay Garnett, 1946) in cui il personaggio principale, Cora, è interpretato da una conturbante Lana Turner che non esita a sedurre un vagabondo (John Garfield) per ordire l’assassinio del marito, gestore di una mediocre trattoria per camionisti, pur di evadere da quell’ambiente opprimente.

Humphrey Bogart, Mary Astor e Gladys George in Il mistero del falco

Personaggio rilevante nella cinematografia noir classica, la dark lady, nelle sue svariate sfaccettature, trova la sua stagione d’oro nei decenni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso. Rappresentazione del male assoluto nei film fino alla fine degli anni Quaranta, lascia il posto a personaggi più complessi, meno definiti ma assai più tormentati (come nel caso delle figure femminili de Il grande caldo, film di Fritz Lang del 1953). Nella cinematografia noir degli anni Cinquanta, ad esempio, si hanno vari casi di seduzione che falliscono e in cui, alla fine, l’uomo riesce a non cadere nella trappola mortale tesagli dalla donna.

Il ritorno della dark lady

Dopo l’eclissi per un paio di decenni della figura della dark lady così come concepita nel noir classico, a partire dagli anni Ottanta si assiste a un ritorno di questa figura in chiave moderna. Si tratta di donne emancipate, sessualmente libere ma altrettanto spietate come le loro precorritrici.

In Brivido caldo di Lawrence Kasdan (1984), che detta la ripresa del cosiddetto “neo-noir” dopo i film degli anni Sessanta e Settanta, compare una figura di donna seduttrice, che non esita a utilizzare il maschio per ottenere i suoi oscuri interessi. Nulla di nuovo rispetto ai classici degli anni Quaranta e Cinquanta, senonché una maggior libertà concessa dalla censura, rispetto al periodo del dopoguerra, permette di elevare la carica erotica di questi film a un livello decisamente esplicito. Come dimostrano i vari amplessi e i corpi sudati di Kathleen Turner e William Hurt, protagonisti del film di Kasdan.

Variazione sul tema, sempre in questo periodo, è quello della donna psicopatica che non esita a esercitare sull’uomo un’azione di dominio totale, del corpo e della mente, come avviene in Attrazione fatale (Adrian Lyne, 1987) in cui una donna (Glenn Close) sottopone a un’ossessiva azione di stalkeraggio un uomo (Michel Douglas) con il quale aveva avuto una breve quanto intensa relazione extraconiugale. Analogamente, in Misery non deve morire (Rob Reiner, 1990) tratto da Stephen King, la protagonista (Kathy Bates) sequestra e sottopone a torture fisiche e psicologiche un famoso scrittore (James Caan) reo di voler far “morire” il personaggio principale dei romanzi dei quali la donna era appassionata lettrice,

Dieci famose e perfide dark lady dello schermo

Di seguito riportiamo alcune fra le dark lady più famose e iconiche del cinema, consapevoli che l’elenco non è esaustivo ma solo uno spunto per approfondire in autonomia l’argomento.

Brigid O’Shaughnessy (Il mistero del falco)

Film del 1941, diretto e sceneggiato da John Huston, è la pellicola che viene da tutti indicata come primo film noir della storia del cinema.

La pellicola ha come protagonisti due detective privati, Sam Spade (Humphrey Bogart) considerato il capofila degli investigatori privati e il suo socio Miles Archer (Gladys George) che vengono contattati da una donna (Mary Astor) che li assume per ritrovare la sorella scomparsa e che si presenta inizialmente come Ruth Wonderly per poi rivelare la sua vera identità: quella di Brigid O’Shaughnessy, donna tanto affascinante e seduttrice senza averne l’aria, quanto letale. Famosa la frase di Spade/Bogart, personaggio cinico e disincantato, che nel finale descrive il falcone maltese, ovvero la preziosa statuetta che tutti cercano, come fatta “della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, citando, ovviamente, il Bardo di Stratford-upon-Avon.

Phillis Dietrichson (La fiamma del peccato)

Che bel braccialetto ha alla caviglia. C’è un nome su quel braccialetto”.

…e non ho avuto i soldi, e neanche la donna”.

Fra queste due frasi pronunciate all’inizio e alla fine del film dall’assicuratore Walter Neff (Fred MacMurray) emblema dell’uomo qualunque, sta la vicenda di La fiamma del peccato (Billy Wilder, 1944) tratto dal romanzo “Double Indemnity” di James M. Cain e sceneggiato, oltre che dallo stesso Billy Wilder, da Raymond Chandler, scrittore e inventore del più famoso degli investigatori privati: Philip Marlowe.

La donna a cui Walter Neff si riferisce è Phillis Drietrichson (Barbara Stanwyck), bella e sensuale che, irretendo l’assicuratore e convincendolo a essere suo complice, decide di uccidere il marito simulando un incidente stradale al fine di intascare l’assicurazione.

Ovviamente le cose non andranno come previsto dalla coppia, che finirà per annientarsi a vicenda. La lunga confessione di Neff, rilasciata al dittafono a favore del suo capo (Edward G. Robinson), sarà l’epilogo di una vicenda in cui amore e morte, eros e thanatos, convivono come nella migliore tradizione.

Helen Grayle/Velma Valento (L’ombra del passato)

Edward Dmytryk firma nel 1940 L’ombra del passato, tratto dal romanzo di Raymond Chandler “Addio, mia amata”.

In questo film Philip Marlowe (Dick Powell) viene contattato da Moose Malloy (Mike Mazurki), un ex galeotto alla ricerca di Velma Valento, la sua vecchia fiamma della quale ha perso le tracce. Quasi costretto ad accettare il caso, Marlowe si ritrova coinvolto in un caso di omicidio legato a una preziosa collana rubata e di proprietà di Helen Grayle (Claire Trevor), moglie di un anziano miliardario che tenta di sedurre il detective sotto gli occhi del marito, rivelandosi poi coinvolta in un torbido caso di assassinio e malavita.

Un remake del 1975, Marlowe, il poliziotto privato di Dick Richards, vede il personaggio della dark lady interpretato dall’attrice britannica Charlotte Rampling, mentre a Philip Marlowe, qui invecchiato e disilluso, presta il volto un intenso Robert Mitchum.

Vera (Detour – Deviazione per l’inferno)

Detour – Deviazione per l’inferno di Edgar G. Ulmer (1945) è un B-movie della RKO, girato a basso budget e in soli sei giorni. In realtà si tratta di un piccolo gioiello che vede come protagonista Al Roberts (Tom Neall), un pianista senza soldi di New York che, insoddisfatto della propria vita, decide di raggiungere la fidanzata a Los Angeles, accettando un passaggio da un facoltoso uomo d’affari che muore durante il tragitto.

Convintosi di essere stato la causa della morte dell’uomo, Al si dà alla fuga rubandogli soldi e macchina e assumendone l’identità. Durante il tragitto dà un passaggio a Vera (Ann Savage) che si scopre essere la fidanzata del morto. Una volta venuta a conoscenza della morte dell’amante e di come Al ne abbia rubato l’identità, Vera inizia a ricattarlo innescando una spirale tragica che porterà l’uomo a una fuga disperata e senza speranza.

Cora Smith (Il postino suona sempre due volte)

Dapprima sono le gambe nude e affusolate, poi un paio di candidi short, una camicetta e un asciugamano avvolto come un turbante Infine lo sguardo penetrante che trafigge l’uomo che la osserva, mentre si china a prenderle il rossetto finito a terra. Cora Smith (Lana Turner) si presenta così a Frank Chambers (John Garfield) in Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett. Un film del 1946 tratto dall’omonimo romanzo di James M. Cain.

Lui è un vagabondo capitato per caso nella locanda gestita da Nick (Cecil Kellaway), il marito di Cora, più anziano della moglie e con un buon rapporto con la bottiglia. Tra Cora e Frank nasce un rapporto passionale che li porta a progettare l’assassinio di Nick allo scopo di incassare l’assicurazione sulla vita stipulata dall’uomo. Tuttavia, dopo l’omicidio, i rapporti fra i due amanti si deteriorano fino a quando la nemesi li raggiunge, punendoli per le loro colpe.

Il film di Garnett, pur rimanendo piuttosto fedele al romanzo, se ne discosta per la figura di Cora, una Lana Turner troppo bella, troppo immacolata con i vestiti bianchi che indossa, a discapito della carnalità che traspira dalle pagine del libro di Cain.

Sensualità che si ritrova, invece, nel remake realizzato da Bob Rafelson nel 1981, reso celebre dall’infuocata scena di sesso consumato sul tavolo da cucina fra Cora e Frank, interpretati rispettivamente da Jessica Lange e Jack Nicholson.

Antecedentemente Luchino Visconti aveva tratto dal libro di Cain Ossessione (1943), con Clara Calamai e Massimo Girotti, trasferendo l’ambientazione dagli Stati Uniti alla assolata pianura del Delta del Po e dando di fatto il via alla breve ma intensa stagione del Neorealismo italiano.

Lana Turner in Il postino suona sempre due volte

Kitty Collins (I gangsters)

Nel film del 1946 di Robert Siodmak, l’avvenente Kitty Collins (Ava Gardner) seduce e tradisce lo Svedese (Burt Lancaster), un ex pugile coinvolto in una rapina a una fabbrica.

I gangsters è un film girato in flashback a partire dall’omicidio dello Svedese e tratto da un racconto di Ernest Hemingway “The Killers”, che servì come intro per Siodmak, con la sceneggiatura di Anthony Veiller, per raccontare la vicenda dello Svedese.

Ava Gardner interpreta una dark lady dal doppio volto, candido e diabolico allo stesso tempo.

Rose Loomis (Niagara)

Difficile pensare Marylin Monroe nei panni di una dark lady. Eppure in Niagara (Henry Hathaway, 1953), l’attrice veste i panni di Rose, una donna malvagia e sensuale, che progetta, insieme all’amante Ted (Richard Allan), di uccidere il marito George (Joseph Cotten).

Niagara, girato in technicolor nella location delle cascate più famose al mondo, è il film che vede il primo e unico ruolo di personaggio veramente negativo interpretato da Marylin Monroe, infangando due delle figure idealizzate dall’America e dal mondo intero: le cascate e  la stessa Marylin.

Matty Walker (Brivido caldo)

Brivido caldo (Lawrence Kasdan, 1981) è il film che, per consuetudine, dà l’avvio alla stagione del neo-noir, reintroducendo la figura della dark lady. Nello specifico si tratta di Matty Walker (Kathleen Turner), sposata a un ricco uomo d’affari, che intraprende una relazione extraconiugale con Ned Racine (William Hurt), un giovane avvocato senza successo.

Donna diabolica, Matty dapprima seduce Ned, poi lo istiga a uccidere il marito per poi lasciarlo al suo destino a scontare una dura condanna. Particolare non secondario in Brivido caldo sono le torride scene di sesso che si consumano fra Matty e Ned, lasciando i loro corpi sfiniti e sudati.

Catherine Tramell (Basic Instinct)

Sin dalla scena inziale di Basic Instint (Paul Verhoeven, 1992) veniamo introdotti a quello che sarà il filo conduttore di tutto il film. Un uomo e una donna stretti in un amplesso che mostra e non mostra. Non rivela, ad esempio, il volto della donna, della quale si intravedono solo i capelli biondi e il corpo che si muove ritmicamente. Vediamo invece la mano della ragazza che stringe un punteruolo rompighiaccio e lo affonda nel corpo dell’uomo, uccidendolo.

Il file rouge di tutto il film è l’ambiguità. A partire da Catherine Tramell, una scrittrice interpretata da una Sharon Stone in stato di grazia. Dark lady vestita di bianco che ostenta la sua volontà di dominio, in primo luogo su Nick (Michael Douglas), il poliziotto incaricato delle indagini con il quale finisce per avere una relazione.

Tutto è ambiguo in Basic Instint. È Catherine l’assassina? cioè colei che ha scritto un romanzo in cui viene commesso un omicidio con le stesse modalità di quelle alle quali abbiamo assistito? O lo è Roxy (Leilani Sarelle), l’amante di Catherine, altrettanto bionda, altrettanto bella, che ci viene inizialmente e ingannevolmente fatta passare per Catherine?

Di Basic Instint, nell’immaginario collettivo, rimane impressa soprattutto la scena dell’interrogatorio, nella quale Catherine si pone, paradossalmente, in una posizione di potere nei confronti dei poliziotti.

Amy Elliott (L’amore bugiardo – Gone Girl)

In L’amore bugiardo – Gone Girl (David Fincher, 2014) Amy Elliott (Rosamund Pike) è una donna sposata che ha rinunciato alla sua carriera di scrittrice per andare a vivere col marito Nick (Ben Affleck) in una sonnolenta cittadina del Missouri. Insoddisfatta della propria vita, dopo aver scoperto un tradimento da parte di Nick, Amy scompare. Numerosi indizi nella casa in cui abitano farebbero pensare a un rapimento o a un omicidio del quale il maggior indiziato risulta essere proprio il marito. In realtà, nella seconda parte del film, si viene a scoprire che la fuga della donna e gli indizi volutamente disseminati, altro non sono che un tentativo per incolpare il marito di omicidio e farlo condannare in uno stato in cui è prevista la pena di morte.

Da alcuni accusato di misoginia, Gone Girl si rivela, al contrario, un film “femminista” in cui la donna prende in mano le redini della propria vita.  Amy appare come un personaggio che, pur nella sua malvagità e nella sua follia, si contrappone all’inconsistenza maschile; una donna che non accetta il ruolo e gli stereotipi che altri le hanno assegnato.

Sarà Amy, alla fine, a uscire vincitrice, costringendo Nick a trascorrere una vita da succube, vivendo nel terrore di una donna che, ormai, ha preso saldamente il comando della sua esistenza.

Rosamund Pike in L’amore bugiardo – Gone Girl

[1] R. Borde, E. Chaumeton, Panorama du film noir (1941-1953), Les Éditions de Minuit, Paris, 1955.

[2] R. Venturelli, L’età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano 1940-60, Einaudi, Torino, 2007.

Gli articoli di Marcello Perucca