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Taxi Drivers intervista Dacia Maraini: Pier Paolo Pasolini, Marco Ferreri, Salvatore Samperi, Roberto Faenza, ovvero il ricco contributo della scrittrice al cinema italiano attraverso la sua opera letteraria
Dacia Maraini si racconta a Taxi Drivers, tracciando il ricco percorso che l’ha vista protagonista del cinema italiano, attraverso il lavoro di adattamento per il grande schermo di alcune sue celebri opere letterarie. Pasolini, Ferreri, Samperi, Faenza: alcune tra le sue più significative collaborazioni
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8 anni agoon
Una premessa: Dacia Maraini, scrittrice, plasma eventi lontani, intensi: primi anni settanta, un’Italia bellissima, certo al di là del terrore chiamato “strategia della tensione”, al di là della mafia che si stava certamente “statalizzando”, al di là del terrore più urbano e quello più sedicente politico; al di là di tutto questo vi era in Italia, assolutamente, una cultura letteraria fiorente, un cinema ed un teatro vivissimo, densi di introspezioni, indagini, inezie, spettacolo. Un cinema, poi, assoluto, netto, anche di riflessioni argute, precise. Un cinema che si cullava anche, soprattutto, nel prezioso dono della libertà d’autore. Ultimo tango a Parigi, ad esempio, girato da Bernardo Bertolucci nel 1972, resta un eccezionale film, reso grandissimo da tale libertà, anche dalla libertà dal mercato. E poi il mondo della musica, finanche quello delle canzoni, tutto in quella Italia portava alla potenzialità più abile, più cognitiva, più conquistata.
Naturalmente è la immensa personalità di Dacia Maraini, gigantesca, che facilita questo percorso, proprio lo abilita, lo rende concreto. Tutto di Dacia Maraini sottolinea quel percorso costruttivo, lei che in quegli anni veniva soprattutto da un’intensa attività teatrale, autogestita e decentrata come ci ha detto, a Roma Centocelle, anche da uno straordinario (ma ormai se ne sono perse le tracce) lavoro collettivo.
Dice Dacia Maraini: “In quegli anni particolari c’era davvero quella che era la ricerca di un pubblico popolare, un incontro che poi diventava, inevitabilmente, anche uno scontro con la realtà culturale della periferia romana. C’era il tentativo, cercato e continuo, di mettere alla prova la propria ideologia, e questo anche nei contatti con gli altri, con i compagni di lavoro, con il pubblico, con i politici“.
Uno dei libri della Maraini, Donna in guerra, edito nel 1975, ad esempio, che é diventato un film nel 1977 con il titolo de Io sono mia, diretto da Sofia Scandurra, resta un testo che, in assoluto, ha determinato e che in questo contesto determina ancora e specifica quel periodo e le nostre considerazioni odierne. Il libro della Maraini così come il film della Scandurra, infatti, si inserivano in maniera autorevole nel dibattito in corso in quegli anni: la condizione della donna in una cultura ancora fortemente maschilista.
Dice Dacia Maraini: “Con Sofia, per il suo Io sono mia, ho effettivamente collaborato. Ma lei aveva delle sue idee su come doveva essere il film e, devo dire, poco mi stava a sentire. Molte cose che avevo scritto Sofia le ha cambiate mentre girava. Ma comunque era una brava regista e le ho dato fiducia. Una fiducia che poi non è stata tradita. Io sono mia ad esempio è un film che oggi andrebbe rivisto con occhi nuovi. Credo che vi si troverebbero delle sorprese”.
Intanto al cinema, dopo tanta letteratura e tanto teatro, Dacia Maraini come ci è arrivata?
Dice Dacia Maraini: “Il cinema io non l’ho cercato, non è stata una mia iniziativa. Semplicemente sono stati i registi che hanno deciso di prendere un mio libro per trasformarlo in immagini. Poi alcuni di loro mi hanno chiesto di collaborare alle loro sceneggiature”. L’età del malessere, ad esempio, il film che Giuliano Biagetti ha girato nel 1968 è il primo tratto da un romanzo di Dacia Maraini: “Si, ma con il regista Biagetti non ho avuto molto a che fare. Non mi ha chiesto collaborazioni di sorta. Il risultato poi è stato certamente onesto, ma lo considero un film decisamente lontano dal mio libro”.
Subito dopo é il regista Salvatore Samperi, quando comincia a pensare nel 1969 al suo film Cuore di mamma, a chiedere la complicità di Dacia Maraini per scrivere la sceneggiatura: “A Cuore di mamma, ho davvero collaborato. Samperi era una persona deliziosa: entusiasta, generoso, gentile, ricordo che abbiamo lavorato molto bene insieme. Scrivevamo da me o a casa sua con la affettuosissima moglie che ci raggiungeva all’ora dei pasti. Samperi aveva avuto un grande successo con Grazie zia, il suo film precedente, ma poi con i successivi, il nostro Cuore di mamma e con Uccidete il vitello grasso e uccidetelo non ha avuto il riscontro che i due film invece meritavano. Samperi, ad esempio, secondo me, resta un regista da riscoprire”.
Poi c’è il romanzo Memorie di una ladra, scritto dalla Maraini nel 1972, che subito viene tradotto dal cinema con il titolo de Teresa la ladra. Lo dirige il regista Carlo Di Palma, fino ad allora noto come uno dei migliori direttori della fotografia del cinema italiano. Con le sue luci infatti aveva illuminato i più bei film di Michelangelo Antonioni.
Dice Dacia Maraini: “Teresa la ladra è certamente il film più professionale a cui abbia partecipato. C’erano, nel gruppo di sceneggiatura, anche Age e Scarpelli, due persone simpaticissime e di grande esperienza cinematografica, abituati a costosi film internazionali. La protagonista del film, Monica Vitti, poi controllava ogni parola che veniva scritta. E spesso interveniva per dire le sue idee su come avrebbe dovuto comportarsi il suo personaggio. Però il film è riuscito bene, ha avuto un grande successo. Penso che Monica sia stata grande nel personaggio di Teresa”.
Nel frattempo Pier Paolo Pasolini, che aveva letto e soprattutto amato il romanzo Memorie di una ladra, coinvolge Dacia Maraini nella scrittura del suo film Il fiore delle mille e una notte.
“Con Pier Paolo ho lavorato davvero intensamente e con emozione. Era un compagno di lavoro molto esigente ma anche molto attento e generoso. Il problema era che aveva veramente fretta e quindi abbiamo dovuto scrivere la sceneggiatura in quindici giorni, veramente un record. Abbiamo affittato una casa a Sabaudia e ci siamo messi al lavoro. Il mare, bellissimo, era lì davanti, ma non ci abbiamo mai messo piede. Ci alzavamo alle sei del mattino e lavoravamo fino a sera tardi, saltando i pasti o semplicemente mangiando un panino. Suscitavamo in questo caso le proteste di Alberto (Moravia n.d.r), che avrebbe voluto invece un poco più di tempo per i pasti. Ma Pier Paolo aveva preso un impegno per cominciare a girare entro il mese e così abbiamo dovuto correre. Dopo avere letto insieme le storie de Le mille e una notte, mi ha affidato la parte della schiava Zumurrud. Premetto che da poco era uscito il mio libro Memorie di una ladra, che a lui era molto piaciuto, e voleva che scrivessi della schiava proprio come una intelligente ed ironica, un personaggio che vagamente assomigliasse alla mia Teresa la ladra. E lui curava il resto. La mattina io scrivevo da una parte e lui dall’altra. Nel pomeriggio ci ritrovavamo allo stesso tavolino per mettere insieme il suo lavoro con il mio. E si cancellava, si aggiungeva, si riscriveva, ma Pier Paolo non l’ho mai sentito prevaricatore. Seguiva le mie scelte cercando di conciliarle con le sue”.
E quando poi Pier Paolo Pasolini ha materialmente girato Il fiore delle mille e una notte, Dacia Maraini ha condiviso il set della lavorazione?
“No purtroppo, ero già occupata con un mio nuovo romanzo. Ma quando ho visto il film compiuto mi è sembrato bello ed intenso. La solo scena non amata è quella del giovanotto che lancia una freccia in mezzo alle gambe aperte della schiava. L’ho trovata violenta e gliel’ho detto. Pier Paolo mi ha risposto che era stata una idea dell’operatore: “Forse è vero che è violenta, ma ormai è troppo tardi per toglierla ” mi confidò. Il fiore delle mille e una notte è stato comunque l’ultimo dei film gioiosi di Pier Paolo, prima di quel tristissimo e cupo film che è Salò”.
Lo stesso Pasolini, d’altronde, ripreso molto spesso a proposito di quella scena da Il fiore delle mille e una notte (veniva avvertita come una freccia lanciata a spezzare la poesia delle immagini e la vitalità gioiosa dei personaggi), ripreso soprattutto dal mondo femminista, non amava spiegare molto quella sequenza, allontanava deciso però l’idea della metafora dello stupro, ed indirizzava più volte la spiegazione verso una ipotesi di gioco, anche u’idea bizzarra finanche, venuta sul set, e che ora sappiamo anche a chi attribuire, appunto al direttore della fotografia, Giuseppe Ruzzolini. Pasolini, tra l’altro, conosciuto dal cronista proprio in quel periodo del 1974, proprio nel bel mezzo di una partita di calcio giocata tra calciatori del Latina calcio avversi ad una squadra di giornalisti, allo stadio di Latina, e proprio mentre un pubblico primitivo, rozzo e sguaiato, inveiva contro di lui al grido di “… frocio, frocio …”; il ricordo di quel giorno corre oggi all’idea di un uomo che aveva fretta, che andava assolutamente di corsa. E Pier Paolo Pasolini, solo un anno dopo, il 1 novembre del 1975, verrà ucciso all’Idroscalo di Ostia.
Il lavoro nel cinema con Pier Paolo Pasolini poi è immediatamente continuato anche con i dialoghi in italiano che Dacia Maraini e Pier Paolo curarono per il film di Dusan Makavejev Sweet movie (Dolce film).
Dice Dacia Maraini: “In realtà già prima di iniziare la scrittura de Il fiore delle mille e una notte avevo lavorato con Pier Paolo ai dialoghi in italiano del film Trash: i rifiuti di New York di Paul Morissey. Erano i primissimi mesi del 1973, c’era questa versione di Morissey da tradurre per il cinema italiano”. Già, Trash: i rifiuti di New York, scritto, diretto, fotografato, montato da Paul Morissey e prodotto da Andy Warhol, che è poi la storia di una condizione umana perduta, un film assoluto, bello, delicato e poetico, ma al contempo davvero crudo e realista, un film che ha colpito e scolpito un’epoca, ancora un capolavoro autentico di quei tempi cinematografici liberi e perduti.
Continua Dacia Maraini: “Per quanto riguarda l’altra traduzione, Sweet movie (Dolce film), pur avendola condivisa con Pier Paolo devo dire che lui non ci ha lavorato molto, aveva in quel periodo altro da fare. Io invece stavo tutto il giorno in moviola, Pier Paolo veniva solo la sera a controllare. Ma non ha mai avuto niente da ridire sul mio lavoro. Come ho detto Pier Paolo era sempre rispettoso delle idee e delle scelte altrui, e di questo gli sono ancora grata. Quello che si raccomandava invece era che scegliessi, per il film tradotto in italiano, delle voci di attore che non fossero professionali ”.
Poi c’è Storia di Piera, il film che Marco Ferreri girò nel 1982: “Di Storia di Piera ho seguito tutte le fasi della lavorazione, dalla sceneggiatura al doppiaggio finale”. Dunque Marco Ferreri, il regista, un uomo che abbiamo sempre visto effettivamente come soffocato da un fascino sopraffino e misterioso.
Dice Dacia Maraini: “Marco era un uomo testardo, dalle idee chiare, ma non disprezzava i contributi altrui. Bisognava discutere e l’abbiamo fatto per giorni e giorni vedendoci soprattutto a casa mia a Roma, raramente a casa sua. Ma era un piacere lavorare con lui e con Piera Degli Esposti, che partecipava al progetto e aveva delle idee chiare anche lei. Con Marco e con sua moglie Jacqueline sono stata per quindici giorni a Quiberon, un luogo di cure termali. Andavamo in giro avvolti negli accappatoi lunghi fino ai piedi, facevamo i bagni nell’acqua della salute e poi ci sedevamo sulle panchine in giardino a parlare dei personaggi del film. È stata una esperienza curiosa: un misto di acque salvifiche, cibi senza sale e bagni propiziatori. Ma il film lo considero uno dei migliori tratti da un mio libro …”. Continua Dacia Maraini: “Con Marco poi ho fatto un altro film insieme, Il futuro è donna, che non era tratto da un mio libro ma era un’idea sua, un’idea che poi abbiamo sviluppato insieme …”.
Il futuro è donna, certo, girato da Marco Ferreri nel 1984. Il film, almeno noi lo abbiamo visto così, ha convinto poco, è certamente un film che argomenta un’idea, ma ci é sembrato come scappato di mano in sede di sceneggiatura e, dopo, anche in sede di realizzazione. È continuata, secondo noi, una certa frammentazione tra i tavolini.
Ma Dacia Maraini non è proprio d’accordo: “Secondo me invece è un film curioso ed originale, e dovrebbe essere ripreso in considerazione. La sua storia, una ragazza incinta che non può mantenere il figlio e va in cerca di una coppia a cui affidarlo, è una riflessione di un’attualità incredibile. Continuo a pensare del film che sia, intanto, come ho detto, un’idea attualissima, interpretata poi da attori straordinari, Ornella Muti, Hanna Shigulla, Nels Arestrop, e supportato da una regia, quella di Ferreri, assolutamente fresca e visionaria”.
Tradurre nel linguaggio cinematografico un romanzo, quali, secondo Dacia Maraini, le difficoltà da incontrare?
Dice Dacia Maraini: “Il cinema ha un linguaggio diverso dalla narrativa, anche se tutte e due si basano su una storia da raccontare. Il cinema è fatto da immagini che hanno la prevalenza sulle parole. Un vero regista riesce a fare parlare le immagini come davvero fossero parole. La letteratura invece è tutta concentrata sulle parole che hanno una tessitura quasi musicale ed è quella tessitura sotterranea che comunica col lettore, qualcosa che va oltre la storia e gli eventi ”. E cosa chiede Dacia Maraini ad una regista che si accinge a girare un film tratto da un suo romanzo?: “Io non chiedo mai la fedeltà cieca ed assoluta al mio libro. Perché non si tratta di un’illustrazione pura del romanzo, ma di un’interpretazione personale di una certa storia. Quindi non ci si può aspettare una decalcomania. Io chiedo al regista, prima di tutto, di fare un bel film, che abbia una fedeltà di fondo alle idee del mio romanzo, ma trovo che, assolutamente, l’autore del film debba essere lasciato libero di raccontare a modo suo una storia che non è sua, ma che certamente si accinge a fare sua …”.
Poi c’è La lunga vita di Marianna Ucria, romanzo scritto dalla Maraini nel 1990 e che il regista Roberto Faenza trasferirà in immagini nel 1997: “Al film tratto da Marianna Ucria ho collaborato pochissimo, solo nella parte dei dialoghi che Roberto mi portava a leggere, ma per il resto ha fatto tutto lui. Comunque lo considero uno dei film più riusciti tratti dai miei libri. Sono poi andata spesso sul set: Roberto è un regista umile ma attentissimo ai particolari, scrupoloso, gentilissimo con gli attori, anche se fermo e deciso”.
C’è un romanzo della Maraini, completamente tradito dalla sua resa cinematografica?
“Voci, il film che Franco Giraldi ha girato nel 2002. Si, questo è il film che più si è allontanato e che più ha tradito il libro da cui è partito. Basti pensare che il regista ha cambiato il responsabile della morte di Angela, ha modificato pesantemente la storia, insomma era un altro racconto quello che Giraldi narrava. Gliel’ho detto e volevo anche togliere la firma, ma per contratto non si poteva. Si è potuto rimediare solo cambiando l’intestazione con “liberamente tratto da”. Così è uscito nei cinematografi, ma non ne sono stata contenta”.
Chissà, forse il disinteresse generale al film (Voci è stato smontato in pochissimi giorni nelle poche sale in cui era uscito) è capitato anche per questa ipotesi di infedeltà: chi aveva amato il libro della Maraini non poteva poi trovare la stessa potenzialità nel film di Giraldi. A questo ibrido il pubblico, così come la critica, ha detto decisamente no.