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67 Festival di Berlino: The Other Side of Hope di Kaurismäki, il nostro Orso d’Oro va a una storia di solidarietà

Quando nella sala del Palast cala il buio e la stanza si riempie della luce della speranza emanata dal cinema di Kaurismäki è chiaro, almeno per chi scrive, chi sarà l’Orso d’Oro di questa edizione. Con The Other Side of Hope, Kaurismäki torna a parlare nel suo linguaggio minimale e surreale di emarginati e di solidarietà, continuando il lavoro iniziato nel 2011 con Le Havre

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Quando nella sala del Palast cala il buio e la stanza si riempie della luce della speranza emanata dal cinema di Kaurismäki è chiaro, almeno per chi scrive, chi sarà l’Orso d’Oro di questa edizione. Con The Other Side of Hope, Kaurismäki torna a parlare nel suo linguaggio minimale e surreale di emarginati e di solidarietà, continuando il lavoro iniziato nel 2011 con Le Havre. Cambiano approdo e luogo da cui fuggire (in Le Havre era un ragazzino africano immigrato illegalmente a cercare e incontrare rifugio in Francia) ma si ritrovano gli stessi elementi cardine: il porto/approdo di speranza, un arrivo/fuga da una situazione terribile, la richiesta d’aiuto, l’accoglienza del singolo. The Other Side of Hope è la storia di un incontro e di un’amicizia: da un lato c’è Khaled (SHERWAN HAJI), un essere umano in cerca di salvezza per sé e sua sorella dispersa, dall’altro Wirkström (SAKARI KUOSMANEN), che lascia la moglie e ricomincia daccapo. La solitudine di Khaled è causata dalla guerra nel suo Paese, la Siria, quella di Wirkström dall’alcolismo della moglie.

Il cinema di Kaurismäki è luogo di melancoliche e armoniche contrapposizioni: alla realtà del dolore che pervade i rifugiati e gli outsider si oppone un’aura surreale e utopica (a volte distopica, come il verdetto del giudice sull’inaccettabilità della richiesta d’asilo perché la guerra in Siria non è un pericolo per la popolazione) che avvolge ogni azione. Sotto il cielo comune – della malinconia – si incontrano tutti i suoi reietti, siano essi esclusi o autoesclusi: “sorridi, i malinconici sono i primi ad essere deportati”, consiglia l’amico e rifugiato iracheno a Khaled.

Laconico e puntuale, il regista finlandese crea spazi-famiglie abitabili e auspicabili nelle frizioni sociali e, strappando sorrisi con grande generosità, mostra una via possibile alla follia razzista generale. Se lo Stato fallisce nel proteggere l’essere umano, Kaurismäki si appella al singolo, a ciascuno di noi, perché il cambiamento può – e deve – iniziare nelle nostre case. Il Golden Pint, il ristorante fallimentare acquistato da Wirkström e situato in una zona remota della città, è un’alternativa sociale chimerica, un microcosmo ideale dove il profitto è secondario – e quando viene preso in considerazione crea situazioni di grande ilarità, il sostegno reciproco è il valore più alto – collocato al di sopra della legge e della legalità, la solidarietà non conosce limiti classisti, religiosi, politici e geografici. “Oggi il rifugiato è lui o lei, ma domani puoi essere tu”, dice in conferenza stampa il Maestro finlandese. “Sono modesto, con questo film voglio cambiare il mondo. Per il momento mi accontenterò dell’Europa, poi punterò all’Asia”, continua scherzando. Come scherzosa e ferma al tempo stesso è la sua posizione sull’islamizzazione dell’Europa, parole che finge di non capire quando gli viene chiesta la sua opinione al riguardo. “Is..che? Islandizzazione? Si riferisce al successo calcistico dell’Islanda?” Risponde a una giornalista concludendo che “l’islamizzazione dell’Europa non esiste” e dichiarando di “apprezzare la Merkel perché in Europa sembra l’unica politica interessata al problema dei rifugiati, a differenza degli altri Paesi che pensano solo ai propri interessi”.

Il mondo ideale costruito dal regista è la speranza, la speranza del rifugiato e dello stesso Kaurismäki in una presa di coscienza, una speranza germogliata in un mondo dove non è sempre la gentilezza e la comprensione a definire i rapporti umani. Kaurismäki lo sa bene e ce la mostra negli assalti razzisti a Khaled, perché il nostro sguardo sognatore non cada mai troppo lontano dalla realtà.

Francesca Vantaggiato

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