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‘Pluribus’ : il problema del mondo straordinario

Carol e l’emotività esplosiva dello spazio.

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Si conclude la prima stagione di Pluribus la serie di Apple TV+ creata da Vince Gilligan, il visionario showrunner di Breaking Bad . La serie sci-fi è prodotta da Sony Pictures Television, High Bridge Entertainment e Bristol Circle Entertainment. Candidata a ben due Golden Globes (miglior serie drammatica e migliore attrice protagonista) lo show di Apple vede Rhea Seehorn, già volto noto di Better Call Saul (spin-off di Brealing Bad), nel ruolo della superstite Carol, supportata da un cast di rilievo: Karolina Wydra, Miriam Shor e Carlos Manuel Vesga.

 IL TRAILER – Pluribus

Pluribus

Carol Sturka (Rhea Seehorn), una nota scrittrice malinconica e disillusa, si trova inaspettatamente immersa in una nuova America e in un nuovo mondo. Un ignoto virus alieno ha trasformato la popolazione globale in soggetti sorprendentemente felici, gentili, ottimisti, senza alcuna palpabile sofferenza. Carol è l’unica ad Albuquerque ad essere rimasta “normale”, e nel tentativo di capire cosa stia realmente accadendo, la superstite si trasforma, sua malgrado, in un essere sociale riluttante.

Carol ci serve tempo

Arrivata a conclusione, Pluribus è la classica serie di Gilligan composta di episodi frenetici (di tipologia arthouse), oscillando tra linearità e antinarrazione, mentre il movimento dell’economia seriale rimane immobile proprio come la sua protagonista. Gli amanti di Breaking Bad probabilmente ricorderanno quanto ci abbia messo l’ecosistema di Walter White ad ingranare, ad essere la serie evento amata da milioni di spettatori. Questo perché Vince Gilligan prima di essere un raffinato regista è uno scrittore che si prende il suo tempo, mettendo tutto a fuoco nel suo inizio, per lasciare al mondo e al personaggio il tempo di scrutarsi, di prendersi le misure.

Pluribus parla di ricatti emotivi, distruzione di mondi che rimangono tali, alieni servitori asserviti ai “diversi” che sono tali proprio perché non sono disposti a cambiare, conservando ciò che l’essere umano ha di più caro: il libero arbitrio. Il nucleo della serie si occupa del grande tema della felicità, esposto come dittatura dei buoni sentimenti nel rischio dell’omologazione a cui il personaggio di Seehorn non vuole piegarsi.

Tra Carol e gli alieni incarnati nei corpi automatizzati della popolazione terrestre (proprio come del resto avviene ne L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel), si istaura un dialogo che attraversa le fasi dell’asservimento alieno e della distanza. Perché quando la protesta di Carol procura danni agli ultracorpi alieni, proprio come un Dio che non può ottenere ciò che vuole, il popolo alieno si ritrae: “Carol ci serve tempo”. I contatti diventano telefonate, messaggi in codice, il popolo infetto sparisce, e la protagonista deve da sola coabitare con Albuquerque e il nuovo mondo.

Character Driven vs Plot Driven

Il tentativo di Gilligan non è ciò che appare nei primi episodi, ossia fare una propria versione sci-fi e allargata del The Truman Show di Peter Weir. Pluribus, invece, vuole esporre Carol al nuovo mondo. Far convivere la superstite al nuovo Albuquerque che è sempre lo stesso in termini fisici ma diverso nella nuova dimensione della realtà stravolta. In questa tendenza emerge un’indubbia difficoltà della serie, esprimendo il concetto tutto gilliganiano di “prendersi il suo tempo”.

Nei primi due episodi Pluribus fa già tanto, tantissimo. Mostra la minaccia aliena, il contagio e il mondo seriale. Carol ad inizio serie constata la situazione radicalmente cambiata, diventando un personaggio ribelle e anarchico che reagisce con opposizione e diffidenza all’apparente pacifismo della popolazione aliena. Poi qualcosa si blocca nella serie e in Carol. Il rischio ipotizzato diventa reale.

Una serie enorme non priva di difetti

Inserire un personaggio in un mondo che è “altro” e costringerlo a rapportarsi con esso, senza cambiarlo di una virgola, ha l’effetto di far ruotare Seehorn su se stessa senza un’apparente direzione. Perché questo succede in Pluribus per ben cinque episodi. Carol si muove senza muoversi e la serie deve attingere ad eventi emotivi più che ad una conflittualità reale. Il rapporto con Zosia, una sorta di responsabile delle pubbliche relazioni del mondo alieno con cui la protagonista si interfaccia, rende Carol emotiva, vulnerabile, mettendo in crisi le sue certezze e perplessità. Distanziandosi dal “loro” per concentrandosi sul “noi”.

Gilligan da una parte crea un mondo straordinario sempre più ordinario, ma dall’altra lo rende inerme, asettico, puntando tutto sull’atteggiamento di Seehorn al nuovo mondo, che non cambia nei conflitti, ma muta nella percezione emotiva della protagonista nei suoi confronti.

Prendere appunti da Heisenberg

Del resto anche nella prima stagione di Breaking Bad accadeva ciò: scrutare e osservare Albuquerque, stabilizzarsi al cambiamento, evolvendo solo alla chiusura della prima stagione. Una debolezza strutturale e voluta del mondo straordinario evidente anche nell’attribuzione dei voti dati ai 9 episodi. IMDb dà una valutazione altissima che arriva a quasi 10 del primo episodio, per poi fermarsi sulle 7 stelle per tutta la serie, fino a rialzarsi sull’8,4 nell’episodio finale.

A Carol, per Vince Gilligan, serve tempo per adattarsi e conformarsi al mondo straordinario. Quindi non stupisce che il mid point della serie (il sistema di eliminazione biochimico attraverso il latte attuato minuziosamente dagli alieni), e il secondo arco dedicato al personaggio di  Manousos (uno dei pochi non infetti a mantenere assieme libero arbitrio e conflitto vendicativo nei confronti del nuovo mondo), vengano accennati e inseriti solo verso la fine della serie. Una bolla spaziale che è dentro Pluribus, parte integrante di una costruzione ecosistemica che non ha fretta.

Proprio come Walter White alla fine della prima stagione di Breaking Bad, Carol, nell’idea di Gilligan, capisce il mondo, lo comprende, tenta di adattarsi, e non riuscendo a trovare una soluzione si convince ad essere ciò che è sempre stata: la bomba pronta a distruggere la realtà imposta dalla felicità aliena. Rendendo, con un eccessivo ritardo, il mondo straordinario in cui è confinata, realmente straordinario.

Albuquerque come luogo di contesa

Albuquerque, già luogo caratteristico per altre serie di Gilligan (Better Call Saul e Breaking Bad), in Pluribus non è solo scenario seriale ma territorio di resistenza. Un confine psicologico dove Carol deve definire se stessa all’interno delle pieghe di una comunità onnipervasiva. Il suo viaggio, fisico e mentale, resta ancorato nella cittadina del New Mexico: è qui che combatte l’omologazione del dispositivo sci-fi, incontra altri immuni come Manousos, prendendo infine la decisione che segna il finale della prima stagione.

La “topofrenia” di Carol, la crisi identitaria con lo spazio, emerge in primis con la già citata Zosia, riflettendo un attaccamento che non è solo spaziale ma profondamente psicologico. Carol con quest’ultima sperimenta episodi di appartenenza e connessione, scoprendo solo nell’intimità il tradimento e la perdita del sé.

Lo spazio condiviso con Zosia perde la sua dimensione di focolare domestico trasformando Albuquerque in un territorio di controllo. “Topofrenia” che raggiunge il suo culmine nel nono episodio, quello finale: La Chica o El Mundo. Dopo aver finalmente identificato Zosia non più come un interesse romantico ma principalmente come “la mano” degli alieni, Carol riceve nel suo quartiere, nella sua casa, la bomba atomica; una rappresentazione pratica e simbolica della mutazione dello spazio albuquerqueiano: il passaggio dal pericolo della propria individualità ad un’arma pronta a far esplodere lo spazio collettivo.

Lo spazio come luogo di conflitto e distruzione

Unendosi a Manousos nella sua lotta contro gli alieni invasori, Carol assume su di sé il massimo grado “topofrenico”. L’alterego di Seehorn non è più l’isolata che osserva il mondo dall’esterno, ma fa una scelta netta, ridefinendo se stessa nello spazio globale. Come ne Il dottor Stranamore – ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba di Stanley Kubrick, la bomba è un segno spaziale di dislocazione etica. Un ordigno pronto a far esplodere Albuquerque che rimanda ad una potenzialità distruttiva e globale. Così Carol, come i generali kubrickiani, dovrà decidere se decostruire o meno il suo spazio che diventa così luogo di distruzione, decisione e di responsabilità morale.

Pluribus, tra le migliori serie di quest’anno, si configura come un esperimento antropologico e spazialmente affascinante, ma anche abbastanza irregolare. La serie funziona quando riflette sul rapporto tra individuo e comunità, restituendo, nel finale, al mondo straordinario la sua carica pericolosa e ambigua. Dall’altro lato, invece, l’eccessiva dilatazione della narrazione costringe Carol a girare nel vuoto per troppi episodi. Un universo sci-fi ricchissimo di potenzialità ma per larga parte eccessivamente depotenziato. La seconda stagione dovrà inevitabilmente cambiare marcia, dando esecuzione a ciò che si è promesso nel finale: attivare il mondo. Solo così il mondo straordinario potrà finalmente esplodere, e non solo come concetto “topofrenico”. Permettendo a Carol di smettere di reagire, iniziando ad agire.

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