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‘Cover-Up’ su Seymour Hersh, il tafano d’America

Gas nervini per la guerra chimica, il massacro di Mỹ Lai, lo scandalo Watergate, Abu Ghraib. Covered up: insabbiati

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Gas nervini usati per la guerra chimica, il massacro di Mỹ Lai in Vietnam, lo scandalo Watergate, Abu Ghraib. Covered up: insabbiati.

I fantasmi e le ombre d’America hanno radicalizzato in cinquant’anni il lavoro del premio Pulitzer Seymour Hersh, “tafano” della carta stampata e “assassino” del campanilismo servile che generava mostri.

Cover-Up: il giornalista investigativo (Seymour Hersh)

Più di cinquant’anni di storia statunitense hanno coinvolto, tra i nomi, quello di Seymour “Sy” M. Hersh. Giornalista investigativo dei più importanti della sua generazione – paragonato a un Carl Bernstein del Washington Post o a un Socrate con il pallino per l’inchiesta – ora a Hersh è dedicato il documentario di Laura Poitras & Mark Obenhaus su Netflix.

Cover-Up non è più solo il titolo di uno dei novi volumi della bibliografia di Hersh, ma è ora diventato anche il tuo testamento filmico. Un atto di rinascita e di rivendicazione che Sy e i due registi (l’una vincitrice dell’Oscar, l’altro dell’Emmy) aspettavano accadesse da quasi vent’anni. La prima offerta di far parlare di sé fu rifiutata da Hersh nel 2005, ma Poitras da allora si è ancora più convinta che il documentario, se mai si fosse fatto, avrebbe parlato ai giovani giornalisti prima che al suo protagonista.

Così il film smette di essere un’avvicente retrospettiva su Sy Hersh e diventa un lascito lodevole e intimo per le nuove generazioni.

Fotogramma di Cover-Up (2025)

Non com’è, ma come potrebbe essere

Seymour Hersh, figlio di un rifugiato lituano ebreo della seconda guerra mondiale, inciampò nel giornalismo indipendente per serendipità e se ne innamorò altrettanto casualmente. Da un giorno all’altro, fu catapultato dalla lavanderia di Chicago dove lavorava per il padre, a prendere appunti delle conferenze stampa nel Pentagono. Mentre la sua passione scoperta diventava lavoro (all’Associated Press, poi al New York Times per parecchio tempo, e al New Yorker, fino a Substack oggi all’età di 88 anni), gli Stati Uniti diventavano teatro di guerre, attori mefistofelici e mostruosità, dalle atomiche sul Giappone ai conflitti moderni nell’est del mondo.

Gli scoop di Hersh arrivavano per primi e uscivano (quasi sempre) vincitori dall’agone mediale. Ma la carriera dello stalwart journalist, dedicato e stacanovista, oltre che leale verso le proprie fonti delle quali non spiffera mai nomi né cognomi, non si determina solo dal numero di scoop. Ma dal modo in cui egli plasma la realtà che lo circonda. Il regista e collega scrittore di Hersh, Mark Obenhaus:

“Sy, a mio avviso, è un esempio del ruolo del giornalismo investigativo nell’interrogare i potenti e nel plasmare la storia. Cover-Up è un ritratto di questo reporter iconoclasta e del suo posto unico nel pantheon del giornalismo americano.” (La Biennale di Venezia)

Il suo, fu un lavoro da giornalista non per com’è, ma per come potrebbe essere. Quando, per puro caso, scoprì un nome e da lì capì che sarebbe diventata una storia da prima pagina. Allora, gli si aprì il baratro davanti sui segreti che uno Stato patinato e una governance patinata potevano nascondere. In lui stette la notorietà di continuare ad andare a fondo di quel baratro.

Fotogramma di Cover-Up (2025)

L’eredità del “tafano d’America”

Iniziò alla fine degli anni Sessanta il grande exposé dei crimini umani, di guerra e di insabbiamento dei quali gli USA non avevano ancora risposto perché non intendevano rispondere.

In Vietnam fu il massacro di Mỹ Lai che fece vittime 347 civili inermi nel villaggio vietnamita; in Chile, il golpe che depose Salvador Allende e mise in piedi la dittatura fascista di Pinochet; su suolo statunitense, il piano CHAOS e il progetto MKULTRA governativo che conducevano mosse di controspionaggio ed esperimenti umani sui pacifisti e i giovani dell’America “peace and love”.

Alle inopinate inchieste di Hersh seguirono quelle di altri giornalisti e stampe, che presero a sollevare polvere sul costituzionalismo distorto arenatosi qualche spiaggia più indietro.

Fastidioso, pungente, ma che giocava a carta scoperte, Sy ha fatto incavolare non pochi pezzi grossi della politica, del giornalismo, non prima che se stesso. Il tafano d’America che risveglia la coscienza del cavallo dormiente (i cittadini statunitensi), rivelandone non le virtù, ma il diritto ad averne una sul serio, di coscienza.

Oggi, l’eredità di Seymour Hersh si racconta attraverso il documentario di Poitras e Obenhaus, che, pur non costituendo un primato visivo e stilistico – causa un manierismo à la Errol Morris – per forza e per amore tratta Hersh come un magnete a cui far attirare i segreti, le scoperte, i drammi del suo Paese ripresi con estremo realismo e lucidità.

Su Netflix il documentario di due registi premiati

Laura Poitras e Mark Obenhaus, alla loro ennesima co-regia insieme (The Oath, 2012), trovano in Cover-Up l’ottimo punto di arrivo per concludere l’anno. Poitras viene dall’Oscar vinto per il suo documentario Citizenfour (2014) sul whistleblower Edward Snowden e sulle rivelazioni di programmi di sorveglianza di massa invasiva della NSA. Obenhaus ha vinto l’Emmy con Steep nel 2007, un documentario sullo sci estremo.

Da Venezia, a Telluride, Toronto, New York e Londra, il documentario sulla figura di Hersh e sui suoi scoop da prima pagina è arrivato su Netflix venerdì 26 dicembre a infoltire il catalogo già ricco di reportage e docufilm. Di alcuni di questi, la piattaforma ha già riscosso il successo: da Errol Morris, figlio del genere insieme a Werner Herzog padre, all’ultimo documentario preferito agli Oscar di marzo prossimo. Anche Cover-Up si aggiunge alla shortlist dei candidati alla statuetta d’oro. Così, il colosso streaming potrebbe tornare sul podio di Los Angeles nel 2026.

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